Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Configurazione della fattispecie come reato – Corte Costituzionale, Ordinanza 320/2010
Straniero – Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato – Configurazione della fattispecie come reato.
LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, secondo comma, 27 e 117 della Costituzione, dal Giudice di pace di Trieste.
ORDINANZA N. 320
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promosso dal Giudice di pace di Trieste, nel procedimento penale a carico di D. A. con ordinanza del 14 gennaio 2010, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 14 gennaio 2010, nel corso di un processo penale nei confronti di uno straniero imputato del reato previsto dalla norma censurata, il Giudice di pace di Trieste ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, secondo comma, 27 e 117 della Costituzione, dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), il quale punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, «salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del [citato] testo unico nonché di quelle di cui all’art. 1 della l egge 28 maggio 2007, n. 68»;
che, in accoglimento dell’eccezione formulata dal pubblico ministero nel corso dell’udienza, il giudice a quo ritiene che la norma impugnata si ponga in contrasto, in primo luogo, con l’art. 27 Cost., giacché la comminatoria di una pena pecuniaria nei confronti di persone prive di fonti di reddito risulterebbe «meramente pretestuosa» e inidonea ad esplicare qualsiasi funzione rieducativa;
che sarebbe inoltre violato l’art. 24 Cost., in quanto la norma censurata non consentirebbe all’imputato «di dimostrare efficacemente […] a fini assolutori la esistenza di una qualche causa di giustificazione»;
che risulterebbe leso anche l’art. 117 Cost., in riferimento all’art. 14 della «Convenzione Onu sui Diritti dell’Uomo» [recte: della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948] e all’art. 5 del «Preambolo del Protocollo della Convenzione di Palermo 12-15 dicembre 2000» [recte: del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria, adottato dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000], in forza del quale «i migranti non diventano assoggettabili all’azione penale per il fatto di essere oggetto delle condotte di cui all’art. 6»;
che l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 si porrebbe, poi, in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto plurimi profili;
che la scelta legislativa di criminalizzare l’ingresso e la permanenza «clandestini» dello straniero nello Stato italiano risulterebbe, infatti, irragionevole, stante la coincidenza dell’ambito applicativo della nuova fattispecie criminosa con quello della preesistente misura amministrativa dell’espulsione;
che apparirebbe, altresì, priva di ogni valida ragione giustificativa la preclusione dell’oblazione di cui all’art. 162 del codice penale, sancita dalla norma censurata;
che sarebbe ravvisabile, inoltre, anche una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla fattispecie criminosa contemplata dall’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, che punisce lo straniero inottemperante all’ordine di allontanamento del questore solo quando lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza giustificato motivo»: limitazione che non si rinviene, per contro, nella disposizione impugnata;
che detta disposizione – sottoponendo a pena il «migrante economico» – violerebbe, ancora, il principio di eguaglianza, che vieta ogni discriminazione fondata su condizioni personali o sociali;
che la nuova norma risulterebbe, poi, irrazionale nella parte in cui – nell’elevare a reato lo stato di clandestinità, in precedenza penalmente irrilevante – anziché prevedere una «adeguata tempistica», ha concesso ai «clandestini» un termine di soli quindici giorni per allontanarsi dal territorio dello Stato, ponendoli così nella concreta impossibilità di evitare di incorrere in responsabilità penale per un fatto anteriormente commesso;
che l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 violerebbe, infine, l’art. 2 Cost., in quanto pregiudicherebbe «i diritti inviolabili dell’uomo alla propria identità personale ed alla propria cittadinanza», nonché l’art. 25, secondo comma, Cost., perché non sanzionerebbe fatti materiali, ma condizioni personali.
Considerato che il Giudice di pace di Trieste dubita, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;
che l’ordinanza di rimessione presenta carenze in punto di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito della questione;
che il giudice a quo si limita, infatti, a riprodurre, nell’epigrafe di detta ordinanza, il capo di imputazione: il quale si risolve, peraltro, nella sostanza, in una mera e generica parafrasi della norma incriminatrice – persino quanto al riferimento, in via alternativa, alle condotte di ingresso e di permanenza illegale nello Stato – senza che venga riferito alcunché sulla vicenda che ha dato origine al giudizio e sulla sua effettiva riconducibilità al paradigma punitivo censurato;
che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile (con riferimento ad analoghe questioni di legittimità costituzionale, relative alla medesima norma, ordinanza n. 253 del 2010).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, secondo comma, 27 e 117 della Costituzione, dal Giudice di pace di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’11 novembre 2010.