Civile

AVVOCATI – PROCEDIMENTO DISCIPLINARE – PROFILI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE – Cass. Civ. Sez Unite Sentenza n. 1732 del 7 febbraio 2002


Corte Suprema di Cassazione
Giurisprudenza Civile e Penale



Sentenza n. 1732 del 7 febbraio 2002

AVVOCATI – PROCEDIMENTO DISCIPLINARE – PROFILI DI LEGITTIMITA’
COSTITUZIONALE

(Sezioni Unite Civili – Presidente A. Vessia – Relatore M. Varrone)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 10 dicembre 1996 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma
deliberava di aprire nei confronti dell’avv. M. C. un procedimento
disciplinare a seguito del giudizio in materia di locazione (omissis),
sia per il cambio della data nell’atto di licenza e citazione per
convalida dal 9 novembre ’94 al 9 settembre ’95 ed iscrizione a
ruolo della causa per detta udienza, sia per avere detto alla collega di
controparte, avv. C. G. che costei "evidentemente non faceva
l’avvocato" perchè altrimenti avrebbe saputo che le date si
possono cambiare ed, inoltre, perchè nella comparsa di costituzione
nella causa di opposizione aveva chiesto che il giudice ordinasse la
cancellazione dell’espressione "opportunamente contraffatto"
riferita alla data e la condanna della G. a pagargli la somma di
L.10.000.000 per risarcimento del danno subito, venendo cosí meno ai
doveri di lealtà  e correttezza professionale. In data 8 gennaio 97
l’avv. C. presentava memoria assumendo che l’erronea indicazione di data
costituiva errore ben riconoscibile e riconosciuto ed ammettendo che
probabilmente vi erano state con la G. conversazioni telefoniche.

Con decisione 5 giugno 1997 il suddetto Consiglio riteneva l’avv. C.
responsabile degli addebiti contestatigli e gli infliggeva la sanzione
disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per
quattro mesi, ritenendo fondamentalmente che costituisse grave
scorrettezza avere rassicurato la collega che l’atto di convalida doveva
ritenersi inesistente e, successivamente, avere cambiato la data
d’udienza sull’originale, trattando la causa.

Avverso tale decisione il C. proponeva ricorso che nell’assenza del
Consiglio dell’Ordine il Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.), con
decisione 7 ottobre 2000, rigettava affermando:

che doveva ritenersi fornita la prova della rituale convocazione di
tutti i componenti del Consiglio dell’Ordine di Roma;

che la richiesta di rinvio per malattia non era adeguatamente
giustificata; che nessuna disposizione della comunità  Europea aveva
privato della potestà  disciplinare i consigli professionali;

che essendo parti del giudizio disciplinare soltanto il P.M. e
l’incolpato, correttamente l’avv. G. era stata ascoltata in qualità  di
teste; che l’originario atto di licenza per finita locazione, notificato
al conduttore Settembrini il 17/3/95, portava certamente quale data di
comparizione per l’udienza di convalida il 9 novembre 1994, e che tale
data era stata modificata dall’avv. C. in quella del 9 settembre 1995,
senza che l’avv. G. ne venisse informata;

che il contenuto della telefonata intercorsa fra i due legali doveva
ritenersi provato;

che la richiesta di risarcimento dei danni avanzata nei confronti
della G. per E. 10.000.000 costituiva un’intimidazione, perchè la
suddetta aveva fondato la domanda di opposizione alla convalida su un
fatto vero;

che alla luce di quanto sopra il complessivo comportamento dell’avv.
C. era "di notevole gravità  sul piano deontologico".

Per la cassazione di tale decisione il C. ha proposto ricorso
articolato su numerosi profili di censura. Le altre parti intimate non
si sono costituite. Con ordinanza 9/30 marzo 2001 le S.U. di questa
Corte hanno rigettato l’istanza di sospensione. Il ricorrente ha
depositato anche una successiva memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va innanzi tutto dichiarata l’inammissibilità  dei profili di censura
prospettati nella memoria integrativa nonchè dei documenti ivi allegati
poichè, da un lato, il principio della consumazione del diritto di
impugnazione si applica anche con riguardo al ricorso per cassazione
avverso le pronunce del C.N.F. in materia disciplinare, il quale è
disciplinato, in mancanza di diversa previsione, dalle regole del
processo civile, con la conseguenza che, dopo la proposizione ditale
ricorso, resta preclusa alla parte la possibilità  di introdurre
ulteriori censure con atti successivi (Cass. sez. un. 26 gennaio 1988 n.
626); dall’altro, i documenti prodotti esulano dalla previsione di cui
all’art. 372 c.p.c.

Venendo all’esame del ricorso, la molteplicità  e, ad un tempo, il
collegamento logico-giuridico delle varie censure, ne suggerisce
l’accorpamento ed ove possibile, l’esame unitario. Orbene, l’avv. C. ha
lamentato:

che il C.N.F., quale giurisdizione speciale, è privo di investitura
costituzionale; che trattandosi di membri elettivi, manca il requisito
dell’indipendenza;

che non è contemplata la redazione di un verbale attestante
l’eventuale dissenso di taluni giudici;

che sorgono problemi in caso di cassazione con rinvio della decisione
resa dal C.N.F. poichè, tra l’altro, l’incolpato corre il rischio di
essere giudicato da giudici incompatibili in caso di contrasto con gli
stessi;

che applicando al giudizio disciplinare le nonne del processo penale,
non hanno tuttavia trovato applicazione gli istituti a difesa
dell’incolpato, quali la registrazione magnetofonica ed il difensore
d’ufficio;

che il potere disciplinare del C.N.F. è stato eliminato dalla
legislazione comunitaria.

Orbene, tutti gli esposti profili di doglianza, che attengono alla
costituzionalità  del C.N.F. ed alla legittimità  del procedimento
davanti ad esso, sono stati già  vanificati dalla giurisprudenza
costituzionale e di legittimità , rilevando che è manifestamente
infondata, con riferimento all’art. 102 Cost., la questione di
legittimità  costituzionale delle nonne che regolano il funzionamento
del Consiglio Nazionale Forense, quale organo di giurisdizione speciale
in materia disciplinare, in quanto il termine per la revisione delle
giurisdizioni speciali, stabilito dalla sesta disposizione transitoria
della Costituzione, ha natura meramente ordinatoria e, anche dopo la
scadenza di esso, è costituzionalmente legittimo il funzionamento degli
organi di giurisdizione speciale, preesistenti alla Costituzione, per i
quali non si sia provveduto alla revisione legislativa (Cass. sez. un.
109/70; in senso conforme 1481/60, 1030/76 e 1750/81); che del pari è
manifestamente infondata la questione di legittimità  costituzionale
dell’art. 21 R.D. 22 gennaio 1934 n. 382 e degli artt. 59 e seguenti
R.D. 22 gennaio 1934 n. 37, in riferimento all’art. 108 della
Costituzionale, in quanto tali norme, nel disciplinare rispettivamente
la nomina dei componenti del Consiglio Nazionale Forense ed il
procedimento che davanti al medesimo si svolge in materia di disciplina
dei professionisti iscritti al relativo ordine, assicurano, per il
metodo elettivo della prima e per le sufficienti garanzie difensive
proprie del secondo, il corretto esercizio della funzione di
giurisdizione affidata al suddetto organo in tale materia, con riguardo
all’indipendenza del giudice ed all’imparzialità  dei giudizi (Cass.
sez. un. 185/92); che le decisioni disciplinari del C.N.F. sono inserite
nel sistema della giurisdizione civile e non penale (Cass. sez. un.
7872/2001); che tutte le suddette pronunce si collegano alla
fondamentale sentenza 23 dicembre 1986 n. 284 della Corte Costituzionale
che, pur pronunciata con riguardo al Consiglio nazionale dei geometri,
ha statuito in via generale sulle giurisdizioni professionali,
riconoscendo natura giurisdizionale a quelle (come il C.N.F.) anteriori
alla Costituzione repubblicana, nonchè la legittimità  del criterio
elettivo (cfr. art. 106, 20 cc. Cost.), della possibilità  di rielezione
dei singoli componenti, dell’appartenenza degli stessi alla categoria
professionale interessata, delle modalità  di funzionamento del
procedimento siccome improntato al modello del processo civile.

Infine è sufficiente rilevare che non esiste alcuna norma
comunitaria dalla quale dedurre l’abrogazione dei Consigli professionali
(pag. 9 decisione impugnata) e che l’applicabilità  o meno della legge
n. 117 del 1988 sulla responsabilità  civile dei magistrati anche ai
giudici disciplinari non rileva in questo ricorso.

Per quanto poi concerne le censure più direttamente attinenti al
presente procedimento, esse sono vanificate dalla decisione impugnata,
ove risulta che "il ricorrente, avv. M. M. C., è comparso
personalmente, assistito dal suo difensore avv. G. T." ed, inoltre,
che dall’estratto del verbale 5/6/97 inviato dal Consiglio dell’Ordine
di Roma "tutti i componenti del Consiglio hanno ricevuto a mezzo
telefax l’avviso di convocazione per l’adunanza di quel giorno".

Resta da dire, sempre sul piano processuale, che anche alla doglianza
relativa alla pretesa lesione del diritto di difesa per il mancato
accesso ex lege n. 241 del 1990 ai procedimenti disciplinari svolti
negli ultimi dieci anni a carico di altri avvocati, non può
riconoscersi rilevanza alcuna in questo giudizio.

Passando finalmente all’esame delle censure concernenti in via
diretta la controversia, l’avv. C., denunciando la violazione e la falsa
applicazione degli art. 2727 e 2729 c.c. e 24, 20 cc. Cost, nonchè il
vizio della motivazione su punti decisivi, in relazione all’art. 360 nn.
3 e 5 c.p.c., nella sostanza lamenta che la pronuncia del C.N.F. sia
stata fondata sulla base di presunzioni tratte dalla testimonianza
dell’avv. G., ritenuta assolutamente veritiera, trascurando quella del
dr. Lima, che aveva sostituito all’udienza pretorile esso ricorrente;
che i fatti addebitatigli non potevano considerarsi disciplinarmente
rilevanti e che la sanzione inflitta era eccessiva.

Com’è chiaro, trattasi di censure che impingono sul merito della
motivazione. Ed allora è sufficiente ricordare e ribadire il fermo
orientamento di questa Corte, alla stregua del quale nell’ambito della
violazione di legge – deducibile, assieme all’incompetenza ed
all’eccesso di potere, come motivo di ricorso alle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione avverso le decisioni del Consiglio Nazionale Forense
– non può essere inclusa, tenuto anche conto dell’art. 111, 20 cc.,
Cost., la censura di insufficienza o irrazionalità  della motivazione in
raffronto con le risultanze probatorie, sicchè il relativo motivo di
ricorso deve ritenersi inammissibile (Cass. sez. un. 12391/92 explurimis).

Anche queste ultime censure vanno, pertanto, disattese.

Concludendo, il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non essendosi costituito il
Consiglio Nazionale professionale intimato.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte rigetta il ricorso; nulla le spese.

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