Corte Costituzionale

Illegittima l’assistenza di un difensore per il testimone precedentemente assolto – CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 381 del 21/11/2006

Nuova pagina 1


Con la
sentenza in esame la Corte Costituzionale ha dichiarato

l’illegittimità costituzionale dell’art. 197-bis,
commi 3 e 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono,
rispettivamente, l’assistenza di un difensore e l’applicazione della
disposizione di cui all’art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per
le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis
cod. proc. pen., nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione
"per non aver commesso il fatto" divenuta irrevocabile.

Secondo la
Corte, la circostanza che nei confronti del soggetto, originariamente coimputato
o imputato di reato connesso o collegato, sia intervenuta sentenza irrevocabile
di assoluzione "per non aver commesso il fatto" − attestando in modo
incontrovertibile la sicura estraneità di quel soggetto rispetto alla
regiudicanda ” elide ogni possibile "stato di relazione" con la vicenda
processuale, nel cui ambito è resa la testimonianza. Se, infatti, l’effetto
preclusivo del giudicato assolutorio produce la conseguenza di dissolvere,
pro futuro, qualsiasi
nesso giuridicamente rilevante tra la persona ed il fatto oggetto della
originaria imputazione − tale essendo lo stesso etimo che contraddistingue la
absolutio dalla istanza punitiva − è postulato
indefettibile di tale restituito in integrum per
l’innocente, riconosciuto formalmente tale, anche il totale ripristino della sua
terzietà rispetto a quel fatto.


CORTE
COSTITUZIONALE, Sentenza n. 381 del 21/11/2006

(Presidente:
Franco BILE Presidente, Relatore: Giovanni Maria FLICK)

nel giudizio
di legittimità costituzionale dell’articolo 197-bis,
commi 3 e 6 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 17
novembre 2004 dal Tribunale di Fermo, nel procedimento penale a carico di C.P.P.
ed altro, iscritta al n. 59 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie
speciale, dell’anno 2005.


Visto

l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;


udito

nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2006 il Giudice relatore Giovanni
Maria Flick.


Ritenuto in
fatto

1. − Con
l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Fermo ha dichiarato rilevante
e non manifestamente infondata − in riferimento all’art. 3, primo comma, della
Costituzione − la questione di legittimità costituzionale dell’art. 197-bis,
commi 3 e 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui,
rispettivamente, prevedono l’obbligo di assistenza difensiva e l’applicazione
della disposizione di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. anche alle
dichiarazioni rese dalle persone indicate al comma 1 dello stesso art. 197-bis,
nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di assoluzione.

Il giudice
rimettente espone che, in relazione al fallimento di una società commerciale,
il pubblico ministero aveva esercitato, nei confronti di tre soggetti, azione
penale per il reato di bancarotta fraudolenta documentale; all’udienza
preliminare, uno dei tre imputati aveva chiesto di essere giudicato con le forme
del rito abbreviato, all’esito del quale era stato assolto per non aver commesso
il fatto, con sentenza divenuta irrevocabile. In esito al rinvio a giudizio
disposto per gli altri imputati, l’organo dell’accusa aveva indicato, nella
lista testimoniale ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., l’originario
coimputato assolto quale testimone assistito ex art. 197-bis
cod. proc. pen. ed il Tribunale, all’udienza fissata per la sua escussione,
sollevava d’ufficio la questione di legittimità costituzionale in oggetto.

Il rimettente
osserva, in punto di rilevanza, come dall’accoglimento della questione
discenderebbe l’eliminazione dell’obbligo della nomina del difensore per il
testimone, prescritto dal comma 3 dell’art. 197-bis
cod. proc. pen.; e come, per altro verso, le dichiarazioni accusatorie
provenienti dallo stesso potrebbero essere idonee, se intrinsecamente credibili,
a fondare l’affermazione di responsabilità anche in assenza di ulteriori
elementi di prova che ne confermino l’attendibilità (art. 197-bis,
comma 6, cod. proc. pen.), nella specie carenti almeno in relazione ad uno dei
due imputati.

Nel merito,
il Tribunale richiama innanzitutto la pronuncia di questa Corte (ordinanza n.
256 del 2004) con la quale è stata dichiarata manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 197-bis,
comma 6, cod. proc. pen. sollevata, in relazione all’art. 3 della Costituzione,
con riferimento alle dichiarazioni rese, quale testimone assistito, da persona
originariamente coimputata nel medesimo reato e nei cui confronti era stata
pronunciata sentenza irrevocabile di applicazione della pena
ex art. 444 cod. proc. pen.

Il giudice
a quo rammenta come nell’argomentazione di tale
pronuncia questa Corte rilevasse, alla luce della normativa di attuazione del
"giusto processo" (legge 1° marzo 2001, n. 63), che l’armoniosa coesistenza tra
disciplina del diritto al silenzio ed obbligo di dichiarazione nel processo è
stata normativamente realizzata con l’applicazione di un principio di
graduazione: principio ” espresso dalla diversificazione delle figure di
dichiaranti nel processo, in ragione dei diversi "stati di relazione" rispetto
ai fatti oggetto del procedimento − che, partendo da una condizione di assoluta
indifferenza propria del teste ordinario, giunge fino alla forma del totale
coinvolgimento propria del concorrente nel medesimo reato. Il rimettente
evidenzia poi come, secondo la citata pronuncia, ai vari stati di relazione
corrispondano, oltre che diverse figure soggettive di dichiaranti, anche diverse
modalità di dichiarazione e diverse valenze probatorie del dichiarato.

Proprio alla
luce di tali principi teorici, ad avviso del Tribunale, l’odierno dubbio di
legittimità costituzionale si palesa fondato: il fatto che sia intervenuta una
sentenza di assoluzione piena "per non aver commesso il fatto", nei confronti
del soggetto già coimputato, è circostanza idonea ad eliminare qualsiasi
"stato di relazione" di quel dichiarante rispetto ai fatti oggetto del
procedimento; e poichè l’estraneità dell’imputato è stata accertata in modo
irrevocabile, tale situazione "deve essere, almeno giuridicamente, assimilata
alla situazione di indifferenza del teste ordinario".

Stigmatizzata
l’implicazione negativa del meccanismo normativo oggetto di censura − che
assegna all’esercizio di una azione penale, risultata totalmente ingiusta, un
"marchio indelebile" nei confronti di un soggetto − il Tribunale rimettente
assume che la disciplina censurata, oltre a violare la ragionevolezza
intrinseca, risulta in contrasto con il principio di eguaglianza. Infatti, tale
disciplina parifica la posizione dell’imputato in procedimento connesso o di
reato collegato, assolto con sentenza irrevocabile, a quella della persona
dichiarante ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.; e, per converso, "la
diversifica profondamente da quella del testimone ordinario", tanto sotto il
profilo dell’obbligo di assistenza difensiva, quanto sotto quello della
limitazione probatoria delle dichiarazioni. Ma, ad avviso del giudice
a quo, se il dichiarante ai sensi dell’art. 210 cod.
proc. pen. è fondatamente considerato suspectus −
non avendo definito ancora la propria posizione, e risultando in stretta
relazione con il reato per cui si procede ” cio’ non puo’ valere per la persona
giudicata innocente in via definitiva, che del tutto irragionevolmente si
presume possa mentire, a dispetto della sentenza assolutoria irrevocabile. Il
legislatore − conclude il rimettente − ha in tal modo sovrapposto e confuso "la
sfera della limitata capacità testimoniale con quella dell’attendibilità in
concreto, che attiene al principio del libero convincimento del giudice": anche
la persona offesa dal reato o i prossimi congiunti dell’imputato possono porre
seri problemi di attendibilità e, nondimeno, rispetto a costoro non esiste
alcuna capitis deminutio testimoniale, che invece
persiste, irragionevolmente, rispetto all’assolto.

2. − Nel
giudizio di costituzionalità ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per
chiedere che la questione sia dichiarata infondata. La difesa erariale ha
evidenziato come anche per il caso dell’assolto già coimputato residui ”
rispetto alla regiudicanda ” "un margine di contiguità, atto a incidere sulla
valenza probatoria della dichiarazione": e la scelta del "tasso di rilevanza" da
accordare a tale contiguità, nonchè la conseguente opzione di regolamentazione
processuale, spettano alla discrezionalità del legislatore, esercitata, nella
specie, senza alcun vulnus del principio di
ragionevolezza.


Considerato
in diritto

1. − Il
Tribunale di Fermo dubita, in relazione all’art. 3, primo comma, della
Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 197-bis,
commi 3 e 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui tali
disposizioni richiedono, rispettivamente, l’obbligo di assistenza difensiva e
l’applicazione della regola di valutazione della prova, prevista nel comma 3
dell’art. 192 del medesimo codice, anche alle dichiarazioni rese dalle persone
indicate al comma 1 dello stesso art. 197-bis, nei
cui confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di assoluzione "per
non aver commesso il fatto".

In
particolare, il Tribunale rimettente assume che la normativa censurata
violerebbe il parametro costituzionale sotto un duplice aspetto: per un verso,
differenziando irragionevolmente, rispetto alla disciplina della prova
dichiarativa proveniente dal teste ordinario, le modalità di assunzione e
l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da un soggetto ” già coimputato
o imputato di procedimento connesso o di reato collegato ai sensi dell’art. 371,
comma 1, lettera b) cod. proc. pen. ” nei cui
confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di assoluzione con la
formula più ampia ("per non aver commesso il fatto"); per altro verso ” e
simmetricamente ” assimilando il regime giuridico delle dichiarazioni in
questione a quello sancito per le dichiarazioni rese dai soggetti indicati
nell’art. 210 cod. proc. pen., vale a dire le persone imputate in procedimento
connesso che non possono assumere l’ufficio di testimone.

A parere del
giudice a quo, in entrambi i profili considerati ”
nei quali risalterebbero, rispettivamente, un ingiustificato trattamento
differenziato per situazioni processuali sostanzialmente identiche ed un
trattamento irragionevolmente parificato di condizioni processualmente dissimili
” sarebbe evidente l’assoluta irrilevanza del giudicato di assoluzione: la
ridotta valenza probatoria delle dichiarazioni rese dal soggetto già processato
ed assolto e la necessità dell’assistenza difensiva nel corso della sua
deposizione si rivelerebbero, in conseguenza, delle regole prive nella specie di
ragionevole giustificazione, prospettandosi, piuttosto, quale esito immotivato
dell’originaria azione penale erroneamente esercitata.

2. −

https://www.litis.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *