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Cassazione: nuovo processo per Calogero Mannino. Annullata la sentenza di condanna. Processo di appello da rifare

Roma (Adnkronos/Ign) –
Un nuovo processo per l’ex ministro dell’Agricoltura Calogero Mannino, accusato
di concorso esterno in associazione mafiosa. Lo hanno deciso i giudici delle
sezioni unite della Corte di Cassazione, annullando la sentenza di condanna a 5
anni e 4 mesi di reclusione per l’ex esponente democristiano e rinviando il
processo a una nuova sezione di Corte d’Appello di Palermo

”Non ho nulla da commentarè’, ha detto all’ADNKRONOS l’esponente Dc, che non
era presente alla lettura del dispositivo anche se si trova a Roma insieme con
i suoi più stretti familiari. Assenti anche i suoi difensori, Grazia Volo,
Carlo Federico Grosso e
Salvo Riela. Al momento della lettura del dispositivo, era assente anche il
Procuratore generale Vincenzo Siniscalchi che questa mattina aveva chiesto ai
giudici delle sezioni unite l’annullamento della condanna a Mannino senza
rinvio. Al suo posto è venuto in aula il sostituto Vito Monetti.

I giudici della Corte Suprema, presieduti da Nicola Marvulli, sono rimasti in
camera di consiglio per quasi tre ore. Al termine sono arrivati alla
conclusione che ”il reato – cosi’ si legge nell’informazione provvisoria – è
configurabile a condizione che ‘il patto’ abbia un contenuto serio e concreto e
determini l’effettivo rafforzamento o consolidamento dell’associazione
mafiosà’. Gli ‘Ermellini’ fanno riferimento al presunto ‘patto’ che, secondo
la Procura di Palermo, l’ex ministro Dc avrebbe stretto con Cosa nostra. E
ribadiscono che ”le sentenze sono utilizzabili solo limitatamente ai fatti
processuali in esse documentati, con esclusione di ogni ricostruzione e
valutazione delle provè’.

Ecco, invece, quali sono le questioni esaminate da piazza Cavour: ”Se e in
quali limiti sia configurabile il concorso esterno nel reato di associazione di
tipo mafioso, nel caso di un patto di scambio tra l’appoggio elettorale da
parte dell’associazione e l’appoggio promesso a questa da parte del candidato”
e ”se siano utilizzabili ai fini probatori le sentenze pronunciate in
procedimenti penali diversi, anche nel caso in cui esse non siano ancora
divenute irrevocabili”.

A togliere Mannino dall’arena politica furono le manette scattate ai suoi polsi
il 13 febbraio del ’95, arresto preceduto undici mesi prima da un avviso di
garanzia per mafia. Una sorta di paradosso per un politico che nel ’91 sui suoi
manifesti elettorali aveva lo slogan contro la mafia ”costi quel che costi”.
E ancora di più quella di mafia era un’accusa infamante per ‘lui’ che era
stato uno dei sostenitori più convinti del giudice Giovanni Falcone alla
Superprocura.

Il 18 gennaio del 2001 Calogero Mannino non è più un ex politico. Torna
infatti nell’arena accolto con un applauso che suggella la sua elezione alla
presidenza del Cdu siciliano, formazione politica da cui in seguito si
allontanerà dimettendosi dalla presidenza. L’ultima volta che il nome di
Mannino appare in una lista elettorale è invece nel ’95, quando ”lui”,
democristiano da sempre, si candida alle politiche con una lista ”fai da tè’.
Dodicimila i voti raccolti, che non bastano pero’ per essere eletto al Senato.
Rinchiuso in una cella e successivamente agli arresti domiciliari, l’ex
ministro passa 700 giorni.

Ritorna in libertà nel gennaio del ’97 a circa due anni dal suo arresto. Da allora è
sempre presente a ogni udienza del processo a suo carico davanti ai giudici
della seconda sezione del tribunale di Palermo. Nel frattempo del suo rientro
in politica, Mannino cura un suo vecchio hobby: la produzione di vino.
Nell’isola di Pantelleria impianta una produzione di passito che va pure nella
vetrina italiana del Vinitaly di Verona.

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