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Differenza tra concessione di servizi ed appalto – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3377/2011

Le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), né per la loro natura autoritativa o provvedi mentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato (cfr. Sez. VI 15 maggio 2002, n. 2634). Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione, quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi.

(© Litis.it, 11 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n. 3377 del 06/06/2011

FATTO

La Provincia di Pordenone autorizzava con delibera dirigenziale n. 1878 del 05/08/2009, l’avvio della procedura di gara per l’affidamento del servizio di tesoreria, per il periodo 1° gennaio 2010 -31 dicembre 2014.

Alla gara partecipavano due candidate, la Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia s.p.a., odierna appellante, e la Banca popolare Friuladria.

Valutate le offerte secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il servizio veniva aggiudicato in via provvisoria alla Banca popolare Friuladria.

CARIFVG impugnava, con ricorso n.r.g. 606/2009, gli atti di gara avanti il TAR per il Friuli Venezia Giulia, esponendo a fondamento del gravame due motivi di doglianza. Impugnava, quindi, con motivi aggiuntivi anche la successiva aggiudicazione definitiva.

Il TAR friulano, nel merito, respingeva il ricorso, con sentenza n. 358/2010.

Avverso tale decisione, la CARIFVG ha interposto l’odierno atto di appello, chiedendone l’integrale riforma.

Si è costituita la Provincia di Pordenone intimata, chiedendo la reiezione dell’appello siccome infondato.

Si è altresì costituita la Banca Friuladria controinteressata, chiedendo parimenti il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del giorno otto marzo 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1 L’appello è infondato.

2 Con il primo mezzo di gravame il ricorrente censura la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che l’affidamento del servizio di tesoreria per cui è causa abbia natura di concessione e non di appalto, ed ha di conseguenza affermato l’insussistenza dell’obbligo di prestare la cauzione definitiva di cui all’art. 75 del D. Lgs 163/06.

2.1 La doglianza non può essere condivisa.

Ed invero, il 2° comma dell’art. 30 del D. Lgs n. 163/2006, nel definire la concessione di servizi, precisa che la stessa si caratterizza per il fatto che “la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio”, pur potendo, essere previsto anche un prezzo “qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico – finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare”.

Non diversamente, le direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004 definiscono la concessione di servizi come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.

Alla stregua di quanto sopra, poi, la giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto modo di precisare che le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività, né per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), né per la loro natura autoritativa o provvedi mentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato (cfr. Sez. VI 15 maggio 2002, n. 2634).

Quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione: è la modalità della remunerazione, quindi, il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi.

Così, si avrà concessione quando l’operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza, mentre si avrà appalto quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione.

E tale assunto, è stato più volte confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, la quale ha ribadito che si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (Corte Giustizia CE, Sez. III, 15 ottobre 2009, C – 196/08), mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l’operazione rappresenta un appalto di servizi (Corte Giustizia CE, Sez. III, 10 settembre 2009, C – 206/08).

Tanto permesso, non v’è dubbio che la gara per cui è causa rientri tra quelle in cui “la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio”, e, per ciò solo, tra le concessioni di servizi, ai sensi dell’art. 30, 2° comma, del D. Lgs 163/2006.

Infatti, come esattamente rilevato dal giudice di prime cure, la richiamata normativa “non significa che il concessionario non può trarre alcuna utilità economicamente apprezzabile dallo svolgimento del servizio (se così fosse, ben difficilmente si troverebbero concorrenti per le gare di tesoreria) ma solo che la gara non deve prevedere un prezzo che remuneri il servizio, a carico della Stazione Appaltante; in altre parole, la concessione di servizi prevede il trasferimento in capo al concessionario della responsabilità della gestione, da intendersi come assunzione del rischio, che dipende direttamente dai proventi che il concessionario può trarre dalla utilizzazione economica del servizio”.

In questo senso, del resto, si è espressa anche la Corte di Cassazione, con la decisione n. 8113/09, ove viene precisato che “come reiteratamente affermato da queste Sezioni Unite (sentenze n. 13453/91, n. 874/99, n. 9648/2001) il contratto di tesoreria … va qualificato in termini di rapporto concessorio, e non di appalto di servizi … avendo ad oggetto la gestione del servizio di tesoreria comunale implicante, ai sensi del T.U. della Legge Comunale e Provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 325, il conferimento di funzioni pubblicistiche quali il maneggio del denaro pubblico e il controllo sulla regolarità dei mandati e prospetti di pagamento, nonché sul rispetto dei limiti degli stanziamenti in bilancio”.

Conclusivamente, l’affidamento del servizio di tesoreria si sostanzia in una concessione di servizi che, in linea di principio, resta assoggettato alla disciplina del Codice degli Appalti solo nei limiti specificati dall’art. 30 che, per quanto qui interessa, non pone di certo l’obbligo di prestare la cauzione definitiva di cui al successivo art. 75.

Né, giova evidenziarlo, l’assunto è contraddetto dall’invocato parere della AVCP n. 186 del 12 giugno 2008.

Nella fattispecie esaminata dall’Autorità, infatti, la stazione appaltante aveva espressamente previsto nella disciplina di gara, autolimitandosi, l’obbligo in capo agli offerenti di fornire una garanzia fideiussoria costituita nei modi di cui all’articolo 75 del D. Lgs n. 163/2006.

Per quanto sopra l’Autorità, lungi dall’affermare che l’affidamento del servizio di tesoreria si sostanzi in un appalto, si è limitata a rilevare che “non sembra possibile, alla luce di detta norma espressamente contenuta nella lex specialis, da parte della stazione appaltante ammettere al prosieguo della procedura il partecipante che ha omesso di presentare l’impegno a rilasciare la garanzia fideiussoria per l’esecuzione del contratto, in quanto si integrerebbe, altrimenti, una violazione del principio della par condicio nei confronti degli altri partecipanti che hanno regolarmente provveduto, in applicazione dell’art. 75, a presentare la dichiarazione richiesta”.

Infine, va rilevato come sia inconducente disquisire se i servizi di tesoreria siano o meno inclusi tra i codici CPV degli appalti, essendo viceversa essenziale verificare come è stata configurata in concreto la prestazione di quei servizi, posto che ciò che appunto caratterizza (e differenzia) l’appalto dalla concessione è la presenza di un corrispettivo per la prestazione a carico della pubblica amministrazione e, conseguentemente, l’assenza di qualsivoglia traslazione dell’alea inerente la prestazione stessa in capo al soggetto privato.

Pertanto, nella specie, l’assenza di un corrispettivo a carico dell’amministrazione e la conseguante traslazione dell’alea inerente la prestazione a carico del soggetto privato, non può che sostanziare una concessione di servizio.

3 Il secondo motivo d’appello è parimenti infondato.

Al riguardo, il collegio non può che rilevare come l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, con decisione n. 6/2002, abbia ormai chiarito, con riferimento ai contratti di sponsorizzazione (ma lo stesso discorso vale per i contributi in questione, essendo la sponsorizzazione una forma di erogazione di contributi, caratterizzata dalla circostanza che è concesso all’erogante di pubblicizzare il marchio dei prodotti o la propria ditta), che è legittima l’indizione di una gara relativa alla messa a concorso del servizio di tesoreria in cui, tra i criteri di valutazione, sia prevista l’attribuzione di punteggio in relazione alla disponibilità, manifestata dal concorrente, a stipulare un contratto di sponsorizzazione e a farsi carico dei relativi oneri.

Presupposti di legittimità di tale operazione sono state ritenute due circostanze:

– che il pagamento di un corrispettivo in denaro per la sponsorizzazione ed i criteri di attribuzione dei punteggi siano previsti espressamente nel bando o nella lettera di invito, sicché in alcun modo possa ritenersi lesa la par condicio dei partecipanti alla gara una volta resi edotti della clausola e della sua parziale e potenziale incidenza ai fini dell’aggiudicazione;

– che il punteggio conferibile in relazione alle sponsorizzazioni non deve essere tale da costituire l’elemento discriminante principale e – per la sua oggettiva portata – tendenzialmente risolutivo dell’iter concorsuale.

Nel dettaglio, il conferimento di punteggio per tale voce deve muoversi – anche ad evitare che si alterino i principi della concorrenza e della trasparenza dell’azione amministrativa – nell’ambito di una forcella esattamente definita della lex specialis della gara ed ivi resa nota ai concorrenti, tale da non comportare in alcun caso l’attribuzione di punteggi aggiuntivi direttamente e illimitatamente proporzionale al crescere dell’entità dell’offerta per la voce stessa.

Ciò anche al fine di evitare che, per tale via, la procedura concorsuale venga convertita in una sorta di gara con offerte illimitate in aumento, essenzialmente legate alla sponsorizzazione, con aggiudicazione al soggetto disposto ad offrire, per essa, il rialzo più elevato, senza la previa definizione, a tal fine, di un ragionevole e bilanciato tetto massimo, coerente con gli effettivi benefici sinallagmaticamente ritraibili dal concorrente attraverso la sponsorizzazione, ma anche e soprattutto con il limitato rilievo che può assumere nella gara un elemento non costituente indice di particolari capacità nell’espletamento dei servizi di tesoreria.

Orbene, nella fattispecie al vaglio del Collegio i due indicati presupposti appaiono sussistere, in quanto il punteggio per i contributi (quindici su un totale di cento punti), oltre ad essere previsto nel bando, non pare irragionevolmente eccessivo.

Né può assumere rilievo l’invocata circostanza per cui, nel caso di specie, proprio i quindici punti previsti per il contributo economico abbiano consentito alla controinteressata di aggiudicarsi la gara.

Come esattamente rilevato nella sentenza appellata, infatti, “l’argomento prova troppo”, atteso che a parità di requisiti è stato unicamente premiato il concorrente più disponibile, “essendo nella disponibilità della parte – che ben conosceva i termini del bando – offrire una somma più o meno elevata”.

4 Per le ragioni esposte il ricorso va respinto, siccome infondato.

Sussistono tuttavia giusti motivi, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’odierna fase di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:

Calogero Piscitello, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere
Eugenio Mele, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 06/06/2011

 

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