Corte Costituzionale

Fallimenti. Il termine di 20 giorni per le contestazioni al piano di riparto deve decorrere dalla notifica dell’avvenuto deposito e non dalla pubblicazione in Gazzetta – CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 154 del 14/04/2004

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E’costituzionalmente illegittimo l’art. 213,
secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare),
nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei creditori, il termine
perentorio di venti giorni per proporre contestazioni avverso il piano di
riparto, totale o parziale, dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
notizia dell’avvenuto deposito del medesimo in cancelleria, anzichè dalla
comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo di raccomandata con
avviso di ricevimento ovvero con altra modalità prevista dalla legge. La Corte
costituzionale, alla stregua della propria giurisprudenza, ha rilevato che la
norma in questione sacrifica, gravemente ed ingiustificatamente, il diritto dei
creditori di avere conoscenza del piano di riparto allo scopo di proporre
tempestivamente le eventuali contestazioni avverso lo stesso.

 


CORTE
COSTITUZIONALE, Sentenza n. 154 del 14/04/2004

(
Presidente A. Marini,  Relatore R. Vaccarella)


 

RITENUTO IN FATTO

1.− Nel corso di un giudizio di opposizione al piano di riparto finale di una
procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge 30 gennaio
1979, n. 26 (Provvedimenti urgenti per l’amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile
1979, n. 95, la Corte d’appello di Ancona, con ordinanza del 18 dicembre 2003,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.
3, 24, 97 e 111 della Costituzione, dell’art. 213 del regio decreto 16 marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo,
dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa),
nella parte in cui fa decorrere il termine di venti giorni, per la proposizione
da parte dei creditori delle contestazioni al piano di riparto finale,
dall’inserzione nella Gazzetta Ufficiale dell’avviso dell’avvenuto deposito
dell’atto presso la cancelleria del tribunale, anzichè dalla ricezione della
raccomandata con avviso di ricevimento contenente la notizia dell’avvenuto
deposito.

1.1.− Premette la Corte rimettente che un dipendente della SIMA Meccanica
Oleodinamica s.p.a. in amministrazione straordinaria, vantando nei confronti di
quest’ultima un credito per differenze di trattamento di fine rapporto, aveva
impugnato dinanzi al Tribunale ordinario di Ancona il piano di riparto finale
redatto a conclusione della procedura concorsuale.

La società convenuta, costituitasi in persona del commissario straordinario,
aveva eccepito in rito la tardività del ricorso, perchè proposto oltre il
termine di venti giorni dal compimento delle formalità previste dall’art. 213
del r.d. n. 267 del 1942 (legge fallimentare); nel merito aveva dedotto
l’infondatezza della domanda.

Con sentenza del 29 giugno 2000 l’adi’to Tribunale aveva dichiarato
inammissibile il ricorso perchè tardivo, osservando che il decreto-legge n. 26
del 1979, disciplinante la procedura cui era sottoposta la SIMA Meccanica
Oleodinamica s.p.a., richiama, all’art. 1, sesto comma, le norme del r.d. n. 267
del 1942 relative alla liquidazione coatta amministrativa (artt. 195 e
seguenti); sicchè la fase di chiusura della procedura di amministrazione
straordinaria è regolata dall’art. 213 della legge fallimentare, il quale
stabilisce che il piano di riparto tra i creditori dev’essere depositato, previa
autorizzazione dell’autorità vigilante, presso la cancelleria del tribunale;
che dell’avvenuto deposito è data notizia mediante inserzione nella Gazzetta
Ufficiale e che nel termine di venti giorni dall’inserzione gli interessati
possono proporre, con ricorso al tribunale, le loro contestazioni.

Avverso detta pronuncia aveva proposto appello il Belardinelli, deducendo, fra
l’altro, la incostituzionalità del citato art. 213.

1.2.− Affermata la sicura rilevanza della questione di legittimità
costituzionale ai fini della decisione sul proposto gravame, la Corte d’appello
reputa la questione non manifestamente infondata.

La norma impugnata sarebbe discriminatoria e lesiva del diritto di difesa dei
creditori ammessi al passivo, laddove impone loro di impugnare il piano di
riparto finale nel termine di venti giorni dalla pubblicazione, nella Gazzetta
Ufficiale e nei giornali designati dall’autorità che vigila sulla procedura,
dell’avviso dell’avvenuto deposito.

Osserva il giudice a quo che tale forma di pubblicità presuppone un onere di
diligenza eccessivo, insostenibile non solo per qualsiasi privato cittadino, ma
anche per qualsiasi organizzazione, pubblica o privata. Occorrerebbe, infatti,
sobbarcarsi l’onere della consultazione quotidiana della Gazzetta Ufficiale o di
imprecisati giornali scelti dall’organo di vigilanza, per tutta la durata della
procedura, la quale puo’ protrarsi per vari anni.

Ad avviso della Corte rimettente, invece, i creditori hanno diritto “di ricevere
diretta formale comunicazione dall’organo della procedura del deposito dei piani
di riparto”.

La Corte costituzionale, invero, ha già dichiarato la illegittimità
costituzionale di numerose disposizioni della legge fallimentare, che facevano
decorrere termini di impugnazione dalla data di deposito o di pubblicazione,
ponendo il principio che il termine per la tutela dei diritti decorre dalla data
di notifica o di comunicazione dei provvedimenti.

In conclusione, secondo il giudice a quo, per effetto della disposizione
censurata non troverebbero realizzazione il principio costituzionale del giusto
processo, l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, l’art. 15 (recte: 14) del Patto internazionale di
New York sui diritti civili e politici, come pure molte direttive comunitarie.

1.3.- Con atto del 20 gennaio 2004 si sono costituiti nel giudizio incidentale
di costituzionalità gli eredi del ricorrente, i quali hanno concluso per
l’accoglimento della questione.

Osserva, preliminarmente, la parte privata che il termine di venti giorni per
opporsi al piano di riparto decorre esclusivamente dall’avvenuta pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale della notizia dell’avvenuto deposito, nessun effetto
essendo, invece, connesso alla pubblicazione sugli altri organi di stampa
designati dalla autorità di vigilanza.

Cio’ precisato, rileva che la mancata diretta comunicazione ai creditori impone
a costoro oneri abnormi, tenuto conto della indeterminata durata delle
procedure, della inesigibilità del grado di diligenza richiesto per soddisfare
l’onere in questione, peraltro, non imposto da alcuna ragione; che, d’altra
parte, altre disposizioni della stessa legge fallimentare prevedono che i
soggetti interessati ad opposizioni o ad impugnazioni di atti della procedura
debbono avere diretta comunicazione di fatti od atti potenzialmente lesivi.

La disposizione impugnata, oltre che irragionevole, sarebbe lesiva sia del
diritto alla difesa sia di quello al giusto processo, nonchè del principio di
buona amministrazione, sotto il profilo del “giusto procedimento”, di cui alla
legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), avendo la
liquidazione coatta amministrativa carattere non giurisdizionale; infine, essa
violerebbe il principio di uguaglianza, essendo ingiustificato il diverso
trattamento fatto a chi intenda proporre opposizione od impugnazione ex artt. 98
o 100 della legge fallimentare e a chi intenda proporre ricorso ex art. 213
della stessa legge.

1.4.− E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
per la infondatezza della questione.

Ad avviso della difesa erariale, sebbene la tutela dei diritti imponga di far
decorrere il termine per l’impugnazione di qualsiasi provvedimento
giurisdizionale dalla data della notificazione o comunicazione nelle forme
ordinarie, tuttavia il diritto di difesa puo’ variamente atteggiarsi, in
funzione delle peculiari caratteristiche dei diversi tipi di procedimento e
delle esigenze di giustizia. In virtù di tale principio, la Corte
costituzionale ha ritenuto legittimo l’eccezionale ricorso a strumenti, quali la
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, idonei a creare una presunzione di
conoscenza, anzichè l’effettiva conoscibilità dell’atto, nei casi in cui sia
impossibile o sommamente difficoltosa la notificazione nelle forme ordinarie.

Ipotesi di tale genere sono previste sia nella disciplina delle procedure
concorsuali (artt. 126 e 171 della legge fallimentare) sia nel codice di
procedura civile (art. 150).

Analogamente è previsto dalla disposizione impugnata, della quale, data la
particolarità della fattispecie regolata e l’elevato livello di conoscibilità
assicurato dalle forme di pubblicità ivi indicate, puo’ escludersi
l’irragionevolezza, nonchè il contrasto con il diritto di difesa o con il
principio del giusto processo.

Infatti, l’onere imposto agli interessati e la presunzione di conoscenza
derivante dal sistema di pubblicità adottato trovano giustificazione nel
rilevante numero e nella dislocazione territoriale (anche internazionale) degli
interessati; elementi, questi, che renderebbero sommamente difficile, se non
impossibile, la comunicazione diretta degli atti ai creditori, tenuto anche
conto delle esigenze di celerità e speditezza che caratterizzano le procedure
concorsuali, compresa l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in
crisi.

1.5.− La costituita parte privata ha depositato memoria illustrativa, nella
quale ribadisce le sue conclusioni.

Nel mettere in evidenza che la procedura di amministrazione straordinaria della
SIMA Meccanica Oleodinamica s.p.a. è durata circa diciassette anni, osserva che
è del tutto inesigibile l’onere di informazione che, ai fini della
tempestività dell’impugnazione del piano di riparto, grava sui singoli
creditori, ove essi non ricevano comunicazione diretta dell’avvenuto deposito.

La Corte costituzionale ha affermato il diritto del cittadino di essere
informato “di cio’ che tocca i suoi diritti”, di talchè le disposizioni che,
come quella denunciata, fanno decorrere un termine da un fatto ignoto
all’interessato, vanificandone il diritto di difesa, sono in contrasto con i
parametri costituzionali evocati dal giudice rimettente.

Infatti, per un verso, l’onere di conoscenza imposto agli interessati dalla
norma impugnata è di impossibile assolvimento e, per altro verso, la dispensa
dell’organo gestorio della procedura concorsuale dalla diretta comunicazione
dell’avvenuto deposito del piano di riparto (quanto meno) ai “creditori in
prededuzione” (fra i quali era annoverabile il ricorrente) costituisce esonero
da un incombente di modestissima entità, quanto a impegno e costo.

La sproporzione fra le due situazioni ” l’una di onere, l’altra di agevolazione
” è indice della irrazionalità della norma, la quale viola, altresi’, il
principio di uguaglianza, quello di tutela delle posizioni soggettive in
giudizio, quello di buon andamento della pubblica amministrazione, collocata
senza ragione su di un piano di supremazia, nonchè quello del giusto processo.

Infine, la parte deducente, richiamata la sentenza della Corte costituzionale n.
117 del 1994, circa la distinzione e il coordinamento fra ordinamento italiano e
ordinamento europeo, denuncia il contrasto della norma censurata con diverse
disposizioni internazionali pattizie, poste a garanzia dei diritti fondamentali,
fra i quali vi è quello di difesa, che per il suo effettivo esercizio esige che
sia conosciuto cio’ da cui ci si deve difendere.

1.6.− In prossimità dell’udienza l’Avvocatura generale dello Stato ha
depositato memoria, con la quale svolge ulteriori argomentazioni, concludendo
per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione.

In punto di rilevanza, la difesa erariale osserva che l’art. 1 del decreto-legge
n. 26 del 1979 è stato abrogato dall’art. 109 del decreto legislativo 8 luglio
1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in stato di insolvenza, a norma dell’art. 1 della legge 30 luglio 1998,
n. 274), il cui art. 75, ora, stabilisce che il bilancio finale della procedura
con il conto della gestione sono depositati dal commissario straordinario presso
la cancelleria del tribunale, previa autorizzazione del Ministero vigilante; che
un avviso dell’avvenuto deposito è, a cura del cancelliere, comunicato
all’imprenditore insolvente e affisso; che gli interessati possono proporre le
loro contestazioni con ricorso al tribunale nel termine di venti giorni,
decorrente per l’imprenditore dalla comunicazione e per ogni altro interessato
dall’affissione; infine, che si osservano le disposizioni dell’art. 213, secondo
comma, secondo e terzo periodo, della legge fallimentare.

Orbene, non essendo più in vigore la norma denunciata, che faceva decorrere il
termine dalla pubblicazione dell’avviso nella Gazzetta Ufficiale, l’ordinanza di
rimessione risulta carente di motivazione in ordine alla rilevanza della
questione per quanto attiene all’applicabilità della norma impugnata nel
giudizio a quo.

Sotto altro profilo ancora, la deducente contesta la rilevanza della questione,
per la considerazione che con le osservazioni ex art. 213 della legge
fallimentare, per pacifica giurisprudenza, non possono essere fatte valere
pretese attinenti alla esistenza, all’ammontare e al rango dei crediti, le quali
debbono essere azionate con l’opposizione allo stato passivo.

Nel merito, la difesa erariale osserva che la giurisprudenza costituzionale,
nell’accogliere o rigettare eccezioni analoghe a quelle ora in esame, ha
costantemente affermato la necessità di contemperare le esigenze, ugualmente
degne di tutela, di tutti i protagonisti della vicenda processuale, e cosi’ di
attuare un bilanciamento tra i contrapposti interessi, affinchè il diritto
dell’uno non si risolva nella compressione del diritto degli altri. In
particolare, poichè alla luce del novellato art. 111 Cost. e dell’art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il diritto alla durata ragionevole
del processo va considerato di valore equivalente a quello del diritto stesso
alla difesa piena e reale, occorre cons

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