Amministrativa

Inquadramento nel ruolo regionale nella qualifica di istruttore direttivo – Consiglio di Stato Sentenza n. 5832/2012

sul ricorso numero di registro generale 1137 del 2008, proposto da:
D’Ascola Domenico, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Salazar, con domicilio eletto presso Michele Salazar in Roma, piazza Oreste Tommasini N. 20;
contro
Regione Calabria, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Lucio Romualdo, con domicilio eletto presso Aldo Casalinuovo in Roma, V. G. Nicotera N.29 Sc.9 Int.2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00665/2007, resa tra le parti, concernente inquadramento nel ruolo regionale nella qualifica di istruttore direttivo

Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza n.5832/2012 del 19.11.2012

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Calabria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2012 il Cons. Carlo Schilardi e uditi per le parti gli avvocati Simona Salazar, per delega dell’Avv Michele Salazar, e Lucio Romualdo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il sig. Domenico D’Ascola esponeva di essere dipendente della Regione Calabria sin dall’ 1.6.1975, ove prestava servizio presso il Genio Civile con la qualifica di assistente, anche se, per sopperire a carenze funzionali di organico, aveva sempre svolto le mansioni di funzionario.
A seguito dell’entrata in vigore della legge regionale n. 20 del 10.7.1987, il sig. Domenico D’Ascola presentava, in data 5.8.1987, istanza al fine di ottenere i benefici previsti dalla stessa norma.
La Commissione Paritetica preposta all’inquadramento, nella seduta del 9.7.1988, ritenendo fondata l’istanza del sig. D’Ascola, proponeva alla Giunta Regionale l’inquadramento dello stesso nella qualifica funzionale di istruttore direttivo.
Successivamente e, a latere, per ottenere il riconoscimento delle suddette mansioni superiori, il sig. D’Ascola impugnava avanti al T.A.R. per la Calabria la delibera di Giunta Regionale n. 1684 del 9.6.1991, ritenendola pregiudizievole.
Lo stesso sig. Domenico D’Ascola, in data 14.9.1992, notificava quindi alla Giunta Regionale un atto stragiudiziale di diffida e messa in mora, ritenendo che quest’ultima, dopo il parere favorevole della Commissione Paritetica all’inquadramento superiore, avrebbe dovuto operare in conformità e, quindi, accogliere l’istanza formulata ai sensi della L.R. n. 20/1987.
La Giunta Regionale non dava alcun riscontro all’atto di diffida e, conseguentemente, il sig. Domenico D’Ascola proponeva ricorso al T.A.R. per la Campania al fine di ottenere l’annullamento del silenzio-rifiuto sul predetto atto di diffida e l’accertamento del proprio diritto ad essere inquadrato nel ruolo regionale ex L.R. n. 20/1987 nella qualifica di istruttore direttivo.
Il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 2 della legge 241/1990, la violazione e mancata applicazione dell’art. 44 L.R. n. 15 del 30.5.1980, come modificato dalla L.R. n. 20/1987 e l’eccesso di potere per ingiustizia manifesta e disparità di trattamento.
Il T.A.R. per la Calabria, con sentenza n. 665 del 6 giugno 2007, depositata il 20.6.2007, rigettava il ricorso.
Avverso tale pronuncia ha proposto appello il sig. Domenico D’Ascola che lamenta, in ordine al rito, la violazione del principio del contraddittorio non avendo il proprio difensore potuto partecipare all’udienza di discussione, atteso che l’avviso sarebbe stato notificato dalla Segreteria del T.A.R. al vecchio indirizzo del legale.
Nel merito, inoltre, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza gravata riproponendo i motivi di censura già formulati in primo grado ovvero: violazione dell’art. 2 della legge 241/1990, violazione e mancata applicazione dell’art. 44 L.R. n. 15 del 30.5.1980, come modificato dalla L.R. n. 20/1987 e eccesso di potere per ingiustizia manifesta e disparità di trattamento.
Si è costituita in giudizio la Regione Calabria che ha chiesto il rigetto dell’appello perché infondato e, per l’effetto, la conferma della sentenza impugnata.
L’appello è infondato e va rigettato.
Con il primo motivo di censura, l’appellante sostiene che il proprio difensore nel giudizio di primo grado non ha ricevuto l’avviso della fissazione dell’udienza di discussione, che si è dunque svolta senza la sua partecipazione, perché inviato dalla Segreteria del T.A.R. all’indirizzo di via Sbarre Centrali, n. 394, dal quale il difensore si era trasferito nel nuovo studio di via Marvasi, n. 12/B.
Il nuovo indirizzo del legale, continua l’appellante, era stato indicato nella domanda di prelievo e la lettera raccomandata che conteneva l’avviso era stata restituita al mittente con l’annotazione che il destinatario si era trasferito.
Per tale circostanza, a termini dell’art. 105 del Codice del processo amministrativo, ad avviso dell’appellante la sentenza andrebbe annullata con rinvio al primo Giudice, in presenza di una sentenza resa in violazione del diritto di difesa di una delle parti.
Ulteriormente lo stesso difensore evidenzia che, dopo il passaggio in decisione della causa, ma prima del deposito della sentenza, aveva fatto rilevare di non aver ricevuto l’avviso, restituito al mittente, e aveva chiesto la rimessione sul ruolo del ricorso.
Diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, nel caso di specie non ricorre alcuna violazione del procedimento, dal momento che la comunicazione è stata correttamente inviata presso il domicilio eletto nel ricorso introduttivo, come prescrive l’art. 170 c.p.c., mentre il difensore costituito avrebbe potuto e dovuto comunicare in modo formale e tempestivamente il cambio di domicilio, oppure provvedere perché la comunicazioni venissero recapitate a nuovo o diverso studio.
Non può infatti rilevare che il difensore nell’istanza di prelievo, senza specifica comunicazione e senza evidenziare l’effettivo e stabile trasferimento del proprio studio, abbia indicato un indirizzo diverso da quello formalmente eletto, in via Sbarre Centrali, n. 394, nel ricorso introduttivo.
Nel merito, quindi, l’appellante sostiene che il giudice di primo grado non si sarebbe adeguatamente espresso in ordine alla richiesta di annullamento del silenzio rifiuto tenuto dalla Giunta Regionale Calabria, sull’atto di diffida e messa in mora notificatole ai sensi della legge n. 241/1990, perché si determinasse in ordine alla istanza prodotta ai sensi della L.R. 20/1987, per il riconoscimento di mansioni superiori e relativo inquadramento.
Al riguardo il T.A.R. ha evidenziato, invero, che l’attivazione della procedura del silenzio è “un meccanismo che non rileva allorché si verte in tema di accertamento di pretese di inquadramento e creditorie nascenti dalla legge e, come tali, riconducibili a diritti soggettivi perfetti”.
Comunque, come significato dalla Regione Calabria, dopo la proposizione di detta istanza l’Ente aveva proceduto all’inquadramento del dipendente con la delibera n. 1684 del 9.6.1991, avverso la quale lo stesso aveva già proposto ricorso giurisdizionale avanti al T.A.R. di Reggio Calabria.
Sul piano sostanziale, occorre quindi concentrare l’attenzione sulla censura, riproposta in appello, circa la ritenuta violazione e mancata applicazione dell’art. 44 della L.R. 30.5.1980 n. 15 come modificato dalla L.R. 10.7.1987, n. 20, che prevede che nel primo inquadramento del personale di cui alla L.R. 19.1.1977 n. 4, assunto a contratto, “saranno considerate inoltre le mansioni superiori effettivamente svolte presso la Regione, purché, da atti amministrativi aventi valore di fede pubblica, risulti che il loro esercizio abbia avuto inizio da data anteriore all’entrata in vigore della presente legge, con riferimento alla Legge Regionale n. 9 del 28.3.1975, ai sensi dell’art. 72 della detta legge, che verranno valutate dalla Giunta Regionale, a richiesta dell’interessato, su proposta della Commissione Paritetica…”.
Sostiene l’appellante che, a seguito dell’entrata in vigore della legge regionale 10.7.1997 n. 20, in data 5.8.1987, aveva presentato istanza tendente ad ottenere i benefici previsti da detta norma e “nella seduta del 9.7.1988 la Commissione Paritetica preposta all’inquadramento, ritenendo fondata l’istanza, aveva proposto alla Giunta Regionale l’inquadramento del dipendente nella qualifica funzionale di istruttore direttivo”.
Conseguentemente la Giunta Regionale, dopo che la Commissione Paritetica aveva espresso parere favorevole al superiore inquadramento, “avrebbe dovuto operare in conformità ed accogliere quindi l’istanza formulata ai sensi della L.R. n. 20/1987”.
La proposta della Commissione Paritetica è stata espressa sulla base dell’attestato del 19.10.1987 a firma del Dirigente dell’Ufficio del Genio Civile di Reggio Calabria interamente trascritto nell’atto di appello, così come in quello successivo del 19.5.1999.
Nel caso de quo, sostiene l’appellante, “non vi è dubbio che si sia in presenza di più disposizioni normative (LL.RR. nn. 20/1987 e 14/1991) che consentono sia il riconoscimento del superiore livello professionale di fatto raggiunto sia il trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte”, citando recente giurisprudenza,
Orbene, in ordine a detti attestati, per la loro valenza ai fini di quanto richiesto dalla norma e cioè di comprovare l’effettivo svolgimento da parte del sig. Domenico D’Ascola di mansioni superiori, rileva accertare in primo luogo da quale fonte gli atti stessi origino.
Sul punto la giurisprudenza, occupandosi del personale delle regioni, è stata concorde nell’affermare che l’inquadramento del dipendente, con attribuzione di qualifica superiore, può essere operato solo se le mansioni superiori “siano state previamete affidate con atto formale o risultino da atti amministrativi regionali aventi valore di fede pubblica” e rientrano in tale categoria “gli atti dei competenti organi regionali, idonei ad incidere sullo stato giuridico dei dipendenti, e non anche le certificazioni illustrative di situazioni di fatto, attestanti l’esercizio di tali mansioni” (cfr. ex multis C. Stato, Sez. IV, 11.12.1997, n. 1375; C. Stato, Sez. IV, 19.3.1998, n.454; C. Stato, Sez. IV, 19.9.1995, n.705).
Ulteriormente, non vi è motivo per discostarsi da quanto ritenuto dal T.A.R. nella sentenza impugnata e cioè che gli attestati prodotti afferiscono, comunque, “allo svolgimento di mansioni adeguate al profilo del sig. D’Ascola e costituiscono espressione del potere organizzatorio della Pubblica Amministrazione”.
Conclusivamente l’appello è infondato e va rigettato.
Attesa la materia trattata e le problematiche interpretative connesse, sussistono giusti motivi per compensare le spese dell’attuale grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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