Corte Costituzionale

Disconoscimento di paternità. Non è necessario dimostrare l’adulterio per richiedere le prove ematologiche e genetiche – CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 266 06/07/2006

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E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 235,
primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui, ai fini
dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove
tecniche, da cui risulta “che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del
gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre”, alla previa
dimostrazione dell’adulterio della moglie

Secondo la Consulta, è irregionelvole una
previsione legislativa che, ai fini del disconoscimento della paternità,
richiede la previa prova dell’adulterio della moglie, in presenza di un
progresso scientifico che consente di ottenere direttamente ” e quindi senza
passare attraverso la dimostrazione dell’adulterio ” una sicura esclusione della
paternità, che rappresenta l’obiettivo finale dell’azione di cui si tratta,
attraverso accertamenti tecnici capaci di fornire risultati la cui piena
attendibilità è unanimemente riconosciuta.

 

(M.M., © Litis.it, 26 Settembre 2006)

 

 


CORTE
COSTITUZIONALE, Sentenza n. 266 06/07/2006

(Presidente A.
Marini – Relatore A. Finocchiaro)

 

RITENUTO IN FATTO

1. ” La Corte di cassazione, I sezione civile, con ordinanza emessa in data 5
giugno 2004 (reg. ord. n. 737 del 2004), sul ricorso avverso la pronuncia della
Corte d’appello di Roma che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Roma
di rigetto della domanda di disconoscimento della paternità ex art. 235 del
codice civile ” osservando che la prova per testi dedotta (tendente a dimostrare
una pluralità di incontri notturni della moglie del ricorrente, di professione
“accompagnatrice per professionisti”, con uomini diversi in camere d’albergo)
era stata correttamente ritenuta dal primo giudice inidonea a dimostrare che la
moglie del ricorrente avesse commesso adulterio nel periodo del concepimento, e
che la esistenza di relazioni intrattenute in altra epoca non poteva fornire la
prova per presunzioni dell’adulterio in detto periodo, nemmeno ai fini
dell’espletamento della consulenza tecnica ematologica, gravando sull’attore
l’onere della prova certa di un vero e proprio adulterio “, ha sollevato, su
eccezione del ricorrente, questione di legittimità costituzionale dell’art.
235, primo comma, numero 3, cod. civ., “nella parte in cui ammette il marito a
provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno
incompatibili con quelle del presunto padre se nel periodo del concepimento la
moglie ha commesso adulterio”.

La questione, osserva il Collegio rimettente, è rilevante in quanto, nel
procedimento a quo, il ricorrente si doleva del fatto che la c.t.u. ematologica
da lui richiesta non fosse stata espletata perchè non ritenuta ammissibile dal
giudice di merito per integrare la prova carente dell’adulterio della moglie.
Detta esclusione è ritenuta corretta dal rimettente, siccome basata su di una
esatta interpretazione dell’art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ., e
coerente con la giurisprudenza di legittimità, in quanto, ai sensi della citata
norma, l’indagine sul verificarsi dell’adulterio ha carattere preliminare
rispetto a quella sulla sussistenza o meno del rapporto procreativo; sicchè la
prova genetica o ematologica (che, peraltro, a seguito della nuova formulazione
dell’art. 235 quale risultante dalla riforma del diritto di famiglia, non solo
ha dignità probatoria pari a tutte le fonti di convincimento, ma puo’ formare
oggetto di richiesta di prova, come gli altri mezzi istruttori, e non soltanto
di istanza diretta a sollecitare l’esercizio di un potere proprio del giudice),
anche se espletata contemporaneamente alla prova dell’adulterio, puo’ essere
esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest’ultima prova e al
diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda.

Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità come
sollevata dal ricorrente ” che aveva eccepito il contrasto con gli artt. 3, 24 e
30 della Costituzione dell’art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ., nella
parte in cui consente l’azione di disconoscimento della paternità nei soli
limitati casi ivi previsti ” il Collegio rimettente la ha esclusa con riguardo
all’art. 30 della Costituzione, e in riferimento all’art. 3 della Costituzione
sotto il profilo della lamentata disparità di trattamento rispetto alla
impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio naturale
ex art. 263 cod. civ. ” che consente all’attore di utilizzare qualsiasi mezzo di
prova ” trattandosi di una situazione oggettivamente diversa da quella in esame
e nella quale si pongono esigenze di tutela del figlio legittimo.

La Corte ha ritenuto, invece, non manifestamente infondata la questione in
riferimento all’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della
irragionevolezza, e all’art. 24, secondo comma, della Costituzione.

Al riguardo, si osserva che le norme che rendano estremamente difficile
l’esercizio del diritto di difesa possono comportare violazione del precetto
costituzionale dell’art. 24 della Costituzione, e che la valutazione della
difficoltà di esercizio di tale diritto, pur se deve prescindere dalle
peculiarità di casi particolari, non puo’ tuttavia trascurare del tutto la
considerazione della realtà sociale. I cambiamenti intervenuti nella società
italiana quanto ai modelli di vita, rileva il Collegio rimettente, coinvolgono
anche i rapporti coniugali, modificati, tra l’altro, per effetto della
diffusione del lavoro femminile, e della mobilità richiesta ai lavoratori
nonchè della lontananza dei luoghi di lavoro dall’abitazione. Inoltre, è ormai
costume diffuso che i coniugi trascorrano separatamente parte del loro tempo
libero, ed anche periodi di vacanza. In questo quadro, la prova dell’adulterio
della moglie ” il quale puo’ consistere anche in un unico atto di infedeltà,
conseguenza di un rapporto occasionale ” puo’ essere estremamente difficile.

D’altra parte, è dubbio che possa considerarsi ancora ragionevole una
previsione legislativa che, ai fini del disconoscimento della paternità,
richiede la previa prova dell’adulterio della moglie, in presenza di un
progresso scientifico che consente di ottenere direttamente ” e quindi senza
passare attraverso la dimostrazione dell’adulterio ” una sicura esclusione della
paternità, che rappresenta l’obiettivo finale dell’azione di cui si tratta,
attraverso accertamenti tecnici capaci di fornire risultati la cui piena
attendibilità è unanimemente riconosciuta.

Il Collegio, sottolineata la irrilevanza dell’adulterio in sè ai fini del
disconoscimento di paternità, ritiene che una diversa interpretazione,
costituzionalmente orientata, dell’art. 235, primo comma, numero 3 ” che
consideri indirettamente raggiunta la prova dell’adulterio attraverso la
esclusione della paternità a seguito dei risultati della prova genetica o
ematologica ” sia preclusa dalla volontà del legislatore, chiaramente
desumibile anche dai lavori parlamentari per la riforma del diritto di famiglia,
di non consentire il disconoscimento della paternità sulla base dei risultati
del solo accertamento tecnico.

2. ” Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la parte privata del
procedimento a quo, che ha concluso per la dichiarazione di illegittimità
costituzionale della norma impugnata, sulla base di argomentazioni adesive a
quelle sostenute nella ordinanza di rimessione.

3. ” Con ordinanza emessa in data 28 ottobre 2004 (reg. ord. n. 203 del 2005),
nel corso del procedimento promosso da un soggetto nei confronti dei genitori,
contumaci, per il disconoscimento di paternità, il Tribunale di Rovigo ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ.,
nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio presenta
caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del
presunto padre, solo se nel periodo di concepimento la moglie ha commesso
adulterio.

Il Collegio a quo ” cui la causa, dopo la istruzione mediante prove testimoniali
sull’adulterio della madre e consulenza tecnica ematologica e genetica, era
stata rimessa ” dopo aver rilevato che l’esito delle prime appariva quanto meno
dubbio, e che certo era, invece, l’esito delle indagini genetiche, che escludeva
la paternità del convenuto, ha osservato che detta prova certa non consentiva
l’accoglimento della domanda perchè, secondo l’orientamento consolidato della
giurisprudenza della Cassazione, l’art. 235, primo comma, numero 3, cod. civ. va
interpretato nel senso che l’adulterio deve essere preliminarmente ed
autonomamente provato perchè possa darsi ingresso alle prove genetiche ed
ematologiche.

Cosi’ interpretata, peraltro, detta norma, secondo il Collegio rimettente, si
pone in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, con
riferimento al principio di ragionevolezza e al diritto di difesa. Al riguardo,
si richiamano, nella ordinanza di rimessione, le argomentazioni che sono alla
base della proposizione di analoga questione da parte della Corte di cassazione
(ord. r.o. n. 737 del 2004), cui viene aggiunto il rilievo, riguardante il caso
di specie, che la prova dell’adulterio, già difficile per il marito, lo è
ancora di più per il figlio, il quale viene per lo più a conoscenza
dell’adulterio della madre a distanza di anni, quando ormai la prova
testimoniale gli sarebbe pressochè impossibile.

4. ” La Corte d’appello di Venezia, con ordinanza emessa il 30 marzo 2005 (reg.
ord. n. 327 del 2005), nel corso di un giudizio presumibilmente di
disconoscimento di paternità (nessun argomento al riguardo viene addotto dalla
Corte), in cui l’attore non aveva fornito la prova dell’adulterio della moglie,
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 11 (recte: 111) e 24 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 235 cod. civ.,
nella parte in cui richiede, quale presupposto di detta azione, la preventiva
prova dell’adulterio.

Si osserva nella ordinanza che, in presenza di un progresso scientifico che
consente di ottenere in via diretta, senza passare attraverso la prova
dell’adulterio, una sicura esclusione della paternità, non appare ragionevole
richiedere la preventiva prova dell’adulterio della moglie, e che inoltre
l’adulterio in sè, inteso come violazione dell’obbligo della fedeltà nei
confronti del coniuge, è irrilevante ai fini del disconoscimento di paternità;
sicchè, il ritenere pregiudiziale la prova dell’adulterio della moglie
precluderebbe, nella specie, l’esercizio del diritto di difesa e del diritto al
giusto processo dell’appellante, che aveva tempestivamente chiesto l’esperimento
della prova ematologica.

5. ” Con tre distinti, ma sostanzialmente identici atti, ha spiegato intervento
nei giudizi innanzi alla Corte il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per
la manifesta infondatezza della questione.

Ha rilevato la difesa erariale che, alla stregua dell’art. 235 cod. civ., come
inteso anche dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, l’indagine sulla
esistenza dell’adulterio ai fini dell’azione di disconoscimento di paternità,
avendo carattere preliminare, deve essere effettuata autonomamente, senza la
possibilità di utilizzare a tal fine la prova genetica e/o ematologica, che non
puo’ tradursi in un mezzo meramente esplorativo o da sperimentarsi sulla base di
meri sospetti di infedeltà.

L’Avvocatura generale ha anche richiamato la giurisprudenza costituzionale che
ha valutato la conformità a Costituzione delle norme in materia con riguardo al
solo termine per agire in giudizio e non alla congruità dei presupposti, la cui
determinazione va rimessa al legislatore. In tale ottica delimitata andrebbero
intese le affermazioni della Corte costituzionale volte a superare la prevalenza
accordata dalla normativa anteriore alla riforma del diritto di famiglia al
favor legitimitatis rispetto al favor veritatis. Del resto, lo spostamento verso
quest’ultimo non assumerebbe mai valore assoluto (v. sentenza n. 170 del 1999),
e sarebbe temperato dal favor minoris, e, quindi, dalla necessità di non
sconvolgere rapporti familiari protrattisi nel tempo.

6. ” Nell’imminenza dell’udienza la difesa erariale ha depositato tre distinte,
ma pressocchè identiche memorie, aggiungendo che, allo stato degli studi
scientifici, la prova ematologica e/o genetica consente di escludere la
paternità solo nel caso di assoluta incompatibilità tra i gruppi sanguigni e
il DNA, mentre, nei casi di compatibilità, il giudizio non puo’ essere espresso
con altrettanta certezza.

La Costituzione, rileva l’Autorità intervenuta, non ha attribuito valore
preminente ed assoluto alla verità biologica rispetto a quella legale, ma,
disponendo, al quarto comma dell’art. 30 della Costituzione, che “la legge detta
le norme ed i limiti per la ricerca della paternità”, ha demandato al
legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori
di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella biologica,
nonchè di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima,
cosi’ affidando allo stesso legislatore anche la valutazione in via generale
della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del minore.

Considerato in diritto

1. ” La Corte di cassazione, I sezione civile, dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella
parte in cui, ai fini del disconoscimento della paternità, ammette il marito a
provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno
incompatibili con quelle del presunto padre solo dopo aver provato che nel
periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio. Secondo il giudice
rimettente, la norma si pone in contrasto co

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