Lavoro

Il ritardato pagamento del Tfr comporta sempre la corresponsione degli interessi (Cass Lav. Sezione lavoro, Sent. 4822/02 del 04/04/02

Nuova pagina 1

Non sono ammessi ritardi da parte del datore
di lavoro nel liquidare il trattamento di fine rapporto al dipendente che va in
pensione. L’articolo 429 cpc, nel far decorrere gli interessi e la
rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto di credito del lavoratore,
richiede la esigibilità  del credito, che può sussistere anche nel caso in cui
esso abbia un oggetto solo determinabile. Ne consegue che la parziale illiquidità ,
al momento della cessazione del rapporto di lavoro, a causa della mancata
disponibilità  di tutti gli elementi di calcolo ” e, in particolare,
dell’indice Istat relativo all’ultimo mese – dal credito avente ad oggetto
il trattamento di fine rapporto (prestazione che, per disposizione inderogabile
dell’articolo 2120, primo comma, cc, non modificabile dall’autonomia
collettiva, diventa esigibile al momento stesso della cessazione del rapporto),
non preclude la decorrenza, da detto momento, degli interessi e della
rivalutazione monetaria, senza che, ai fini del ‘dies a quo’ degli accessori
in questione, rilevi la mancanza di colpa del debitore, avendo il credito in
questione natura di credito originariamente indicizzato.

 

Cassazione
” sezione lavoro ” sentenza 9 gennaio-4 aprile 2002, n. 4822
Presidente Dell’Anno ” relatore Vigolo
Pm Napoletano ” conforme ” ricorrente Fiat Auto Spa ” controricorrente
Lampis

Svolgimento
del processo

Con atto depositato il 17 febbraio 1997, il signor Ottavio
Lampis ricorreva al pretore di Torino chiedendo ha la Fiat Auto spa, la quale
gli aveva corrisposto il trattamento di fine rapporto oltre 40 giorni dopo la
cessazione del rapporto di lavoro, fosse condannata a pagargli complessive lire
822.988, a titolo di interessi e rivalutazione, oltre interessi e rivalutazione
ulteriore.
con sentenza in data 3 aprile 1997, il pretore accoglieva solo in parte la
domanda, condannando la società  convenuta al pagamento di lire 248.810, oltre
le spese processuali.
L’appello del lavoratore veniva accolto dal tribunale della stessa sede che
condannava la società  a pagare l’intera somma richiesta da controparte, oltre
accessori e spese dei due gradi.
Ha ritenuto il giudice di appello che i meccanismi di calcolo previsti
dall’articolo 2120 Cc novellato erano attuabili da una grande impresa, dotata
di adeguati strumenti informatici, pressochè immediatamente, salva,
eventualmente, la necessità  di conoscere la variazione Istat dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai e impiegati per la frazione percentuale
dell’ultimo mese; quanto agli importi retributivi costituenti la base di
calcolo, essi sarebbero stati disponibili già  il giorno seguente la risoluzione
del rapporto. D’altra parte, l’articolo 26 del Ccnl di categoria, integrando
la disposizione dell’articolo 2120 Cc, prevedeva che l’azienda
corrispondesse il trattamento di fine rapporto all’atto della risoluzione del
rapporto, con evidente riferimento al momento, sicchè le stesse parti sociali
avevano ritenuto immediatamente computabile il trattamento dovuto.
Non era invocabile l’articolo 1183 Cc, che, dopo avere fissato una regola
generale, prevedeva una possibile eccezione per il solo caso in cui il tempo in
cui la prestazione deve essere eseguita non sia determinato; nel caso in esame,
il dato cronologico dell’adempimento era pattiziamente stabilito.
Inoltre, l’articolo 13 dello stesso Ccnl prevedeva la cadenza mensile della
retribuzione periodica, con eventuali acconti allo scadere della prima
quindicina, secondo le consuetudini aziendali e, in caso di contestazione,
imponeva il versamento frazionato, tanto in pendenza del rapporto di lavoro
quanto alla fine di esso, della parte non contestata; la clausola doveva valere
anche per il trattamento di fine rapporto, sicchè il saldo, non immediatamente
determinabile al momento della risoluzione, avrebbe dovuto essere corrisposto
non appena disponibili gli elementi per il calcolo definitivo, senza che il
creditore potesse rifiutare l’adempimento parziale, contravvenendo agli
obblighi di buona fede.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Fiat Auto spa con due complessi
motivi illustrati con memoria.
Resiste il Lampis con controricorso, pure seguito da memoria illustrativa, col
quale eccepisce anche l’inammissibilità  del ricorso in quanto attinente a
questioni di fatto.

Motivi della decisone

Col primo motivo di ricorso, la società  nega che
l’articolo 2120, comma primo, Cc imponga il pagamento del trattamento di fine
rapporto al momento stesso della cessazione del rapporto di lavoro, anche perchè
siffatta immediatezza non sarebbe conciliabile con la struttura e con i
meccanismi di applicazione dell’istituto i quali impongono un tempo
ragionevole per la quantificazione e la liquidazione del dovuto, anche per il
necessario riferimento alle retribuzioni degli ultimi mesi di servizio. Tale
norma, infatti, non prevede alcun termine tassativo per il pagamento, in caso di
cessazione del rapporto di lavoro. Lo stesso contratto collettivo riconosce alle
aziende un termine di adempimento di quindici giorni per la retribuzione
mensile.
Col secondo motivo di ricorso, la ricorrente censura la lettura operata dal
giudice di appello dell’articolo 26 Ccnl, siccome contraria ai criteri di
ermeneutica contrattuale. Sostiene che l’espressione “l’azienda
corrisponderà  il trattamento di fine rapporto all’atto della risoluzione del
rapporto” non avrebbe potuto interpretarsi contro l’effettiva volontà  delle
parti, nel senso, cioè, che le stesse avessero inteso concordare l’immediata
erogazione del trattamento di fine rapporto alla cessazione del rapporto di
lavoro. La espressione “all’atto” non aveva lo stesso senso che
immediatamente trattandosi, quanto alla prima, di espressione generalmente di
contenuto del tutto neutro, specie in presenza degli elementi
tecnico-strutturali di calcolo del trattamento di fine rapporto e delle
correlate difficoltà  di una immediata liquidazione.
Contro l’interpretazione dell’articolo 26 del Ccnl, milita anche la norma di
cui all’articolo 5 giugno 1997 (secondo il quale la dizione “all’atto della
risoluzione del rapporto di lavoro […] deve necessariamente essere
interpretato tenendo conto dei tempi tecnici suddetti), successiva al contratto
collettivo, accordo di cui il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto, ai
sensi dell’articolo 1362 Cc, al pari della prassi aziendale di corrispondere
il trattamento di fine rapporto nel mese successivo alla cessazione del
rapporto.
L’articolo 429 Cpc richiede per la sua applicazione il ritardo
nell’adempimento da parte del datore di lavoro, ritardo da valutarsi in
relazione al momento in cui il credito è divenuto esigibile. A tale riguardo,
contrariamente al giudizio espresso dal tribunale, soccorre l’articolo 1183 Cc
secondo cui, in deroga al principio generale dell’immediata esigibilità  della
prestazione, qualora tuttavia in virtù degli usi o per la natura della
prestazione […] sia necessario un termine, questo in mancanza di accordo tra
le parti è stabilito dal giudice. A tale riguardo il giudice di appello aveva
omesso quell’indagine che, invece aveva correttamente svolto il pretore.
I due motivi, che per la connessione delle censure meritano trattazione
congiunta, sono infondati.
Deve, anzitutto, rilevarsi che il credito avente ad oggetto il trattamento di
fine rapporto maturato dal lavoratore e, quindi, il pagamento di una somma di
danaro, non può ritenersi illiquido per la sola circostanza che per la sua
esatta determinazione siano necessari calcoli, anche non elementari, purchè
preesistano i dati necessari per la determinazione del quantum (Cassazione
9084/90; 10942/00; 3563/01).
Peraltro, la condizione di liquidità  o illiquidità  del credito non assume
rilievo ai fini dell’articolo 429, comma terzo, Cpc o dell’articolo 22,
comma 36 della legge 724/94, ai fini della decorrenza della rivalutazione
monetaria e degli interessi, cioè dal momento in cui risulta perfezionata la
fattispecie costitutiva del credito, ancorchè avente un oggetto solo
determinabile. Sul punto la giurisprudenza di legittimità  è assolutamente
consolidata, con la precisazione ulteriore che la sentenza di condanna non ha,
in ordine agli accessori, effetti costitutivi di liquidazione, ma contiene il
mero accertamento della natura indicizzato del credito, senza che sia neppure
necessario che il giudice indichi un preciso quantitativo di moneta (Cassazione
2803/87; 10652/90).
Credito esigibile, d’altro lato, è quello non soggetto a condizione
sospensiva o a termine o ad altri ostacoli di natura giuridica a che possa
essere immediatamente soddisfatto (anche ai fini della decorrenza della
prescrizione).
Sotto il profilo dell’articolo 429, terzo comma, Cpc, la maturazione del
diritto, ivi contemplata, coincide con la esigibilità  del credito:
rivalutazione e interessi hanno la funzione di compensare il creditore del
ritardo con cui riceve le somme dovutegli, sicchè non è configurabile ritardo
prima che si possa pretendere il pagamento (Cassazione 2896/96; 3370/96;
9014/99) e, per converso, la maturazione del diritto segna il momento di
decorrenza di interessi e rivalutazione.
L’assunto della ricorrente, secondo cui l’impossibilità  di determinare in
quantum del trattamento di fine rapporto nello stesso giorno di cessazione del
rapporto di lavoro comporterebbe, ai sensi dell’articolo 1183 Cc, lo
spostamento della scadenza dell’obbligazione all’esaurimento del periodo
necessario per l’acquisizione di tutti gli elementi del computo, contrasta con
la regola specifica per i crediti di lavoro che, ai sensi del citato articolo
429, terzo comma Cpc, vengono in essere già  come crediti indicizzati naturaliter.
D’altra parte, la formulazione letterale dell’articolo 2120 Cc, secondo cui
in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di
lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto non lascia dubbi sulla
circostanza che l’obbligazione regolata dalla norma trova la sua fonte nella
cessazione del rapporto che ne rappresenta quindi il momento genetico a partire
dal quale deve essere adempiuta, talchè l’articolo 1183 non appare
invocabile, neppure per quanto esso dispone al primo comma, per il caso ” non
ricorrente nella fattispecie legale in esame ” in cui non sia determinato il
tempo in cui la prestazione deve essere eseguita; tanto meno può sostenersi che
la natura della prestazione (che, come detto, costituisce oggetto di
obbligazione ab origine indicizzata) o il modo dell’esecuzione (i
calcoli necessari per il computo del trattamento di fine rapporto non riguardano
il modo dell’esecuzione, ma la concreta determinazione del contenuto della
prestazione) comportino la necessità  di un termine da stabilirsi dal giudice,
in mancanza di accordo delle parti, ai sensi della seconda proposizione del
primo comma dell’articolo 1183 Cc.
è appena il caso di osservare, perciò, che qualora dovessero ritenersi, in via
di mera ipotesi, che l’articolo 2120 Cc non determini il tempo di esecuzione
dell’obbligazione, il creditore potrebbe esigerla immediatamente, ai sensi
della prima proposizione del primo comma dell’articolo 1183 citato, sicchè
sin dal suo sorgere essa diviene produttiva di interessi ed è rivalutabile.
Ne consegue, come questa corte ha avuto occasione di affermare (Cassazione
10924/00 e 3563/01 citate) che la sentenza di condanna non ha, in ordine agli
accessori, effetti costitutivi di liquidazione, ma contiene il mero accertamento
della natura indicizzata del credito, senza che sia neppure necessario che il
giudice indichi un preciso ammontare di moneta.
In presenza di una obbligazione ex lege, quale quella del datore di
lavoro al pagamento del trattamento di fine rapporto, non modificabile dalla
costituzione collettiva, l’ulteriore argomento tratto dal tribunale dalla
formulazione dell’articolo 26 del Ccnl di categoria (secondo il quale
l’azienda deve corrispondere il trattamento di fine rapporto all’atto della
risoluzione del rapporto) ha valore confermativo e rafforzativo delle
argomentazioni che precedono. Deve escludersi, pertanto, la fondatezza della
critica mossa con generico riferimento alle norme di ermeneutica contrattuale
all’interpretazione, accolta dal tribunale, di tale norma collettiva.
Si tratta di interpretazione di contratto collettivo di diritto comune che, come
è costantemente riaffermato da questa corte, è riservata all’esclusiva
competenza del giudice di merito e, in sede di legittimità  è censurabile solo
per vizio di motivazione o per violazione degli articoli 1362 e seguenti Cc,
talchè le critiche non possono consistere nella mera proposizione di una
diversa interpretazione delle clausole contrattuali rispetto a quella accolta
dal giudice di merito (Cassazione 11069/01; 5596/01; 5767/99; 4310/99). Nel caso
in esame, l’interpretazione accolta dal tribunale non appare illogica ed è
aderente al criterio dell’esegesi letterale del testo contrattuale.
L’interpretazione autentica della stessa norma ad opera dell’accordo
collettivo 5 giugno 1997 (posteriore al perfezionamento della fattispecie in
esame), richiamato nel ricorso, non può incidere sul precetto dell’articolo
2120 Cc, concernente una obbligazione ex lege.
Appaiono, per contro, ultronee e non pertinenti ai fini della decisione,
nondimeno correttamente adottata dal tribunale nella parte dispositiva della
sentenza (quest’ultima va solo corretta nella motivazione a norma
dell’articolo 384, secondo comma, Cpc), le considerazioni svolte dal giudice
di appello in relazione alla facoltà  del creditore di rifiutare (ma, per
converso, anche di accettare) un pagamento parziale, a norma dell’articolo
1181 Cc, e sull’obbligo del datore di lavoro di provvedere eventualmente ad un
versamento frazionato, per la parte non contestata della retribuzione (compresa
quella dovuta alla fine del rapporto di lavoro), ai sensi dell’articolo 13 del
Ccnl.
Rileva, infatti, la corte che nè la norma codicistica nè la disposizione
collettiva, citate da ultime, hanno riguardo al contenuto specifico
dell’obbligazione retributiva, di talchè, anche in ipotesi di pagamenti
parziali, in sede di determinazione complessiva e definitiva di quanto spetta al
lavoratore per trattamento di fine rapporto, debbono comunque computarsi gli
interessi e la rivalutazione con decorrenza del giorno di maturazione del
credito (ovviamente tenendosi conto a favore del debitore, anche ai fini della
determinazione degli interessi e del maggior danno da svalutazione,
dell’incidenza di eventuali pagamenti parziali intervenuti).
Dal parti ininfluente è il richiamo del tribunale all’articolo 13 citato Ccnl
nella parte in cui prevede, quale giusta causa di recesso del lavoratore, il
pagamento della retribuzione con un riguardo superiore ai quindici gio

https://www.litis.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *