Attualità

Ciampi e le riforme: «Non utili i colpi di maggioranza. Vorrei conoscere i costi del federalismo Giustizia»

«Quel che
è successo nei giorni scorsi conferma che le prediche non sono mai inutili. Ho
sempre incitato al dialogo sui temi fondamentali: l’unità nazionale, i valori
comuni, le istituzioni portanti della Repubblica. A volte dico a me stesso che
mi ripeto, tuttavia insistere è una questione di coscienza. Ogni tanto si
vedono dei frutti. Come nel caso del rilascio delle due volontarie italiane, che
è dipeso anche dall’unità di sentimenti e di intenti dell’intero Paese».
Sorride con soddisfazione, Carlo Azeglio Ciampi, mentre commenta la prova di
maturità («Ventuno giorni senza polemiche, da quanto non


accadeva?») che l’Italia della politica ha dato nella vicenda dei nostri ostaggi
in Iraq. Cita i famosi quaderni del suo predecessore Luigi Einaudi, Le prediche
inutili appunto, ma rovesciandone ogni sfumatura di pessimismo. «Sono ormai a
tre quarti del mio mandato, mi mancano venti mesi. Se penso a cio’ che ho
predicato finora, mi sembra d’essermi concentrato soprattutto sui due princi’pi
scolpiti sul Vittoriano come un memorandum: "All’unità della Patria, alla
libertà dei cittadini". Non ho inventato nulla, insomma, nella mia azione da
capo dello Stato. E, da come la gente risponde nel mio itinerario per le città
d’Italia, ritengo d’aver interpretato esigenze troppo a lungo relegate al fondo
degli umori della Nazione».
Il sole che entra dalle cinque finestre dello studio di Ciampi al Quirinale è
quello tiepido del primo autunno. In un leggio campeggia, come una bussola sulla
plancia di una nave, il testo originale della Costituzione. Sullo scrittoio,
diversi fascicoli con i dossier della settimana, dominati dalla vicenda di
Simona Pari e Simona Torretta, il cui rientro a casa rende ancora adesso felice
il presidente.
Altre questioni comunque premono, e sono occasione di provvisori bilanci e
riflessioni. Dalla strategia dell’Italia e dell’Europa per contrastare il
terrorismo («strategia tutta da inventare, tenendo lontano da noi lo spettro
dello scontro di civiltà»), alla riforma dell’Onu e alla contesa sui nuovi
seggi permanenti al Consiglio di sicurezza («quel seggio dovrebbe andare
all’Unione europea, altrimenti sarebbe quasi meglio lasciare le cose come
stanno»). Dalla riforma federalista («che deve comunque preservare l’interesse
nazionale») a quella sulla giustizia (sulla quale pronuncia un doppio no: «a
chiusure preconcette e a forme estreme di protesta»). Dall’economia («che ha
bisogno di un grande progetto, e subito») alla lezione dell’Olimpiade di Atene.

Cominciamo dall’inizio, presidente. Nei
giorni scorsi lei ha ricevuto re Abdallah di Giordania e il presidente del
Pakistan, Musharraf, leader di due Paesi che sono avamposti nella lotta al
terrorismo internazionale. Il sovrano di Amman, in un’intervista al Corriere ,
aveva sostenuto che «coloro che compiono atti efferati in nome dell’Islam non
sono musulmani», respingendo dunque l’idea stessa di uno scontro, di un
conflitto finale tra Occidente e mondo islamico preconizzato da qualcuno come
inevitabile. Il che si sintonizza con un suo recente discorso, quando ha detto
appunto che i terroristi cercano di arrivare a «uno scontro di civiltà che non
esiste e che noi non vogliamo». Ma allora, come dovrebbero essere impostati i
rapporti dell’Italia e dell’Europa con i Paesi islamici, per togliere acqua al
terrorismo e per arrivare a combatterlo tutti insieme?

«Bisogna che l’Europa aiuti in modo nuovo e creativo lo sviluppo del mondo
islamico, in particolare del mondo arabo che ci è più vicino. E’ un punto
cruciale, questo, e non da ora. Lo dissi nel 1993, a Bonn, quando sostenni che
il confronto e la ricerca di una pacifica convivenza fra la civiltà occidentale
e quella islamica, già allora in atto, sarebbe diventato uno dei leit-motiv del
Terzo Millennio e confermavo l’esigenza di un’Europa unita, in modo da farne una
solida colonna per sorreggere, insieme con gli Usa, la piattaforma dei valori
della civiltà e della democrazia».
Non c’è dubbio che quell’intervento
fosse anticipatore, visto quel che si chiudeva in quegli anni e quel che è
accaduto dopo. Tuttavia, l’Europa procede ancora a ranghi sparsi, su questo
terreno. Non le pare?

«Risolto il confronto Est-Ovest che aveva dominato il Novecento, il nuovo
confronto, e più impegnativo, è destinato a concentrarsi nel rapporto
Nord-Sud. Al suo snodo centrale – quasi come una faglia geofisica – ci sono i
Paesi affacciati sul Mediterraneo. Ecco dove stanno il ruolo dell’Italia e
l’interesse dell’Europa. La mia idea di quanto occorre fare la si ritrova nel
"Processo di Barcellona", che sin dalla sua nascita nel 1995 ha inteso creare
uno spazio comune di pace, sicurezza e cooperazione, finalizzato alla crescita
economica e civile, al progresso di tutti i popoli, al rispetto dei diritti
umani».
Intenti che pero’ sembrano in buona
parte disattesi…

«E’ vero, ma quella rimane la via maestra per favorire uno sviluppo positivo dei
rapporti tra Europa e mondo arabo. Occorre dunque accelerare il cammino,
rilanciando un dialogo politico serrato, volto ad approfondire la collaborazione
tra Ue e Paesi arabi mediterranei a tutti i livelli: politico, economico,
sociale, culturale. E’ uno sforzo che avrà certamente un costo sia per l’Unione
europea che per i singoli Stati membri, compresa l’Italia. I dividendi,
tuttavia, soprattutto nel medio e nel lungo periodo, saranno considerevoli.
Questa sfida costituisce un fondamentale banco di prova per la nuova Commissione
europea, il cui impulso è fondamentale per l’avanzamento del partenariato
euro-mediterraneo. Su quest’ultimo, tuttavia, incombono due gravi ombre: la
crisi in Iraq, dove l’intreccio tra fondamentalismo e terrorismo rischia di
accrescere pericolosamente l’instabilità; e poi soprattutto il conflitto
israelo-palestinese, che risente della mancanza di progressi della road-map.
Sono persuaso che superare lo scontro tra Israele e palestinesi sia la premessa
necessaria per sconfiggere il terrorismo. Altrimenti il terrorismo finirà per
trovare ascolto anche all’interno dei Paesi islamici moderati».
Il 29 ottobre verrà firmato a Roma il
nuovo Trattato costituzionale europeo. Un traguardo per il quale lei si è speso
molto, negli anni scorsi.

«E’ un appuntamento decisivo, anche per dare un’anima all’Europa in un momento
in cui è fondamentale che tale "anima" esista. Con il Trattato gli Stati membri
s’impegnano a mettere in moto un processo unitario senza precedenti, nella
storia d’Europa: fino a garantire all’Unione la capacità di parlare con una
sola voce. Questo processo deve dunque costituire l’occasione per una piena
assunzione di responsabilità da parte di tutti i Paesi membri dell’Unione,
perchè il ritmo dell’integrazione rimanga inalterato e per una presa di
coscienza sulla necessaria adozione di comportamenti nazionali coerenti con gli
obblighi europei. Cio’ ancor più in politica estera, dove più forte e
impellente è l’esigenza di un’azione unitaria di fronte alle gravi sfide
internazionali».
Questo cenno all’esigenza di una
politica estera unitaria della Ue, ci porta alla riforma del Palazzo di Vetro
per i nuovi seggi permanenti al Consiglio di sicurezza. Ora, un seggio è ambi’to
dalla Germania, il cui ministro degli Esteri, Fischer, ha appena polemizzato con
il governo italiano, che chiedeva fosse invece assegnato all’Unione europea.
Fischer ha detto: «Invece di ostacolare la Germania, Roma chieda un seggio per
sè». Che cosa ne pensa?

«Fa bene l’Italia a non accettare di mettersi su questo piano, perchè
commetterebbe un grave errore: avallerebbe il principio delle politiche estere
nazionali, che noi riteniamo profondamente inadeguato alle esigenze odierne e
future di sicurezza, di sviluppo e di pace dei popoli europei. Non mettiamo in
discussione le presenze "storiche" nel Consiglio di sicurezza. La storia non si
cambia in un giorno. Chiediamo pero’ a tutti gli altri popoli europei, grandi e
piccoli, di affiancarsi all’Italia nella proposta di un seggio europeo, che sia
l’espressione concreta del progetto di un ministro degli Esteri europeo previsto
dalla nuova Costituzione. Insomma: la Magna Charta dell’Ue modifica lo scenario,
perchè attribuisce soggettività internazionale all’Unione. Sarebbe un
non-senso che il nuovo ministro degli Esteri europeo non sedesse all’Onu».
Non puo’ dunque esserci una nuova Onu
senza una presenza europea forte e unita?

«Certo, senza una forte presenza concorde dell’Europa non potremmo difendere e
proteggere gli interessi dei nostri popoli nel mondo. Infatti, se si riapre la
porta a iniziative e visioni nazionali della politica estera, e si vuole portare
questa visione nazionale nel cuore dell’Europa e del Consiglio di sicurezza, si
creano le premesse di un nuovo disordine europeo, si indebolisce la sicurezza e
lo sviluppo pacifico di tutti i popoli. Una riforma dell’Onu dovrebbe a mio
avviso unire i princi’pi della regionalizzazione e della rotazione, dentro al
Consiglio di sicurezza. Altrimenti sarebbe meglio lasciare le cose come stanno.
Vedremo a quali conclusioni arriverà il panel di esperti che sta lavorando su
questo tema, su incarico del segretario generale delle Nazioni Unite. Aggiungo
che, da Adenauer in poi, l’amica Germania è stata un motore dell’Europa: non
contraddica questa sua tradizione!».
Altre riforme comunque premono,
presidente, e riguardano la nostra Costituzione. Quella sul federalismo sta
animando contrasti molto forti.

«Osservo, innanzitutto, che quando si intende modificare le istituzioni portanti
della vita nazionale è giusto mettersi all’opera con spirito unitario,
ricercando convergenze le più larghe possibili fra tutte le forze politiche, di
governo e di opposizione. Non mi sembra utile che si proceda a colpi di
maggioranza quando sono in gioco interventi sui poteri dello Stato, sul ruolo di
Camera e Senato, sui poteri del premier e del capo dello Stato. E’
indispensabile, inoltre, che la più attenta cura sia posta nell’adottare
soluzioni che assicurino la coerenza e la funzionalità del quadro
costituzionale, nel suo insieme e in tutte le sue parti».
Questo vale come raccomandazione sul
metodo. Pero’ è nel merito di certe riforme che il conflitto politico sembra
difficile da comporre. Specie quella federalista. E’ vero che lei ha chiesto un
calcolo sui costi del federalismo?

«No, anche se, certo, vorrei conoscerli. Comunque ho sempre sostenuto che quel
primario valore costituzionale che è l’unità nazionale non è in contrasto con
le autonomie regionali e locali. Nessun contrasto, ripeto, purchè sia
salvaguardato il principio dell’"interesse nazionale", quale garanzia effettiva
dell’unità giuridica ed economica del Paese, e con essa la fondamentale
funzione istituzionale del Parlamento, espressione della volontà politica del
popolo italiano. Ho riflettuto per parecchie settimane prima di lanciare un
messaggio ad hoc , una decina di giorni fa, da Piacenza. Al di là della
retorica, intervenire in questa materia coincide con i miei sentimenti più
radicati e, insieme, con il giuramento che ho fatto sulla Costituzione, che
attribuisce al capo dello Stato proprio la funzione di rappresentante e garante
dell’unità nazionale. Vorrei che dall’amor di Patria più emotivo, quello che
sgorga dal cuore, si passasse a un vero e proprio patriottismo costituzionale».

Altro fronte di polemiche, quello della
giustizia. I magistrati minacciano di ricorrere ancora allo sciopero, contro la
nuova legge predisposta dalla maggioranza. Lei che cosa chiede, alla politica e
all’ordine giudiziario, perchè l’effetto complessivo della riforma non tocchi
gli equilibri dello Stato?

«Si’, questo tema è uno dei più urgenti e dei più attuali; un tema di
primaria importanza per l’ordinato svolgimento della vita civile. E’ all’esame
del Parlamento un progetto di riforma che tocca punti cruciali e nevralgici
dell’ordinamento giurisdizionale e che richiede, pertanto, un approfondito e
attento confronto con i parametri fissati dalle norme e dai principi
costituzionali che lo disciplinano. Percio’ rinnovo il mio invito pressante a
perseverare nel metodo del dialogo – tra forze politiche e fra queste e gli
operatori della giustizia – alla ricerca di soluzioni il più possibile
condivise. Evitando chiusure preconcette e forme estreme di protesta».
C’è chi ipotizza fin d’ora che lei
potrebbe non firmare quella legge.

«Non mi pronuncio rispetto a un iter legislativo in corso. La regola è che
"quando il Parlamento parla, il presidente della Repubblica tace". E cosi’ dev’essere».

A margine della legge Finanziaria che
le è appena stata sottoposta, in questi giorni si torna a discutere della crisi
dell’economia. Che cosa bisognerebbe fare, in concreto, per fronteggiare la
recessione e la perdita di competitività delle nostre imprese? Quanto possono
davvero incidere interventi sulla ricerca e l’innovazione?

«Dobbiamo affrontare il problema della crescita, della ricerca e
dell’innovazione in un Paese ricco di piccole e medie imprese, che sono la sua
forza, per la loro adattabilità, la loro capacità di cambiare, ma anche la sua
debolezza. In tutta Italia si riconosce la necessità di "fare sistema", di una
"alleanza delle autonomie", tra imprese, forze sindacali e politiche,
università, istituzioni locali e centrali, si parla di "concertazione" come
strumento per ridare la fiducia agli italiani, produttori e consumatori.
L’esperienza del mio viaggio in Italia dice che dietro questi princi’pi ci sono
tante realtà concretamente operanti. E dice anche che possiamo fare ancora
molto di più, inventare sempre nuovi strumenti per adattare questa Italia, con
i suoi grandi punti di forza e il prestigio del made in Italy , alla sfida
globale, alle opportunità e ai rischi della globalizzazione, che è una realtà
inarrestabile. Proporre al Paese un grande progetto comune, nel quadro di un
grande programma di sviluppo e crescita dell’Europa unita. Questo è il compito
da affrontare alla soglia del nuovo millennio».
Lei suggerisce un grande progetto
nazionale dentro la cornice europea. E pero’ ha più volte denunciato il fatto
che la Ue non riesca a darsi una politica economica comune.


«Quando varammo la moneta unica,

https://www.litis.it

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