Penale

L’ esercizio abusivo di attività finanziaria costituisce un reato «istantaneo» – CASSAZIONE PENALE, Sezione V, Sentenza 31724/2004

L’ esercizio
abusivo di attività finanziaria costituisce un reato “istantaneo”. La Sezione V
della Cassazione, con sentenza 31724/04, delinea in questi termini l’illecito
previsto dall’articolo 132 del decreto legislativo 385 del 1993.

Nella vicenda
esaminata, il ricorrente era stato condannato per avere esercitato nei confronti
del pubblico attività di concessione di finanziamenti senza essere iscritto
nell’elenco previsto dall’articolo 106 del decreto. L’imputato era ricorso in
Cassazione lamentando, tra l’altro, il vizio di motivazione, riguardo il
carattere professionale dell’organizzazione con cui i finanziamenti erano
erogati, nonchè l’errata qualificazione dell’illecito contestato, che il Gip
prima e la Corte d’Appello poi avevano definito "reato abituale", con la
conseguenza di far decorrere il termine prescrizionale dall’ultimo episodio
contestato. La Suprema corte si limita a valutare ammissibile il ricorso,
circostanza che le impone di dichiarare il reato estinto per decorso del termine
prescrizionale.

Nel giustificare
la non manifesta infondatezza dell’impugnazione vengono comunque precisati
alcuni concetti. Anzitutto viene affermata la necessità per il giudice del
merito di accertare e dar conto con adeguata e congrua motivazione
dell’effettiva professionalità dell’organizzazione, cioè dell’esistenza di
un’articolata e stabile "impresa", dotata di modalità e strumenti operativi,
che consentano la concessione sistematica del finanziamento ad un numero
indeterminato di persone. Tali elementi, che favoriscono l’inserimento di un
soggetto incontrollato in un mercato viceversa sottoposto alla verifica dell’autorità,
sono indispensabili per l’integrazione del reato e, secondo la Corte, non sono
stati individuati in modo adeguato e convincente dal giudice di merito nel caso
di specie. Inoltre, la Cassazione sottolinea che la fattispecie di cui
all’articolo 132 del Dlgs 385/93 “non costituisce un reato permanente ma si
esaurisce con la concessione e l’erogazione del finanziamento”, cosi’ rilevando
un’ulteriore e duplice incongruenza nella sentenza impugnata.

Come accennato,
la V sezione ribadisce questo concetto. I giudici di merito, infatti, benchè
abbiano "parlato" di abitualità, intendevano riferirsi viceversa alla
fattispecie del reato permanente, commettendo, a quanto pare, un vero e proprio
lapsus calami. Avendo, percio’, erroneamente riconosciuto la permanenza, non
hanno preso in considerazione la possibilità di applicare la continuazione fra
diversi reati istantanei, quali viceversa debbono essere qualificati quelli in
esame. Questi due errori commessi dai magistrati "costano" cari. Essi, infatti,
hanno "prestato il fianco" a un ricorso ammissibile, fondato su errori di
applicazione della legge penale, nonchè vizi di motivazione. Di conseguenza, la
Corte si trova nell’impossibilità di considerare interrotto il rapporto
processuale. Ammessa la corretta instaurazione del grado di giudizio diventa
inevitabile, decorso il termine massimo di prescrizione, dichiararlo con
sentenza.

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