Civile

Declaratoria di adottabilità, difensore di ufficio e termini per la impugnazione – CORTE DI APPELLO DI SALERNO, Sentenza n. 01/2010 del 16/02/2010

La Corte di Appello di Salerno – sezione minorenni, relatore Dott. Franco De Stefano – si è pronunciata in materia di impugnazione di declaratoria di adottabilità, verificando l’effetto dell’introduzione della figura dell’avvocato di ufficio in rapporto alle notifiche endoprocessuali ed al decorso dei relativi termini di impugnazione verificando, appunto, se, in dipendenza dell’introduzione della figura dell’avvocato di ufficio per le parti del procedimento minorile, ai fini della decorrenza dei termini per l’impugnazione debba farsi riferimento alla notifica al difensore di ufficio ovvero alla parte di persona.

La Corte di Appello di Salerno ritiene che, nonostante nel processo civile viga quale principio generale quello dell’immedesimazione assoluta tra difensore e parte (sicché la notifica valida ai fini del decorso dei termini è sempre e solo quella  all’avvocato costituito e mai quella alla parte di persona che sia costituita), nel processo minorile la nomina dell’avvocato di ufficio non possa limitare le facoltà normalmente spettanti alle parti di persona. Una tale figura è intesa invero – con     tutta evidenza – ad ampliare e non già a restringere la tutela della parte, offrendo a questa possibilità di difesa ulteriori e non occasioni di maturazione di decadenze o di preclusioni processuali; e tanto proprio per la peculiarità delle circostanze che inducono il giudice alla nomina, generalmente riscontrabili nella mancata nomina di un procuratore di fiducia e nella conseguente possibilità di una menomazione della difesa tecnica, invece necessaria per il carattere estremamente delicato della materia ed il coinvolgimento di interessi personalissimi anche di minorenni.

In sostanza, si può sostenere la sussistenza di una situazione ibrida, nella quale, nonostante la costituzione formale ed effettiva di un procuratore anche per la parte assistita di ufficio, la valutazione dell’opportunità dell’impugnazione deve essere rimessa, per la natura personalissima degli interessi in gioco e la peculiarità del rapporto di ufficio tra parte e suo difensore, ad una tale parte ma di persona.

Il principio generale del processo civile appena richiamato, pertanto, potrà avere applicazione soltanto nel caso di avvocati nominati di fiducia, ma non anche in quello di avvocati nominati di ufficio: sicché, ai fini del decorso del termine di impugnazione va presa in considerazione la notifica alle parti di persona, quando quelle erano assistite in primo grado da un difensore di ufficio.

 

 

CORTE DI APPELLO DI SALERNO

SEZIONE PER I MINORENNI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Salerno, sezione civile,

riunita in camera di consiglio nelle persone dei signori Magistrati:

Dott. Nicola BARTOLI

– Presidente

Dott. Maria BALLETTI

– Consigliere

Dott. Franco DE STEFANO

– Consigliere est.

Dott. Enrico SANTORO

– Componente onorario

Dott.ssa Maria Rosaria IANNELLI

– Componente onorario

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Nelle cause civili di 2° grado iscritte ai nn. 13/09, 22/09 e 27/09 r.g. min., tra loro riunite ed aventi tutte ad oggetto: impugnazione avverso la sentenza n. 44/09 del Tribunale per i Minorenni di Salerno pubbl. in data 21.5.09 in proc. n. 17/01 A.D.S. e n. 847 cron., di declaratoria di stato di adottabilità;

E vertenti: la prima, TRA

F.R., n. … (avv. Edoardo Rocco – el. dom. via dei Lucani 25, Eboli); RECLAMANTE

E

P.D., n. … (avv. Alfonso Sarno – el. dom. via Valerio Laspro 59, Salerno);

R.A., n. … (in origine, avv. Raffaello Cocca del Foro di Ariano Irpino, con studio in via G. Matteotti 46, Penta di Fisciano; attualmente, avv. Carmine M. Marottoli, loc. S. Paolo 127 Buccino);

P.M., n. … (in primo grado, di ufficio: avv. Rosario Puglia – via Filippo Abbignenti 4 Salerno);

P.G., n. … (avv. Rosario Puglia – el. dom. via Filippo Abbignenti 4 Salerno);

R.G., n. … Eboli (avv. Patrizia Parente – el. dom. via Mezzacapo 221/C, Sala C.);

CONVENUTI

la seconda, TRA

P.D., n. … (avv. Alfonso Sarno – el. dom. via Valerio Laspro 59, Salerno); RECLAMANTE

E

F.R., n. … (avv. Edoardo Rocco – el. dom. via dei Lucani 25, Eboli);

R.A., n. … (avv. Carmine M. Marottoli, loc. S. Paolo 127 Buccino);

P.M., n. … (in primo grado, di ufficio: avv. Rosario Puglia – via Filippo Abbignenti 4 Salerno);

P.G., n. … (in primo grado, di ufficio: avv. Rosario Puglia – el. dom. via Filippo Abbignenti 4 Salerno);

R.G., n. … (in primo grado, di ufficio: avv. Patrizia Parente – el. dom. via Mezzacapo 221/C Sala C.);

CONVENUTI

la terza, TRA

R.G. (avv. Patrizia Parente – via Mezzacapo 221/C Sala C.); APPELLANTE

E

R.A., n. 2.8.62 (avv. Carmine M. Marottoli, loc. S. Paolo 127 Buccino);

P.D., n. 3.12.78 Eboli (in primo grado: avv. Alfonso Sarno, via V. Laspro 59 Salerno);

F.R., n. 28.5.71 Eboli (in primo grado: avv. Edoardo Rocco – el. dom. via dei Lucani 25, Eboli);

P.M., n. 4.8.55 Buccino (in primo grado, di ufficio: avv. Rosario Puglia – via Filippo Abbignenti 4 Salerno);

P.G., n. 22.12.75 Eboli (in primo grado: avv. Rosario Puglia – el. dom. via Filippo Abbignenti 4 Salerno);

CONVENUTI

La prima con impugnazione dello stato di adottabilità di

R.Mo., n. Eboli 29.4.00, minore, figlia di R.A. e di P.D. (di ufficio: avv. Elena Del Vecchio – corso Vittorio Emanuele 171 Salerno);

E le altre due con impugnazione dello stato di adottabilità di

R.Ca., n. Eboli 12.2.96; R.Fr., n. Eboli 24.7.98; R.Mo., n. Eboli 29.4.00; R.No., n. Eboli 6.11.01; R.Lo., n. Eboli 31.5.03; R.F.P., n. Eboli 21.3.07; minori, tutti figli di R.A. e di P.D. (di ufficio: avv. Elena Del Vecchio – corso Vittorio Emanuele 171 Salerno);

E tutte con l’intervento necessario del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Salerno.

 

All’udienza del 16.2.10 le parti hanno così concluso:

  • il Procuratore Generale ha chiesto la conferma della sentenza, con rigetto delle impugnazioni, tranne che per R.Mo., per la quale ha chiesto la previa audizione protetta e l’adozione di ogni opportuno anche diverso provvedimento;

  • l’avvocato dei minori ha chiesto la conferma della sentenza, con rigetto delle impugnazioni, opponendosi però alla richiesta di audizione di R.Mo.; quanto a R.Ca., comunque, si rimette alla decisione della Corte;

  • l’avv. Sarno per P.D.: accoglimento del reclamo; audizione di R.Mo.;

  • l’avv. Marottoli per R.A.: riforma della gravata sentenza quanto a R.Ca., Fr. e Mo., previa audizione di quest’ultima;

  • l’avv. Parente per R.G.: accoglimento dell’appello, previa audizione di R.Mo.;

  • l’avv. Senatore, in sostituzione dell’avv. Puglia, per P.G. e P.M.: come da memoria depositata e previa audizione di R.Mo.;

  • l’avv. Rocco per F.R.: inammissibilità delle impugnazioni prodotte fuori termine, opposizione alla produzione del verbale del 12.2.10, audizione di R.Mo. e riaffidamento di questa come in precedenza; comunque come da scritti difensivi.

Svolgimento del processo

In punto di fatto, i primi giudici ricostruiscono le vicende che hanno condotto allo stato di adottabilità nei sensi che seguono.

A seguito di richiesta del P.M.M. del 27.2.09 è stata aperta procedura di adottabilità dei sei minori.

Nel corso della successiva attività istruttoria sono stati sentiti, oltre ai cinque minori più grandi, C.A., P.D., P.G. e F.R., tutti contrari alla dichiarazione di adottabilità, nonché S.F., che ha manifestato incertezze al riguardo, e i rappresentanti delle comunità che ospitano i minori, che hanno espresso parere favorevole all’adozione; non sono invece comparse le nonne R.G. e P.M..

Va premesso che già in data 8.7.02 il Tribunale per i Minorenni aveva dichiarato lo stato di adottabilità dei minori R.Ca., Fr. e No., per revocarlo però, a seguito di opposizione dei genitori e dei nonni paterni, con sentenza del 4.4.03, motivata sul fatto:

– che la precaria situazione familiare dei minori era stata segnalata al T.M.M. fin dalla nascita del primo figlio Ca.;

– che in particolare erano apparsi estremamente labili i rapporti tra i genitori, con ripetuti abbandoni dei figli e del coniuge da parte dell’uno o dell’altro genitore, fino al matrimonio della madre, dopo l’abbandono dei figli nel novembre 2000, con altro uomo ed al successivo rientro di lei, abbandonato il marito nel marzo 2001, con il padre di costoro;

– che il restaurato rapporto tra i genitori non aveva trovato stabilità, essendo contrassegnato da altre separazioni, con vicende estremamente travagliate per i minori, tra cui ripetuti ricoveri in istituto, affidamenti a familiari disponibili e precari rientri presso i genitori;

– che solo per una quarta figlia, R.Mo., era stata possibile una sistemazione stabile presso gli zii P.G. (sorella della madre) e F.R. (marito di lei), ai quali era stata affidata con provvedimento del T.M.M. del 9.2.01;

– che la situazione era precipitata alla comunicazione – da parte dei nonni materni affidatari del primogenito Ca. – di non potersi più occupare del minore ed alla segnalazione dei servizi sociali della carenza di ogni assistenza – anche più elementare, con gravi carenze igieniche ed alimentari – per Fr. e No., affidati ai genitori, i quali ultimi si erano però ancora una volta separati;

– che in tale contesto, nessun altro familiare essendo disponibile a prendersi cura dei bambini e non mostrando i genitori alcuna disponibilità ad impegnarsi per loro anche con la ricerca di un’attività lavorativa per garantire ai figli il minimo necessario per una vita dignitosa, era quindi dichiarato lo stato di adottabilità;

– che subito dopo i nonni paterni avevano chiesto nuovamente l’affidamento di Ca., che pure avevano tenuto con loro, mentre i genitori avevano ripreso a convivere e a prendersi cura di Fr. e No.: tanto che la situazione sembrava evolversi positivamente, con un buon legame affettivo nell’ambito del nucleo familiare ed un’assistenza familiare adeguata, per avere il padre iniziato a lavorare e dinanzi ai contributi economici del Comune e della nonna paterna;

– che, pur con il dubbio della finalizzazione dell’interessamento così dimostrato esclusivamente alla revoca della dichiarazione di stato di adottabilità, il T.M.M. aveva ritenuto sufficiente tale evoluzione della situazione per tentare di salvaguardare il legame dei minori coi genitori naturali, prima di reciderlo definitivamente;

– che pertanto era stato confermato l’affidamento del minore R. Ca. ai nonni paterni, mentre R.Fr. e No. erano rimasti coi genitori.

Nell’impugnata sentenza si legge che però tale tentativo era fallito, anche a seguito della nascita degli altri figli Lo. e F.P., in quanto:

– sin dall’11.3.04 erano state segnalate le difficili condizioni abitative ed economiche dei minori Fr., No. e Lo. e dei loro genitori, in quel momento conviventi;

– in data 1.6.04 era deceduto il nonno paterno, affidatario di R.Ca. e unico a lui realmente interessato od affezionato;

– in data 27.10.04 il padre R.A. si era allontanato dal nucleo familiare, che continuava a vivere in precarie condizioni abitative;

– la convivenza tra i genitori era ripresa, ma solo tra il 28.3.05 ed il 21.2.06, avendo poi la madre iniziato a convivere, insieme ai figli, con tale G.G.;

– manifestata da Fr. l’intenzione di andare a vivere in comunità, la madre dichiarava il 2.4.08 che l’ultimo nato F.P. era figlio naturale di G.G., ma poi abbandonava anche quest’ultimo (v. relazione servizi sociali del 22.11.08);

– i cinque figli si trovavano fin dal novembre 2008 in Postiglione presso la casa della nonna materna, di due vani complessivi, mentre da almeno due mesi Fr. e No. non frequentavano la scuola;

– la madre si allontanava nuovamente dal luogo in cui conviveva coi figli in data 27.12.08, per farvi dapprima rientro in data 9.1.09, ma senza che si sapesse, al momento della relazione in pari data dei servizi sociali, dove si trovasse in quel momento;

– il padre si allontanava dai figli fin dal gennaio 2008, per andare a convivere in provincia di Modena con la sorella della madre dei minori, P.G., affidataria di R.Mo.; e dichiarava comunque di sapere che né No., né Fa. erano suoi figli naturali.

La dichiarazione di R.A., di intendere prendersi cura di tre o quattro figli, era dal T.M.M. qualificata velleitaria, dinanzi all’evidente dimostrazione di disinteresse e di incapacità a fornire adeguata assistenza ai minori. E comunque si rilevava come la condotta di vita di entrambi i genitori – e soprattutto della madre – non era cambiata neppure dopo la revoca dello stato di adottabilità: la donna, affidataria dei minori Fr., No., Lo. e F.P., aveva continuato ad alternare precarie convivenze con R.A. con quelle con altri uomini, con rientri periodici presso la madre, le cui condizioni familiari, sia per scelte di vita che per condizioni abitative, dovevano qualificarsi assolutamente inidonee. Da tanto derivava che i quattro minori erano costretti a continuare a vivere in un ambiente dove non solo carente per condizioni economiche ed abitative, ma pure privo di qualsiasi stabilità di rapporti familiari, con l’imposizione di un alternarsi di figure maschili e conseguenze sicuramente devastanti riguardo alla loro educazione ed alla loro stabilità.

Anzi, all’atto del collocamento dei minori in comunità con provvedimento del 12.1.09 del T.M.M., tutti costoro erano in condizioni di grave trascuratezza igienico-personale e con problematiche relazionali, segni di abbandono e maltrattamento: ma avevano poi accettato rapidamente l’ambiente comunitario, anche in considerazione dell’abbandono emotivo e personale cui erano stati abituati (vedasi relazione dei servizi sociali del 22.4.09).

Quanto ai singoli minori, si evidenziava che:

– Fr. era giunto in comunità con serissimi problemi comportamentali, estrinsecatisi in feroci attacchi verbali e violenze fisiche versogli operatori, nonché in atti di autolesionismo ogniqualvolta gli si volevano imporre regole; raccontava di violenze subite in casa e, con dovizia di particolari, di avere assistito a scene di sesso tra la nonna materna e diversi uomini; all’inizio aveva avuto un comportamento fortemente sessualizzato nei confronti delle ragazze e lo psichiatra aveva diagnosticato “un io fortemente destrutturato, con accumulo di frustrazioni”; ma aveva anche mostrato miglioramenti, frequentando positivamente la scuola ed altre attività collaterali, tra cui un corso di scout ed uno di ballo;

– No. era entrata in comunità con difficoltà comportamentali e compromissioni emotive, in condizioni igieniche trascuratissime e relazioni sociali assenti; articolava a fatica frasi compiute e mostrava difficoltà su come stare a tavola, a recarsi in bagno per i suoi bisogni fisiologici e perfino a curare l’igiene personale; aveva difficoltà nella comunicazione e forte deferenza verso le figure maschili, tanto da assumere spesso ruoli maschili; non era sviluppata in relazione alla sua età, mentre la psicologa riferiva di un grave stato di abbandono, con sviluppo di meccanismi di difesa; non appena adeguatamente seguita, ella aveva mostrato segni di miglioramento ed un rendimento scolastico accettabile;

– Lo., più maturo della sorella No., aveva un linguaggio scurrile e reazioni di aggressività, alla ricerca di affetto soprattutto da figure maschili.

Tutti erano a conoscenza di essere figli di padri diversi e, in particolare, Ca. e Fr. provavano risentimento verso la madre; solo No. aveva fatto riferimento sporadico alla madre, ma tutti avevano manifestato il desiderio di rimanere in comunità, quanto meno in estate, per andare per la prima volta al mare.

Il minore R.Ca., restato per diversi anni in affidamento ai nonni paterni R.Ca. e P.M., non aveva avuto – soprattutto dopo la morte del primo, unica persona effettivamente a lui interessata – rapporti significativi con questa, tanto che ella, in data 7.5.08, ne lamentava il comportamento disordinato ed aggressivo anche nei suoi confronti; il medesimo rifiutava di incontrare la madre, ignorava chi fossero i suoi fratelli da parte di padre e conveniva con la nonna sul proprio ricovero in comunità; teneva poi atteggiamenti devianti a scuola (26.9.08); ed infine sua nonna comunicava di non essere in condizioni di continuare ad occuparsi di lui (31.10.08); disposto il suo ricovero in comunità, riferiva di essere stato picchiato dalla nonna e costretto a fare faccende domestiche; dopo i primi periodi di disorientamento egli sembrava essersi adeguato alle regole comunitarie, sicché, dopo qualche episodio in cui aveva minacciato il suicidio, aveva mostrato cospicui miglioramenti comportamentali, collaborando molto positivamente ed avendo anzi iniziato a frequentare con buoni risultati la scuola calcio ed un corso di pianoforte; ed aveva dimostrato disponibilità a collaborare e perfino senso di responsabilità pure nei confronti dei fratelli, quando entrano in comunità tempo dopo.

La minore R.Mo. aveva dapprima trovato un’adeguata sistemazione familiari presso la zia materna P.G. ed il marito di lei F.R., ai quali era stata affidata all’età di pochi mesi; ma, nonostante la carenza di segnalazioni negative, si era poi appreso che l’ambiente in cui ella viveva non era diverso da quello della famiglia di origine: lo stesso F.R. riferiva che la moglie P.G. aveva avuto diverse esperienze extraconiugali con altri uomini, tanto che uno dei tre figli, pur se da lui riconosciuto come tale, non era invece suo figlio naturale. Anzi, nel 2008 la P.G. aveva abbandonato marito, figli suoi e la stessa Mo. per andare a convivere proprio con il cognato e padre di quest’ultima, R.A., già convivente della sorella di lei (e madre della piccola).

Sia Mo. che i figli di F.R. e P.G. avevano dimostrato, in un primo momento, il desiderio di andare a vivere con quest’ultima, ma, dopo essere stati ospitati per breve tempo da lei e dal suo convivente, avevano cambiato decisamente opinione.

Per quanto riguardava Mo., il T.M.M. escludeva la possibilità di trovare adeguata sistemazione presso la coppia – sulla tenuta della cui convivenza si nutrivano dubbi alla stregua delle passate esperienze dei protagonisti – formata dal padre naturale, che da sempre si era disinteressato di lei, e dalla zia originariamente affidataria, le cui scelte familiari (avendo ella abbandonato il marito per iniziare la convivenza con il cognato) non consentono alcuna affidabilità come genitrice.

Quanto a F.R., che insisteva per mantenere l’affidamento di Mo. e ne aveva chiesto il rientro presso la sua abitazione, a parte le sue scelte familiari passate, a seguito dell’allontanamento della moglie era venuto a trovarsi in una situazione obiettivamente difficile, con tre figli e Mo. a cui badare; i suoi progetti futuri, come dichiarati al g.d. del T.M.M., erano vaghi e discutibili ed anzi si stava valutando l’avvio di interventi adeguati per sostenere i figli naturali di quegli. Ed era pertanto impensabile che egli potesse ricevere in affidamento Mo., con la quale, oltretutto, non aveva rapporti di parentela.

Neppure poteva essere sottovalutato il comportamento dei F.R – P.G., cui avevano fatto credere fino a poco tempo prima di essere la loro figlia naturale, con conseguenze particolarmente devastanti per la minore al momento dell’inevitabile scoperta della sua effettiva situazione familiare. Inoltre, durante il ricovero di Mo. in comunità, lo stesso F.R. e tutti i familiari avevano dimostrato disinteresse. Per questo era rigettata l’istanza di rientro presso la sua abitazione, come pure, in dipendenza della dichiarazione di adottabilità, la richiesta di visite alla minore.

Quanto alla nonna materna R.G., non risultava che si fosse mai interessata positivamente ai nipoti; e, a prescindere dalle sconcertanti rivelazioni di questi sulle esperienze vissute durante i periodi di convivenza con la nonna, era evidente il suo più completo disinteresse per i minori stessi, tanto da non presentarsi neppure in Tribunale per essere ascoltata sull’adottabilità.

La comparsa, negli ultimi mesi, di uno zio materno, tale S.F. (figlio della stessa madre di P.D., ma di padre diverso), che però fino a quel momento non aveva mai visto né conosciuto la sorella, non mutava la situazione: in quanto egli aveva dichiarato di non potersi occupare di alcuno dei nipoti.

Sulla base di queste motivazioni, revocato l’affidamento di R.Mo. agli zii F.R. e P.G., tutti e sei i minori erano dichiarati in stato di adottabilità.

All’esito delle notifiche di tale sentenza, diverse tra le parti del procedimento di primo grado hanno proposto impugnazione.

F.R., con ricorso dep. il 25.6.09, ha chiesto l’annullamento della sentenza del Tribunale per i Minorenni di Salerno ivi specificata, con la quale è stato dichiarato lo stato di adottabilità dei minori richiamati in epigrafe, con conferma del decreto di affidamento della minore, previa sua audizione, ad esso reclamante ed alla di lui coniuge P.G.. A sostegno della sua domanda il reclamante lamenta: l’infondatezza dell’affermazione di uno stato di abbandono della minore, affidata anche a lui da circa nove anni; il di lei mancato ascolto; la necessità di applicare l’art. 16, ult. co., L. 184/83 in presenza di un decreto di affidamento; l’insufficienza di valutazioni astratte e compiute ex ante; l’esistenza di un significativo rapporto della minore con il nucleo familiare del reclamante; l’insufficienza dello stato di indigenza e degli eventuali problemi del nucleo dell’affidatario.

In tale procedimento, iscr. al n. 13/09 r.g. min., tra le udienze del 6.10.09, del 3.11.09 e del 2.2.10, si sono costituiti o sono comparsi:

– P.G., che, in relazione al reclamo del F.R., svolge considerazioni adesive e formula identiche conclusioni, sempre limitatamente alla minore R.Mo.;

– P.D., che dichiara di non opporsi al reclamo del F.R., pure evidenziando che la coniuge di questi (P.G.) ora convive con il padre dei minori R.A.;

– R.G., che ritiene tale ultima circostanza come ostativa all’affidamento di R.Mo. a F.R. e P.G., tanto da invocare l’adozione dei provvedimenti più opportuni nel preminente interesse della minore;

– R.A., con comparsa dep. all’ud. 1.2.10, con la quale, proclamato il suo ravvedimento in ordine ai comportamenti gravemente negligenti addebitatigli con la sentenza gravata, chiede revocarsi lo stato di adottabilità di tutti i figli, favorendo l’incontro della minore R.Mo. coi genitori naturali e senza recidere i legami tra loro pure nel caso di riaffidarla a F.R., come pure favorendo l’incontro tra tutti i figli ed i genitori naturali.

Con separato ricorso dep. il 23.11.09 ed iscr. al n. 22/09 r.g. min., P.D. ha proposto reclamo avverso la stessa sentenza, negando la sussistenza dello stato di abbandono dei minori e dolendosi dell’inosservanza delle norme procedurali, tanto da concludere per l’annullamento della sentenza di adottabilità di tutti i figli, ripristinando però solo per R.Mo. “lo stato precedente”.

Notificato il reclamo ed il pedissequo decreto di fissazione di udienza a tutte le controparti, in tale procedura si è costituito il solo F.R., svolgendo considerazioni e formulando richieste analoghe a quelle del reclamo in cui egli ha impugnato in via principale la sentenza.

Con ulteriore ricorso, dep. il 10.12.09 ed iscr. al n. 27/09 r.g. min., R.G. ha proposto appello avverso la medesima sentenza, contestando in primo luogo la sussistenza dello stato di abbandono e poi adducendo la violazione delle norme procedurali al riguardo, tanto da chiedere l’annullamento della gravata sentenza con riferimento a tutti i minori, l’adozione delle misure di sostegno e di aiuto prescritte dall’art. 1 co. 2 L. 184/83 e l’espletamento di una C.T.U. psicodiagnostica volta a verificare l’idoneità dei genitori dei minori ad esercitare funzioni genitoriali, con coevo esperimento di indagini sulle risorse del nucleo familiare allargato.

Dopo che in tale procedura non si è autonomamente costituita alcuna delle controparti, le tre procedure sono state riunite ex art. 335 c.p.c. all’ud. 2.2.10 e poi rinviate al 16.2.10 per consentire a tutte le parti appellanti di dare la prova della ritualità dell’instaurazione del contraddittorio, anche una volta acquisiti gli atti del fascicolo di ufficio del procedimento di primo grado, comprensivi della prova delle date di notifica della sentenza impugnata.

All’ud. 16.2.10 l’avvocato del minore produceva documentazione e tutte le parti, depositata la prova delle notifiche e costituitosi R.A. con nuovo procuratore in tutti gli appelli, concludevano come in epigrafe riportato.

Motivi della decisione

Le impugnazioni sono infondate e la gravata sentenza va confermata.

Deve preliminarmente essere ricostruita la data di notifica della sentenza impugnata, sulla base della documentazione trasmessa dal Tribunale per i Minorenni in più riprese; e da questa risulta che le notifiche sono avvenute:

a) per P.D. (n. 3.12.78 Eboli), di persona: spedita una prima raccomandata il 10.6.09, ma effettivamente consegnata, a seguito di numerose ricerche, solo il 23.10.09 a mezzo posta a mani di persona qualificatasi “marito convivente”;

b) per il difensore di ufficio di P.D. avv. Alfonso Sarno: in data 5.6.09 in modo rituale;

c) per R.A. (n. 2.8.62), di persona: al suo avvocato di fiducia, 6.6.09 in modo rituale;

d) per il difensore di fiducia di R.A., avv. Raffaello Cocca: 6.6.09 in modo rituale;

e) per P.G. (n. 22.12.75 Eboli), di persona: al suo avvocato di fiducia, 6.6.09 in modo rituale;

f) per il difensore di fiducia di P.G., avv. Rosario Puglia: 6.6.09 in modo rituale;

g) per F.R. (n. 28.5.71 Eboli), di persona: al suo avvocato di fiducia 29.5.09 in modo rituale;

h) per il difensore di fiducia di F.R., avv. Edoardo Rocco: 29.5.09 in modo rituale;

i) per R.G. (n. 23.12.56 Eboli), di persona: soltanto in data 13.11.09 in modo rituale;

l) per il difensore di ufficio di R.G., avv. Patrizia Parente: 12.6.09 in modo rituale;

m) per P.M. (n. 4.8.55 Buccino): al suo avvocato di fiducia, 6.6.09 in modo rituale;

n) per il difensore di fiducia di P.M., avv. Rosario Puglia: 6.6.09 in modo rituale;

o) per l’avvocato dei minori, Elena Del Vecchio: 5.6.09 in modo rituale.

Ciò posto, va poi verificato se, in dipendenza dell’introduzione della figura dell’avvocato di ufficio per le parti del procedimento minorile, ai fini della decorrenza dei termini per l’impugnazione debba farsi riferimento alla notifica al difensore di ufficio ovvero alla parte di persona.

Ritiene questa Corte che, nonostante nel processo civile viga quale principio generale quello dell’immedesimazione assoluta tra difensore e parte (sicché la notifica valida ai fini del decorso dei termini è sempre e solo quella all’avvocato costituito e mai a quella alla parte di persona che sia costituita), nel processo minorile la nomina dell’avvocato di ufficio non possa limitare le facoltà normalmente spettanti alle parti di persona. Una tale figura è intesa invero – con tutta evidenza – ad ampliare e non già a restringere la tutela della parte, offrendo a questa possibilità di difesa ulteriori e non occasioni di maturazione di decadenze o di preclusioni processuali; e tanto proprio per la peculiarità delle circostanze che inducono il giudice alla nomina, generalmente riscontrabili nella mancata nomina di un procuratore di fiducia e nella conseguente possibilità di una menomazione della difesa tecnica, invece necessaria per il carattere estremamente delicato della materia ed il coinvolgimento di interessi personalissimi anche di minorenni.

In sostanza, si può sostenere la sussistenza di una situazione ibrida, nella quale, nonostante la costituzione formale ed effettiva di un procuratore anche per la parte assistita di ufficio, la valutazione dell’opportunità dell’impugnazione deve essere rimessa, per la natura personalissima degli interessi in gioco e la peculiarità del rapporto di ufficio tra parte e suo difensore, ad una tale parte ma di persona.

Il principio generale del processo civile appena richiamato, pertanto, potrà avere applicazione soltanto nel caso di avvocati nominati di fiducia, ma non anche in quello di avvocati nominati di ufficio: sicché, ai fini del decorso del termine di impugnazione va presa in considerazione la notifica alle parti di persona, quando quelle erano assistite in primo grado da un difensore di ufficio.

Una volta tanto acclarato, si ha che:

– il reclamo o appello n. 13/09 r.g. min., di F.R., relativamente alla sola Mo., è stato proposto con ricorso dep. il 25.6.09 e quindi entro il termine dalla notifica come sopra ricostruita;

– il reclamo o appello n. 22/09 r.g. min., di P.D., relativamente a tutti i minori, è stato proposto con ricorso dep. lunedì 23.11.09 e quindi entro il termine dalla notifica utile alla parte di persona, come sopra ricostruita;

– l’appello n. 27/09 r.g. min. di R.G., relativamente a tutti i minori, è stato proposto con ricorso dep. il 10.11.09 e quindi entro il termine dalla notifica come sopra ricostruita.

Tutte le impugnazioni sono quindi tempestive e vanno esaminate nel merito: ma è opportuno tenere distinta quella iscr. al n. 13/09 dalle altre due, in quanto la prima si riferisce esclusivamente a R.Mo., mentre le altre due non si limitano alla posizione di questa, ma riguardano tutti i figli minori di R.A. e P.D..

Prima ancora di entrare nel merito, deve poi rilevarsi che F.R., zio acquisito – siccome marito della sorella della madre dei minori – e quindi affine – e non parente – di terzo grado, non è legittimato ad impugnare la dichiarazione di stato di adottabilità, siccome non è parte del relativo processo (artt. 12 e 16 comma 2 della legge 4.5.83 n. 184, come modificati dagli artt. 12 e 15 della legge 28.3.01 n. 149).

È ben vero che la gravata sentenza contiene la revoca del provvedimento con il quale la piccola R.Mo. era affidata a lui e a sua moglie P.G.: tanto che l’impugnante adduce proprio, tra i motivi di doglianza, la mancanza di motivazione sulla revoca stessa. Ma tanto comporta che l’impugnazione del Fusella debba scindersi tra quella della revoca dell’affidamento – avverso la quale egli è certamente legittimato – e quella della dichiarazione dello stato di adottabilità, concentrandosi – dopo la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, da parte sua, di questa seconda – sul primo profilo.

Quanto a questa e per iniziare dalle doglianze in punto di rito, la minore R.Mo. è stata ascoltata il 13.11.08 ed il 29.1.09, mentre le forme previste per la dichiarazione di adottabilità assorbono qualunque altra prevista per il minore istituto dell’affidamento e comunque tutti gli interessati sono stati posti in condizione di difendere le rispettive posizioni sostanziali e di manifestare adeguate ed opportune difese. Un’ulteriore audizione di Mo. risulta quindi non solo inutile, ma deleteria per lei, atteso il lento recupero di una qualche forma di normalità testimoniato nell’audizione protetta di cui al verbale 12.2.10 (riguardo alla produzione del quale, per l’assoluta peculiarità del rito e per la preminenza dell’interesse del minore, non si scorgono motivi di inammissibilità).

Del resto, l’impugnata sentenza motiva ampiamente sulla situazione complessiva degli affidatari F.R. e P.G., zii materni della minore R.Mo. ed in origine affidatari della medesima fin dall’età di pochi mesi, in particolare richiamando, quali elementi atti ad escludere la persistenza dell’affidamento ai Fusella – P.G.:

  • la condotta di vita disordinata di P.G., dedita a numerose esperienze extraconiugali ed infine fuggita di casa per andare a convivere con R.A. (padre dei minori);

  • le complessive condizioni di vita di F.R., allo stato restato da solo a badare anche ai due figli propri (e riguardo ai quali il T.M. sta già separatamente valutando eventuali iniziative) a causa dell’abbandono da parte della consorte e dell’avvio formale del procedimento di separazione (con problemi oltretutto anche per i figli suoi propri), in grado di formulare progetti futuri effettivamente vaghi e discutibili;

  • la pregressa specifica condotta di entrambi, soprattutto per l’atteggiamento nei confronti della piccola, cui avevano da sempre fatto credere di essere i loro veri genitori.

Tali circostanze, espressamente poste a base del diniego della prosecuzione dell’affidamento originariamente riconosciuto al F.R. ed alla consorte, sono documentate dall’istruttoria svolta in primo grado e la stessa minore è stata ascoltata sul punto, come sopra ricordato: la volontà della minore, apparentemente o – se non altro – originariamente non conciliabile con la soluzione finale adottata dal T.M., deve cedere il passo alla valutazione di pericolosità, per il suo armonico ulteriore sviluppo psichico, della persistenza della situazione di grave promiscuità ed incertezza affettiva in cui si trovava nell’ambiente familiare dei F.R. – P.G., sia pure per causa non immediatamente ascrivibile al primo.

Infatti, è impossibile – per le scelte di vita di P.G. – la ricostituzione del nucleo familiare di affidamento originario, né è pensabile l’affidamento ad una famiglia monogenitoriale, quale risulta ormai quella del F.R., oltretutto nemmeno titolato o legittimato nel procedimento di adozione, siccome affine e non già parente (sia pure entro il quarto grado); ma soprattutto non facilmente superabile è la valutazione negativa dell’educazione della piccola Mo. con la menzogna circa i suoi effettivi genitori, avendo anche il F.R. allevato la minore instillandole la convinzione di essere suo padre: in tal modo effettivamente esponendola al rischio di gravi conseguenze psicologiche al momento della scoperta della verità.

R.Mo. non può quindi essere riaffidata a F.R. e tanto meno a P.G., attesa l’efficienza causale della sua condotta nella dissoluzione dell’ambiente familiare cui la piccola era originariamente stata inserita.

Pertanto, il gravato provvedimento non merita le censure mossegli, quanto alla minore R.Mo., con la prima impugnazione, nella parte in cui, come formulata da F.R., essa è ammissibile.

La ricostruzione della situazione complessiva dei sei fratelli, come sopra operata, fonda però in modo del tutto idoneo il rigetto dei gravami ammissibili come dispiegati, essendo evidente la sussistenza di tutti i requisiti dello stato di adottabilità per ciascuno di loro.

Lo stato di abbandono dei sei minori risulta evidente, senza bisogno di alcuna ulteriore istruttoria, in base alla ricostruzione delle condizioni di vita pregresse e del fallimento della precedente opportunità pure accordata con la revoca della precedente dichiarazione di stato di adottabilità dei soli primi tre figli della coppia R.A. – P.D., ma soprattutto alla stregua del riscontro del totale disinteresse o della manifesta inadeguatezza dei genitori e dei parenti entro il quarto grado, come pure degli effetti immediatamente ed indiscutibilmente positivi, per lo sviluppo psico-fisico di tutti e sei i minori, del loro allontanamento dall’ambiente familiare originario.

Al riguardo, è opportuno ricordare che l’art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia un carattere prioritario, di talché nelle situazioni di difficoltà e di emarginazione della famiglia di origine, il recupero di questa, considerata come ambiente naturale, costituisce il mezzo preferenziale per garantire la crescita del bambino, ed impone ai Servizi sociali di non limitarsi a registrare passivamente le insufficienze della situazione in atto, ma di costruire, con gli opportuni strumenti di aiuto e di sostegno, nella famiglia del sangue, relazioni umane significative ed idonee al benessere del bambino. La richiamata valorizzazione del legame naturale – e, insieme, la logica di gradualità e di sussidiarietà degli interventi che ispira la legge novellata, in una prospettiva che assegna all’istituto dell’adozione il carattere di estremo rimedio – rende necessario un particolare rigore nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, che non può discendere da un mero apprezzamento circa la inidoneità dei genitori del minore cui non si accompagni l’ulteriore, positivo accertamento che tale inidoneità abbia provocato, o possa provocare, danni gravi ed irreversibili alla equilibrata crescita dell’interessato (Cass. 28.6.06 n. 15011).

Peraltro, in tema di adozione di minore, la situazione che giustifica l’affidamento etero-familiare, a norma degli artt. 2 e segg. della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituiti dai corrispondenti articoli della legge 28 marzo 2001, n. 149, e quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si differenziano, in quanto la mancanza di “un ambiente familiare idoneo” è considerata, nel primo caso, temporanea e superabile con il detto affidamento, mentre, nel secondo caso, si ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se non per il tramite della dichiarazione di adottabilità. Ne consegue che legittimamente il giudice del merito, accertata l’insufficienza dell’assistenza morale e materiale dei genitori, non dipendente da causa di forza maggiore di carattere transitorio, dichiara il minore in stato di adottabilità, ove pure, per il passato, in analoga situazione, si sia provveduto con l’affidamento etero-familiare – che si sia rivelato inidoneo a risolvere la condizione del minore -, il quale, di per sé, non è di impedimento alla dichiarazione anzidetta, in forza dell’espressa previsione dell’art. 8, secondo comma, della citata legge n. 184 del 1983 (non sostanzialmente modificato dall’art. 8 della legge n. 149 del 2001), atteso che anche la bontà dell’inserimento del minore presso gli affidatari, se, per un verso, è influente ai fini della successiva trasformazione dell’affidamento provvisorio in affidamento definitivo, non lo è affatto, per altro verso, ai fini del riscontro della sussistenza dello stato di abbandono (tra le ultime, v. Cass. 9.6.05 n. 12168).

Orbene, nel corso del procedimento di primo grado appaiono svolti con scrupolo e rigore tutti i passaggi necessari per verificare l’effettiva impossibilità del mantenimento di un legame con la famiglia di origine (comprese le audizioni dei minori in grado di esprimere la propria opinione: per R.Ca. in data 14.11.08 e 15.4.09; per R.Fr. in data 13.11.08 e 15.4.09; per R.No. in data 13.11.08 e 15.4.09; per R.Lo. in data 15.4.09; per R.Mo. in data 13.11.08 e 29.1.09), ma soprattutto la concreta sussistenza di uno stato di vero e proprio abbandono, morale e materiale, nei confronti di tutti i minori (sebbene, quanto a R.Mo., con le caratteristiche peculiari che si sono viste).

Per tutti vi è poi da rilevare che la famiglia originaria, vale a dire un nucleo composto dal padre e dalla madre apparenti, cioè da R.A. e da P.D., non è più ricostituibile, viste le scelte di vita di entrambi; e neppure è praticabile l’affidamento al padre, che attualmente convive con la zia, o alla madre, che attualmente convive con altra persona: in quanto la totale carenza di senso di responsabilità dell’uno e dell’altra verso i propri figli, già resa evidente dalla carenza di significativi rapporti con questi (e soprattutto per alcuni), è aggravata da una condotta di vita ed affettiva sregolata ed instabile, sicuramente nociva per l’ulteriore equilibrato sviluppo fisiopsichico dei minori.

Il disinteresse della madre e del padre non sono certo superabili con le dichiarazioni rese all’atto di impugnare la gravata sentenza, sia perché generiche e vaghe, sia perché non supportate da alcun atto concreto di ravvedimento o resipiscenza, tanto da potersi qualificare velleitarie. D’altra parte, la condizione della persistente mancanza di assistenza morale e materiale e l’indisponibilità a porre rimedio a tale situazione non viene meno per effetto di una mera espressione di volontà da parte dei genitori, poiché una “speranza” di recupero delle capacità genitoriali non è sicuramente idonea al superamento dello stato di abbandono (Cass. 17.7.09 n. 16795). Al riguardo, non può dimenticarsi che già altra volta ai genitori, quando i minori erano soltanto tre, è stata offerta la possibilità di ravvedersi e provvedere in modo fattivo e concreto all’educazione dei figli, mediante la revoca della precedente dichiarazione di stato di adottabilità. La circostanza che, nonostante tale ulteriore opportunità, sia R.A. che P.D. abbiano non solo persistito negli errati atteggiamenti precedenti, ma perfino aggravato le loro complessive condotte, rende impossibile alcun ulteriore favorevole giudizio prognostico sull’evoluzione del loro rapporto coi figli.

La disponibilità dell’altra zia materna e della nonna materna R.G. non possono poi essere prese in considerazione: non della prima, per le stesse ragioni già esaminate con riferimento alla posizione di R.Mo. e che valgono qui per tutti gli altri minori. Quanto alla nonna materna, si ricordi che, ai fini dell’accertamento della situazione di abbandono, la dichiarata disponibilità di uno dei parenti entro il quarto grado ad occuparsi dello stesso non è sufficiente, di per sé, ad escludere detta situazione, dovendo la stessa essere suffragata da elementi oggettivi che la rendano credibile (Cass. 28.2.06 n. 4407): e, nella fattispecie, è chiara l’insufficienza delle cure dimostrate in passato nei confronti di quelli, tra i nipoti, che le sono stati via via affidati e comunque è indiscutibile l’atteggiamento di sostanziale disimpegno messo già in evidenza nella ricostruzione del fatto operata dai primi giudici (neppure essendosi presentata in Tribunale per essere ascoltata).

Né la situazione cambia per R.Ca.: il quale pare sì ostile ad un suo affidamento ad una famiglia diversa, ma ha sviluppato un atteggiamento altrettanto ostile di comprensibile risentimento verso la sua famiglia originaria, per il trattamento obiettivamente negativo che ne ha ricevuto, tale da escludere che un ricollocamento presso quest’ultima – oltretutto, per quanto detto, impossibile per averla dissolta con le loro condotte il padre e la madre – corrisponda al suo effettivo interesse.

Il forte legame sviluppatosi poi tra fratelli di età tra loro prossima rende poi impensabile un’ulteriore separazione o un’ulteriore modifica della situazione di convivenza attuale: è significativo che i fratelli in grado di manifestare il loro pensiero siano categorici nel privilegiare – del resto in modo del tutto comprensibile, atteso il disinteresse finora dimostrato dai parenti di sangue – la centralità del rapporto tra loro rispetto a quello con qualsiasi altro familiare.

Analogo discorso è a farsi per tutti gli altri minori.

Non si vede pertanto altra scelta che quella di confermare la gravata decisione, con rigetto di tutte le impugnazioni ammissibili.

La carenza di una soccombenza in senso tecnico consente di dichiarare irripetibili le spese sostenute da ciascuna delle parti private diverse dall’avvocato del minore.

P. Q. M.

La Corte di Appello di Salerno, definitivamente pronunciando sulle impugnazioni proposte, con atti depositati il 25.6.09, il 23.11.09 ed il 10.11.09, rispettivamente da F.R., P.D. e R.G. avverso la sentenza n. 44/09 del Tribunale per i Minorenni di Salerno pubbl. in data 21.5.09 in proc. n. 17/01 A.D.S. e n. 847 cron., resa anche nei confronti di R.A., P.M. e P.G., con l’intervento necessario del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Salerno (e relativa alla dichiarazione dello stato di adottabilità di R.Ca., n. Eboli 12.2.96; R.Fr., n. Eboli 24.7.98; R.Mo., n. Eboli 29.4.00; R.No., n. Eboli 6.11.01; R.Lo., n. Eboli 31.5.03; R.F.P., n. Eboli 21.3.07; minori, tutti figli di R.A. e di P.D.), ogni diversa domanda ed eccezione rigettata o disattesa, così provvede:

1. rigetta i gravami tra loro riuniti e per l’effetto conferma integralmente la gravata sentenza;

2. dichiara irripetibili le spese di lite del grado sostenute dalle parti private diverse dall’avvocato del minore;

3. ordina restituirsi al Tribunale per i Minorenni di Salerno il fascicolo di primo grado.

Così deciso in Salerno, addì 16.2.10 Il Presidente

L’Estensore (dott. Nicola Bartoli)

(dott. Franco De Stefano)


Dep. in Cancelleria il 24.2.10

Il Cancelliere

(dott. Gennaro Borrelli)

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