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Serie A 14^ GIORNATA: Gioisca Sansone con tutti i Parmei… – di Angelo Abbruzzese

Tante sorprese nella giornata più lunga del campionato 2012-2013. Il 14° turno, infatti, si disputa nell’arco di ben quattro giorni, dall’anticipo tra Palermo e Catania del sabato sera sino ad arrivare al posticipo del martedì tra Lazio e Udinese. Il derby siciliano spazza via ogni tipo di sentenza sputata, sin qui, dal campionato. Il derby dice che un Palermo così affamato vale tutto tranne che la zona retrocessione. La squadra di Gasperini aggredisce il Catania dal 1° minuto, lo mette sotto, non lo fa respirare. Sembra una questione di vita o di morte, per i rosanero. Miccoli, da capitano vero, si schiera in prima linea e guida l’assalto a ritmo di pressing e giocate d’alta scuola. Ci teneva tanto a questo derby il fuoriclasse salentino, tanto da bruciare le tappe per il suo recupero dopo l’infortunio. La prima perla arriva al 10’ e vale il vantaggio: stop a seguire su servizio di Morganella e (dal limite dell’area) destro micidiale all’angolino alto. Andujar rimane immobile esattamente come tutto il Catania, tradito dalla disastrosa serata dei suoi gioielli (Gomez e Barrientos) ma, più in generale, limitato da un gap fisico clamoroso, di proporzioni non preventivabili alla vigilia. 100 gol in Serie A per Miccoli, il popolo rosanero ebro di gioia per l’ennesima emozione regalatagli dal suo campione. Brienza, al 22’, salta secco un disastroso Spolli e sfiora il bis che non arriva solo grazie ad Andujar (conclusione deviata sulla traversa). Al 4’ del secondo tempo si replica: Brienza, sempre lui, porta prima a spasso Spolli sulla fascia destra, poi rientra e serve al centro Ilicic; diagonale destro e 2-0 Palermo. Il Catania, colpito per la seconda volta, accenna una minima reazione, e per “minima” si intende un baricentro leggermente più alto. Un peccato mortale, quest’ultimo, perché i rosanero colpiscono immediatamente in contropiede. Ilicic, lanciato sulla destra da Brienza, si fa metà campo palla al piede, rientra sul sinistro e trafigge Andujar per la terza volta (60’). In una serata del genere, tra primo e secondo tempo gli etnei riescono a rendersi pericolosi solamente con qualche punizione di Almiron o Lodi. Proprio quest’ultimo, al 70’, su calcio da fermo indovina la parabola che beffa Benussi e fissa il punteggio sul 3-1 finale. Il Catania, imbattuto dai fatti del 28 ottobre contro la Juve, frena così la sua scalata all’Europa. Per Gasperini, invece, comincia forse un nuovo campionato.

Niente anticipo delle 12.30, si vola subito alle gare delle 15. Dell’imponente scenografia montata all’Adriatico di Pescara per la visita del figliol prodigo Zeman, è una cosa a sorprendere più di altre: la Roma, dopo la gara casalinga col Torino, rimane ancora imbattuta. Niente male per la terz’ultima difesa del torneo, capace di garantire solidità e punti importanti. I giallorossi, almeno momentaneamente, agganciano il quinto posto e si riaffacciano nelle parti alte della classifica. Non bastano l’emergenza (negli uomini), l’emozione (di un ritorno), la pressione (consueta) a mandare in ansia il tecnico boemo. Che allo stadio che è stato la sua casa per un’intera stagione, qualche mese dopo la fantastica promozione in A, ritrova lo stesso clima: cordiale, addirittura entusiastico quando prima del fischio iniziale riabbraccia il presidente Sebastiani. Sul fronte Pescara le novità non mancano: la prima è in panchina, dove Stroppa ha abdicato per favorire la scalata di Bergodi, anch’egli – semplice gioco del destino – allievo di Zeman. Già, Zeman. Il boemo è quello di sempre. Sopperisce all’assenza del Coco Lamela dando fiducia a Destro, nonostante sia ben conscio di quanto l’intesa con Totti e Osvaldo sia ancora in una fase embrionale. Poi sceglie ancora Pjanic, scacciando una volta per tutte le voci che parlano di frattura fra i due. L’inizio della Roma è discreto, niente di straordinario. Ma al 5’ è proprio Destro a trovare il guizzo giusto su una punizione di Totti respinta in modo superficiale di Perin. Per l’azzurrino è il primo gol in trasferta della stagione e il secondo in assoluto in stagione. La gara si mette in discesa e i giallorossi la controllano agevolmente. Sull’altro lato del campo Quintero si oscura subito, Abbruscato sbatte su Marquinhos (gran prestazione) e il centrocampo non supporta l’azione. Insomma, il Pescara la vede poco (e non è una novità). La Roma orchestra con saggezza, senza farsi prendere dall’ansia del raddoppio… che di fatto non arriverà mai. Totti prova ancora d impensierire Perin da lontano, Destro ci riprova con una bella torsione di testa che il portiere sventa in angolo. Anche nel secondo tempo il copione non cambia. Ma è stranamente piacevole vedere la Roma giocare con discrezione e personalità, mai all’angolo e sempre in controllo. Destro sbaglia ancora a tu per tu con Perin, poi Bergodi pesca Weiss dalla panchina anche se il cambio di Quintero gli regala i primi fischi (ingiustificati) dell’avventura abruzzese. Il giocatore slovacco ex City, però, è l’unico a dare una scossa e a cercare il guizzo, tanto da far guadagnare alla squadra parecchi metri e buona convinzione. È troppo tardi, però, quando Abbruscato si presenta davanti al portiere in un paio di casi ma viene respinto dalla difesa (nella seconda occasione da un superlativo Leandro Castan). La Roma vince e si mostra matura. Con Zeman non è mai tardi per sognare in grande.

Torino e Fiorentina si dimostrano ancora una volta “amiche” dentro e fuori dal campo. Le due squadre hanno dato vita a una bella giornata di calcio nel capoluogo piemontese grazie alle due tifoserie gemellate e ai ventidue, anzi diciamo ventotto, uomini in campo. Una festa nella festa con uno spettacolo da esportare al posto delle solite immagini di violenza. Il 2-2 al fischio finale rappresenta in pieno quanto visto sul terreno di gioco con due squadre capaci di non risparmiarsi dal primo all’ultimo minuto per la gioia di tutti gli appassionati. Del resto le due squadre non hanno fatto altro che confermare le proprie caratteristiche. La tecnica e la qualità viola contro la difesa organizzata e le ripartenze granata. Proprio grazie a una di queste gli uomini di Ventura sono passati in vantaggio. E chi se non Cerci poteva punire il recente passato concludendo al meglio, e con il destro, un contropiede gestito alla perfezione da D’Ambrosio e Santana. Proprio Cerci, capace finalmente di dare concretezza alle buone prestazioni condendo il tutto con una sana esultanza, contravvenendo alla falsa moda del “io non esulto per rispetto”. Ma quando mai, gol al primo tiro in porta del Toro e tanti saluti a chi non ha creduto in lui. Il tutto sul finire di un primo tempo equilibrato al massimo col Toro sull’attenti e la Fiorentina in pressione costante nella trequarti avversaria. Una tranquillità tattica sconvolta al 29’ dallo scontro aereo in area di rigore tra Glik e Toni: per entrambi gita forzata all’ospedale per accertamenti. È nella ripresa, però, che le due squadre danno il loro meglio, favorite anche dagli eventi. La Fiorentina, trascinata dal geometra per eccellenza, Borja Valero, spinge alla ricerca del pareggio, il Torino si chiude e prova a ripartire, spesso riuscendoci, con Alessio Cerci. L’esterno impegna Viviano ma non trova in Bianchi e Meggiorini due partner ideali per concretizzare al meglio gli sforzi. L’assedio viola invece vede Seferovic colpire un palo, Mati Fernandez non trovare il pari per inezie e Pasqual sbagliare il tap-in a porta vuota dopo una bella parata di Gillet su Ljajic. Poco male perché la rete, ampiamente nell’aria, arriva dal dischetto con il quarto gol stagionale di Gonzalo Rodriguez, freddo nel trasformare il penalty guadagnato da Cuadrado per fallo di D’Ambrosio. Parità che dura appena due minuti. Birsa crossa in area ma, sfruttando una leggerezza dello stesso Rodriguez, infila l’angolino per il momentaneo 2-1. L’ultimo gol della giornata però porta la firma di Mounir El Hamdaoui con un bel diagonale da destra su invito di Cuadrado. La partita termina così, la Fiorentina sale a quota 28 punti, sempre più nelle zone altissime della classifica; il Toro, invece, si prepara al meglio in vista dei prossimi due impegni: mercoledì c’è la Coppa Italia contro il Siena, sabato si vola allo Juventus Stadium per il ritorno, dopo tre anni di attesa, del derby della Mole.

Il Genoa rialza la china e lo fa espugnando l’Atleti Azzurri d’Italia di Bergamo per 0-1. Decisiva la rete al 39’ di Andrea Bertolacci, con un bel sinistro al volo dopo una palla svirgolata da Manfredini. Dopo sei sconfitte consecutive, i rossoblù tornano a fare punti e regalano a Delneri la sua prima vittoria sulla panchina del Grifone. Una vittoria arrivata in una partita molto nervosa, risolta da un Genoa bravo a capitalizzare al meglio l’unica palla gol capitatagli. L’Atalanta ha avuto a lungo in mano il pallino del gioco e più occasioni per pareggiare ma si è trovata davanti un grande Frey. I nerazzurri rimangono fermi a quota 18 punti, i liguri salgono a quota 12.

Prosegue il buon momento della Sampdoria che, dopo la vittoria nel derby, vince anche contro il Bologna. Rossoblù in dieci uomini per praticamente tutta la partita, a causa dell’espulsione al minuto numero 5 del primo tempo di Archimede Morleo, per aver atterrato Icardi lanciato a rete. A regalare i 3 punti ai blucerchiati ci pensa Poli, al secondo gol consecutivo, dopo uno scambio con Eder. Il Bologna, nonostante l’inferiorità numerica, ci prova fino all’ultimo ma la Samp resiste e porta a casa tre punti preziosi, che hanno il sapore di rinascita. Una rinascita, per Ferrara e per i suoi uomini, guidata da Andrea Poli, mai in gol in Serie A prima dei due centri contro Genoa e Bologna. D’altronde, forse l’allenatore blucerchiato non aveva tutti i torti nel non riuscire a credere che l’ex Inter non avesse mai segnato nella massima serie…

Pomeriggio da dimenticare al Bentegodi: Chievo-Siena è stata una di quelle partite che sicuramente non resterà negli annali del calcio. Match giocato a bassi ritmi e pochissime azioni degne di note. La palla gol più clamorosa è capitata, in avvio di ripresa, a Calaiò, ma la sua conclusione si è stampata sulla traversa. Per il resto, davvero poca, pochissima roba. Il Chievo termina anche in 10 uomini, per la severa espulsione di Samassa. I bianconeri di Cosmi salgono a 11 punti in classifica, ma si ritrovano ultimi. I gialloblù non stanno di certo meglio, con appena una lunghezza in più.

Il posticipo domenicale della 14^ di A è Milan-Juventus. I padroni di casa sperano nel potere taumaturgico della visita presidenziale, i bianconeri si affidano all’entusiasmo per la straordinaria vittoria in Champions League contro il Chelsea. Allegri opta per Boateng centravanti con Robinho e l’intoccabile El Shaarawy ad agirgli intorno. Forfait dell’ultimo minuto di Abbiati, in porta c’è Amelia. Nella Juve Isla preferito a sorpresa a Lichtsteiner nel ruolo di esterno destro; in difesa c’è Caceres al posto dell’infortunato Chiellini. Bonucci recupera dal virus gastrointestinale e scende in campo per la sua 100^ apparizione in Serie A. Nel primo tempo la squadra di Allegri fa meglio e di più rispetto a quella di Conte, spettatrice per i primi 15’ – quando i rossoneri attuano un pressing altissimo sui portatori di palla e non consentono di ragionare – e poi confusionaria per la restante mezzora. Una volta entrata in partita la Juve conquista il possesso palla ma la manovra è sterile: ritmo blando, troppa distrazione dietro e tanta imprecisione nei passaggi. Persino Pirlo, fischiato dai suoi ex tifosi, sbaglia la misura dei lanci. E questa è una notizia. Inesistente la spinta dalle fasce: timido Asamoah di fronte a un ottimo De Sciglio, da dimenticare Isla, che non azzecca neanche un cross. Marchisio non è il solito Marchisio, Vidal sbaglia palloni che probabilmente non ha mai sbagliato da quando è in Italia. In attacco Vucinic e Quagliarella non si trovano. Al 29’ l’episodio chiave del match: ripartenza del Milan, cross dalla destra per l’accorrente Nocerino che colpisce di testa; il pallone viene rimpallato dal fianco di Isla che salta, però, con il braccio troppo largo. Questo inganna Rizzoli, insieme alle non proteste dei giocatori della Juventus. Rigore che non c’è, ma pur sempre rigore. Dal dischetto Robinho calcia male, Buffon ci arriva, tocca, ma non quanto basta per evitare il gol del vantaggio milanista. Ad inizio ripresa non c’è più Isla: dentro Padoin e non (chissà per quale oscuro motivo) Lichtsteiner. Poi è la volta di Giovinco per Quagliarella, che non prende bene la sostituzione e spende parole poco tenere per Alessio. La differenza apportata dai cambi si sente, soprattutto arrivano le occasioni da gol, inesistenti nel primo tempo. Al 62’ cross di Vidal respinto in tuffo da Amelia, Pirlo rimette subito dentro di testa e Vucinic viene anticipato dall’onnipresente De Sciglio; un minuto dopo altro traversone dalla destra di Padoin, a centro area spettacolare rovesciata di Giovinco che termina sul fondo. È assedio Juve, con il Milan schiacciato nella propria metà campo. Dentro anche Pazzini per Robinho per tenere di più il pallone. Alessio risponde con la freschezza di Pogba per Asamoah. Nel finale Constant mura quasi sulla linea una conclusione a botta sicura di Vucinic, due minuti più tardi Amelia dice di no al montenegrino respingendo la sua conclusione con i polpastrelli. Poi Giovinco viene steso in area di rigore dal portiere rossonero, ma Rizzoli ferma tutto per fuorigioco: rischio per il Milan, sicuro malore sfiorato per tutti i tifosi milanisti a casa e allo stadio. Il forcing finale dei bianconeri non porta a nulla: la Juve cade per la seconda volta in questo campionato contro una milanese, stavolta l’orgoglio del Milan è stato più forte anche degli ormai non più invincibili.

Nella giornata di lunedì, due partite fondamentali per la lotta scudetto. A Cagliari, alle 19, arriva il Napoli; a Parma, alle 21, c’è l’Inter di Stramaccioni. Dicono che quando una squadra vince partite come quella di Cagliari, giocate male e con poche occasioni da gol, sia il segno di una maturità raggiunta. Dicono che senza un pizzico di fortuna i grandi successi non arrivano. Dicono anche che il Napoli sia Cavani dipendente anche se il campo continua a dimostrare il contrario spesso e volentieri. La verità fondamentalmente è una sola: il Napoli di Mazzarri ha un carattere enorme e vincendo alla prima dell’Is Arenas al gran completo, con i tifosi avversari a due metri e una grande emergenza soprattutto in attacco, ha mostrato di poter lottare tranquillamente con le prime della classe per una vetta ora lontana solo due punti. E quanti rimpianti per i punti gettati al vento con Torino prima e Milan poi. Certo lo 0-1 di Quartu Sant’Elena penalizza un buon Cagliari che non ha certo meritato di uscire senza punti dal confronto. Una battaglia giocata prevalentemente a centrocampo anche a causa dell’inefficacia di ambedue i reparti offensivi, bravi a crearsi spazi ma deficitari al momento di venire al dunque. Nelle poche occasioni da una parte e dall’altra poi ci si è messa la sfortuna. Colpisce prima il Napoli, quando il tiro a giro di Insigne al 22’ si stampa sul palo interno col pallone che si cimenta in una danza beffarda sulla linea di porta prima di uscire. Poi vien fuori il Cagliari (che nel frattempo ha anche motivo per arrabbiarsi per la non concessione di un calcio di rigore per fallo di Gamberini su capitan Conti) che va vicino alla rete con un palo dello stesso Conti al 37’. Nel finale di primo tempo, grande giocata di Danilo Avelar, che prova a sfruttare un rinvio errato di De Sanctis calciando da lontano e sfiorando il gol del vantaggio. Nella ripresa, tentativo non riuscito di autorete di Cannavaro, con la palla che si stampa sulla traversa. In un match tutto sommato da pareggio a reti bianche, viste le pari occasioni create da Sau e Insigne, da Nainggolan e Vargas, ha deciso un episodio controverso. Il gol di Hamsik è regolare, anzi, regolarissimo, ma non si può dire che la fortuna abbia aiutato gli uomini di Pulga. Al termine di un’azione lenta, la verticalizzazione decisiva per lo slovacco è in realtà un tocco maldestro di Ekdal che rimette in gioco il trequartista al di là della linea difensiva di un paio di metri. Tiro a giro con freddezza e jackpot sbancato. Domenica c’è il Pescara, sarà tutta un’altra storia. Ma ci sarà Cavani e questo basta a mantenere un sorriso grosso trentadue denti.

Nella seconda gara del lunedì, l’Inter prova ad approfittare del passo falso della capolista ma trova di fronte un Parma agguerrito ed ordinato. Il copione della partita si regge sullo sterile possesso palla dell’Inter e sulla maggiore pericolosità dei padroni di casa: Handanovic non si fa pregare nel bloccare il tentativo di autogol di Samuel e l’incornata di Amauri. È la fascia destra del Parma a spingere, Nagatomo non riesce a dare equilibrio e Juan Jesus non prende mai Biabiany. Il francese ha “solo” il torto di innamorarsi troppo della palla, consentendo il ritorno degli avversari. L’Inter davanti soffre un’imperfetta intesa tra Milito e Palacio e riesce a rendersi pericolosa con un colpo di testa nell’area piccola di Cambiasso, sul quale Mirante si distende bene. Partita maschia, occasioni centellinate: questo dice il primo tempo. Nella ripresa, l’Inter, alla lunga, sembra perdersi mentre il Parma accelera. Dopo cinque minuti Biabiany sfiora il vantaggio, mentre Valdes non riesce ad impegnare su punizione Handanovic. Guarin sparacchia alle stelle, Milito in un impeto di egoismo ci prova di sinistro. Ma la palla non entra, né di qua né di là. Quando la partita inizia lentamente a spegnersi ecco l’invenzione di Sansone, fin lì incolore: Guarin e Samuel gli lasciano una bella porzione di campo che il gialloblù sfrutta alla perfezione. Eccola la favola del calciatore del Parma, che dedica il gol a suo padre interista. Handanovic, e l’Inter con lui, capitola. Gli inserimenti di Coutinho e Livaja non riaccendono la scintilla, arriva la seconda sconfitta nelle ultime tre partite. Parma non porta bene a Stramaccioni ma l’allenatore nerazzurro deve preoccuparsi ben altro che della scaramanzia. Questa Inter ha preso 6 gol nelle ultime tre partite, la vittoria di Torino sembra aver portato con sé una maledizione: da quel giorno, tra Europa e campionato, 3 sconfitte e 1 pareggio. Anche questo è un filotto: occorre rialzarsi, Napoli e Fiorentina non scherzano, anzi. Il Parma conferma il buon momento, continuando così Donadoni e Ghirardi possono togliersi tante soddisfazioni. La squadra c’è, l’ambiente ci crede: l’Europa League, alla fine, non è un sogno così impossibile.

L’ultima gara di un’infinita giornata è Lazio-Udinese. Petkovic rinuncia inizialmente ad Hernanes e inserisce Ederson, sulla stessa linea di Candreva, Gonzalez e Mauri. Guidolin, invece, deve fare a meno di Lazzari e Pinzi, schierando una squadra molto giovane, con gli unici veterani Di Natale e Domizzi. Al 12’ il primo episodio chiave dell’incontro: calcio d’angolo di Candreva, colpo di tacco di Radu e tocco con il braccio di Willians in area di rigore. Penalty ineccepibile, ma dal dischetto Ledesma si fa ipnotizzare da Brkic. Curiosi, nell’occasione del rigore, i gesti di Totò Di Natale, che indica al suo portiere la direzione in cui tuffarsi. Lo stesso Di Natale, al minuto numero 16, colpisce la traversa con un grande calcio di punizione dal vertice destro dell’area di rigore laziale. Resterà questo, però, l’unico acuto del capitano dell’Udinese. Un minuto più tardi, grande palla di Mauri per Gonzalez che col sinistro segna il gol dell’1-0, il suo secondo in Italia. Nell’esultare, l’uruguayano si toglie la scarpa e la usa a mo’ di telefono, mimando una telefonata virtuale da fare ai suoi cari, rimasti in Uruguay. Al 24’ Guidolin si vede obbligato a sostituire anche Domizzi, per un risentimento all’adduttore: al suo posto dentro Angella. La Lazio va vicina al raddoppio con la percussione di Candreva, ma Brkic dice ancora di no. Al 31’ ancora un grande assist di Mauri al volo per Klose, che vola verso la porta avversaria e batte lo stavolta incolpevole portiere bianconero. Nella ripresa dentro anche Hernanes per Ederson ed è proprio il profeta a siglare il gol del 3-0 finale, con un calcio di punizione al bacio, con tanto di capriola. La partita non ha più nulla da dire e termina così: 3-0 per una grande Lazio contro la peggiore Udinese della stagione. I biancocelesti volano al quinto posto a -2 da Inter e Fiorentina.

In virtù di questi risultati, la Juventus resta al comando con 32 punti, seguita dal Napoli a 30 e da Fiorentina e Inter a quota 28. Il capocannoniere del nostro campionato è ancora El Shaarawy, con 10 reti.

I TOP

Nicola Sansone (PARMA): Settantacinque minuti senza impressionare, impegnato a dare equilibrio al tridente voluto da Donadoni. Un paio di tiri sballati, qualche appoggio fallito. Poi però si inventa il gol partita: Guarin e Samuel gli lasciano spazio ma lui se lo prende alla grande. EROICO.

Stefano Mauri (LAZIO): Uno dei migliori, come gli è successo nel derby e nella partita con il Tottenham. Si fa sempre trovare dai compagni, sforna due assist fantascientifici e, con il suo moto perpetuo, manda in crisi la compattezza dei reparti di Guidolin. DECISIVO.

Mattia De Sciglio (MILAN): La partenza promette bene: ottima iniziativa in avanti che si conclude con un diagonale a lato. Molto concentrato e preciso nella fase difensiva (Asamoah non passa) e propositivo in avanti. Esperienza da vendere. D’altronde, se Tassotti dice che questo è bravo… MATURO.

I FLOP

Mauricio Isla (JUVENTUS): Conte lo getta nella mischia a sorpresa ma non indovina la mossa. Episodio del rigore a parte, sbaglia di tutto e di più. Esce dopo 45’. SCIAGURA.

Nicolas Spolli (CATANIA): Macchinoso e lento, Brienza non gliela fa mai vedere. Mezzo punto in più per l’incredibile salvataggio (col tacco sinistro) sul tiro a botta sicura di Morganella al 36’ della ripresa. Per il resto, fa acqua da tutte le parti. IMPACCIATO.

Rodrigo Palacio (INTER): Spuntato, inconcludente e pesce fuor d’acqua accanto a Milito. Non ha intesa col compagno di reparto ma, a differenza del 22 interista, il “Trenza” non riesce neanche a difendere un pallone, né a trovare lo spazio giusto per provare il tiro. APPANNATO.

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