Amministrativa

adozione piano preventivo prestazioni ambulatoriali – risarcimento danno – Consiglio di Stato Sentenza 00134/2013

 

sul ricorso numero di registro generale 7348 del 2002, proposto da:
Azienda U.S.L. LE/1, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Francesco Flascassovitti e Pier Luigi Portaluri, con domicilio eletto presso Luigi Gardin, in Roma, Via Laura Mantegazza, 24,
contro
STUDIO RADIOLOGICO XX XX,
in persona del legale rappresentante p.t.,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv.to Antonio Natrella, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni Pellegrino, in Roma, Corso del Rinascimento, 11;
Lab. Analisi P. Pignatelli, non costituitosi in giudizio;
nei confronti di
REGIONE PUGLIA,
in persona del Presidente p.t.,
non costituitasi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA di LECCE – SEZIONE II n. 03696/2002, resa tra le parti, concernente adozione piano preventivo prestazioni ambulatoriali – risarcimento danno.
Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 00134/2013 del 14.01.2013
Visto il ricorso principale, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio, nonché appello incidentale, dell’appellato STUDIO RADIOLOGICO XXXX;
Visto che non si è costituita in giudizio la Regione Puglia;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;
Vista l’Ordinanza n. 3911/2002, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 24 settembre 2002, di reiezione della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;
Visti tutti gli atti della causa;
Data per letta, all’udienza pubblica del giorno 30 novembre 2012, la relazione del Cons. Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa udienza pubblica, gli avv.ti Francesco Flascassovitti e l’avv. Mosca in sostituzione dell’avv. Pier Luigi Portaluri per l’appellante principale, nonché l’avv. Gabriele Pafundi, in sostituzione dell’avv. Antonio Natrella, per l’appellato/appellante incidentale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. – La sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso proposto dalla struttura sanitaria privata accreditata odierna appellata ( operante nell’àmbito territoriale dell’AUSL LE/1 nella branca di radiologia ), ha annullato, nei limiti dell’interesse della ricorrente ed in parte qua, la delibera adottata dal Direttore generale dell’Azienda USL LE/1, n. 5467/01, concernente l’adozione del piano preventivo delle prestazioni specialistiche ambulatoriali e dei tetti di spesa mensili e annuali relativi alle attività da erogarsi dai professionisti e dalle strutture private in regime di accreditamento provvisorio per l’anno 2002.
2. – Con l’appello principale all’esame l’amministrazione deduce l’infondatezza dell’originario ricorso, mentre la parte privata intimata resiste al gravame, chiedendone la reiezione e proponendo altresì appello incidentale, col quale vengono riproposte le censure dichiarate assorbite o respinte dal Giudice di primo grado.
Non si è costituita in giudizio la Regione Puglia.
Con Ordinanza n. 3911/2002, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 24 settembre 2002, è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.
Con memoria in data 5 giugno 2012 parte appellante principale ha insistito sulle sue deduzioni.
Controparte, con memoria in data 12 giugno 2012, premessa eccezione di sopravvenuta improcedibilità dell’appello principale, ha passato in rassegna le circostanze di fatto e di diritto, da cui ricava l’infondatezza dell’appello principale e la validità delle censure sviluppate nel proprio appello incidentale.
L’appellante principale, con memoria in data 20 giugno 2012, ha poi aggiunto brevi repliche alla detta memoria avversaria.
La stessa appellante principale, con memoria in data 26 ottobre 2012, ha ulteriormente insistito per l’accoglimento del suo appello e per la reiezione di quello incidentale.
All’udienza pubblica del 30 novembre 2012 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.
3. – Rileva preliminarmente il Collegio che la questione della legittimità degli atti, con i quali l’Amministrazione sanitaria pugliese ( con la deliberazione del D.G. dell’A.u.s.l. Le/1 n. 5467/01 e con la presupposta deliberazione della Giunta Regionale n. 1392/2001 ) ha stabilito i tetti di spesa relativi all’anno 2002 per le strutture sanitarie accreditate operanti nell’àmbito territoriale di detta Azienda sanitaria, è già stata risolta in senso positivo dalla Sezione con decisioni n. 518/2012 e n. 4880/2012, che, pronunciando su appelli principali proposti dall’Azienda stessa e su appelli incidentali interposti da alcune di dette strutture sanitarie avverso statuizioni del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sezione Staccata di Lecce di contenuto del tutto identico a quello della sentenza qui impugnata, hanno accolto gli appelli principali e respinto gli appelli incidentali, recanti censure analoghe a quelle dei corrispondenti gravami qui proposti.
Sussistono, dunque, le condizioni per la decisione del presente ricorso con sentenza in forma semplificata, rappresentando le citate decisioni n. 518/2012 e n. 4880/2012 precedenti conformi ex art. 74 c.p.a., da cui il Collegio, come si vedrà, non ravvisa ragioni per discostarsi.
Venendo, sulla base di siffatte coordinate, ai proposti appelli, in linea preliminare va:
– disattesa l’eccezione di improcedibilità dell’appello principale, sollevata dalla parte appellata, la quale deduce che l’amministrazione è nuovamente intervenuta nella materia dei tetti di spesa 2002 con la deliberazione del Direttore Generale della A.S.L. Le/1 n. 4682 in data 30 ottobre 2002, anch’essa annullata in parte qua ( precisamente per la parte in cui, pur riconoscendo integralmente le prestazioni erogate fino alla comunicazione della deliberazione stessa, assicurava per il periodo successivo un tetto mensile proporzionato alla quota di tetto non utilizzata alla stessa data ) dallo stesso T.A.R. con sentenza n. 7875/2002, poi passata in giudicato: ed infatti, in disparte il fatto che, come già rilevato da questa Sezione con la citata decisione n. 518/2012, la sopravvenuta decisione del T.A.R. n. 7875/2002, che l’appellato pone a fondamento della sollevata eccezione, risulta “incentrata su argomentazioni giuridiche diverse da quelle espresse dalla pronuncia oggetto del presente giudizio di secondo grado” e che “seppure sia possibile rilevare una certa continuità tra i contenuti sostanziali delle due deliberazioni adottate dall’amministrazione, rimane intatta la netta separazione fra le due determinazioni riguardanti i tetti di spesa stabiliti per il 2002, le quali hanno contenuti del tutto distinti”, è comunque indubbio, come già sottolineato dalla Sezione nella citata decisione n. 4880/2012, che la seconda deliberazione risulta adottata all’ésito di una rinnovazione dell’attività amministrativa “che trova il suo unico presupposto nelle citate sentenze di questo Tribunale” ( così, testualmente, l’anzidetta sentenza T.A.R. n. 7875/2002 ), sì da costituire spontanea esecuzione, da parte della Pubblica Amministrazione, della pronuncia giudiziale qui impugnata favorevole agli odierni appellati, la quale, com’è noto, non comporta né acquiescenza alla sentenza stessa preclusiva dell’impugnazione (trattandosi di mero adempimento di un ordine giudiziale e quindi di un comportamento posto in essere in esecuzione della pronuncia di primo grado di carattere esecutivo: Cons. St., V, 26 febbraio 2010, n. 1148; id., 29 dicembre 2009, n. 8997; da ultimo, Cons. St., 8 luglio 2011, n. 4100), né l’improcedibilità dell’impugnazione già proposta e nemmeno il venir meno dell’interesse degli originarii ricorrenti alla declaratoria di illegittimità degli atti oggetto del giudizio, che potranno dirsi definitivamente superati dai nuovi atti adottati dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza di primo grado solo allorché le statuizioni di questa siano confermate dal Giudice d’appello ( v., ex plurimis, Cons. St., IV, 5 settembre 2007, n. 4644; id., 18 dicembre 2008, n. 6368; id., 19 maggio 2008, n. 2229; id., 9 luglio 2010, n. 4453; Cons. St., V, 26 febbraio 2010, n. 1148; da ultimo, Cons. St., III, 14 dicembre 2011, n. 6574 ); né il fatto che l’Amministrazione abbia ritenuto poi di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia di annullamento resa dal T.A.R. in relazione alla citata seconda deliberazione consente di poter ritenere definitivamente, se pure tacitamente, accettata anche la prima sentenza T.A.R. della cui impugnazione qui si discute, in quanto l’eventuale pronuncia di annullamento della stessa da parte del Giudice di appello adìto su di essa avrebbe un naturale effetto espansivo, idoneo comunque a far venir meno gli atti adottati dalla p.a. per sostituire il provvedimento dalla sentenza di primo grado annullato, al dichiarato fine di dare solo provvisoria esecuzione alla pronuncia stessa ( Cons. St., VI, 27 luglio 2010, n. 4902 ), la cui intervenuta impugnazione non onerava pertanto l’Amministrazione medesima ad un analogo gravame avverso la sopravvenuta pronuncia di annullamento del provvedimento sostitutivo, l’interesse al cui mantenimento in vita era da escludersi, in capo all’Amministrazione, proprio in virtù della intervenuta proposizione del gravame avverso la sentenza T.A.R. di annullamento del primigenio provvedimento, ch’è l’unico sul quale si appunta dunque, senza fraintendimenti e senza comportamenti che possano denotare acquiescenza alcuna, l’interesse dell’A.S.L. Persiste, in definitiva, l’interesse, anche economico, dell’appellante principale alla riforma della sentenza sfavorevole ( v. Cons. St., III, n. 518/2012, cit. );
– ancora disattesa l’eccezione di improcedibilità dell’appello principale sollevata dall’appellato “per sopravvenuta inesistenza del presupposto” delle delibere adottate dalla ASL ( derivante, secondo la tesi dello stesso, dalla decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato 31 gennaio 2003, n. 499, concernente l’annullamento della deliberazione del Direttore Generale dell’AUSL LE/1 n. 7341/200, relativa alla fissazione dei tetti di spesa per l’anno 2001 ), essendo in proposito sufficiente osservare ( v. Cons. St., III, n. 518/2012, cit. ) che la delibera impugnata nel presente giudizio conserva la propria autonomia ed ha un ambito di efficacia oggettivo e temporale distinto, utilizzando i dati del 2001 come mero parametro di riferimento per definire i contenuti dei nuovi tetti di spesa per l’anno successivo.
4. – Si può passare, ora, al merito dell’appello principale, che si rivela fondato.
5. – La pronuncia di accoglimento di primo grado si basa, in primo luogo, sull’assunto, secondo cui la determinazione adottata dalla ASL attribuirebbe una ingiustificata preferenza alle prestazioni erogate dalle strutture pubbliche, a danno di quelle private; preferenza tradottasi nel depotenziamento dei tetti di spesa a queste assegnati per l’anno 2002.
5.1 – La tesi sostenuta dal T.A.R. non è condivisibile.
Come ricordato, invero, nella citata decisione n. 518/2012, questo Consiglio ha ribadito più volte che la decisione con cui l’amministrazione stabilisce i tetti di spesa deve assicurare un adeguato equilibrio tra le diverse articolazioni, pubbliche e private, del sistema di erogazione del servizio sanitario, ma non impone affatto una incondizionata e assoluta equiparazione tra soggetti pubblici e privati ( fra le tante: Cons. Stato, Quinta Sezione, 22 aprile 2004, n. 2296; 5 maggio 2010, n. 2577; 28 febbraio 2011, n. 1259 ).
Ha aggiunto a ciò la decisione n. 4880/2012 che le Regioni, alle quali è affidato il compito di adottare determinazioni di natura autoritativa e vincolante in tema di limiti alla spesa sanitaria in coerenza con l’esigenza che l’attività dei varii soggetti operanti nel sistema si svolga nell’àmbito di una pianificazione finanziaria ( v. art. 32, comma 8, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, secondo cui le Regioni individuano preventivamente per ciascuna istituzione pubblica e privata i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario ), nell’esercizio di detta potestà programmatoria godono di un ampio potere discrezionale, chiamato a bilanciare interessi diversi, ossia l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, le legittime aspettative degli operatori privati che ispirano le loro condotte ad una logica imprenditoriale e l’assicurazione dell’efficienza delle strutture pubbliche, che costituiscono un pilastro del sistema sanitario universalistico ( Cons. St., ad. plen., n. 4/2012 ); il valore vincolante di dette determinazioni esprime dunque, ad avviso di questo Collegio, la necessità che l’attività dei varii soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell’àmbito di una pianificazione finanziaria.
È poi giurisprudenza pacifica quella, secondo cui gli atti di programmazione, pur essendo ampiamente discrezionali, non si sottraggono al sindacato del giudice amministrativo, ma tale sindacato non può impingere nel merito delle scelte effettuate dalla p.a. e può riguardare solo vizi che ictu oculi appaiano di eccesso di potere in alcune figure sintomatiche, quali l’illogicità, la contraddittorietà, l’ingiustizia manifesta, l’arbitrarietà o l’irragionevolezza della determinazione (Cons. St., VI, 27 luglio 2010, n. 4902); ciò in quanto si tratta di provvedimenti assunti all’esito di complesse procedure, nel corso delle quali sono di norma acquisite, discusse e definite tutte le valutazioni connesse con il perseguimento dell’interesse pubblico.
In questo ambito acquista valore l’adeguatezza della motivazione, consentita anche per relationem a tutti gli atti del procedimento, ma, stante la natura ampiamente discrezionale del provvedimento, è ovvio che essa non deve convincere della “opportunità” della scelta effettuata, bensì solo dell’assenza dei vizi suelencati.
Orbene, alla stregua di siffatti parametri di giudizio, occorre qui osservare che se la funzione programmatoria regionale, vòlta a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, rappresenta un dato inabdicabile nella misura in cui la fissazione dei limiti di spesa si atteggia ad adempimento di un obbligo che influisce in modo pregnante sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni da erogarsi ( Cons. St., ad. plen., n. 4/2012, cit. ), in concreto, la contestata riduzione, o depotenziamento, dei tetti di spesa assegnati alle strutture private accreditate del territorio leccese per l’anno 2002 ( interessante peraltro il presente giudizio solo per quanto concerne la branca di Radiologia Diagnostica, nella quale si inscrive, secondo la prospettazione del ricorso di primo grado, l’attività della struttura originaria ricorrente ) trova la sua diretta e legittima scaturigine, ad avviso del Collegio, nell’atto programmatorio regionale pure oggetto del giudizio ( la deliberazione della Giunta Regionale n. 1392 in data 5 ottobre 2001 contenente il Documento di Indirizzo Economico-Funzionale del S.S.R. per il 2001 ed obiettivi funzionali per la programmazione triennale 2001/2003 ), che, quale primo e fondamentale strumento di orientamento per le strutture sanitarie pubbliche e private, teso a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili per il periodo di riferimento, muove del tutto congruamente dalle insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica, confermando per il 2001 (anche “ai fini del bilancio di previsione 2002”: punto 28., lett. c), del dispositivo) i limiti già previsti dall’art. 25 della L.R. n. 28/2000 in materia di remunerazione per le prestazioni interessanti l’assistenza specialistica e la diagnostica strumentale ambulatoriale erogate da soggetti privati provvisoriamente accreditati e quindi “quelli determinati in esecuzione della Deliberazione di Giunta Regionale 27 dicembre 1999 n. 1832, decurtati dei tetti di remunerazione per tali prestazioni che risultano incorporati con il presente atto nei limiti massimi di remunerazione degli IRCSS privati e degli Enti ecclesiastici” (pag. 11 delib. cit.); in particolare, per le prestazioni specialistiche del settore privato, il limite è stato incrementato del 5%, con l’avvertenza, tuttavia, che “tale maggiore disponibilità del 5% … non costituisce in alcun modo elevazione dei tetti massimi di remunerazione definiti negli accordi contrattuali già sottoscritti tra le USL e le Parti interessate in esecuzione dell’art. 25 della LR 28/00″, in quanto destinata ad essere utilizzata nelle ipotesi specificamente previste nella stessa deliberazione.
Dalla imprescindibile necessità, poi, che l’attività dei varii soggetti operanti nel sistema sanitario si dispieghi nell’alveo di una seria ed effettiva pianificazione finanziaria ( che importa anzitutto collegamento tra responsabilità e spesa ) deriva poi l’obiettivo primario, assegnato alle Aziende USL con lo stesso atto, di razionalizzare il costo capitario per prestazioni specialistiche e di diagnostica strumentale da privato, qualora eccedente quello medio regionale pari a £. 51.940=.
Trattasi di obiettivo stringente ed irrinunciabile, che si colloca in un quadro che non può prescindere dalla scarsità delle risorse e dalle esigenze di risanamento del bilancio nazionale ( cfr. Corte cost., sent. 28 luglio 1995, n. 146 ), per il raggiungimento del quale del tutto ragionevolmente, in una situazione nella quale l’autonomia dei varii soggetti ed organi operanti nel settore deve essere correlata alle disponibilità finanziarie, vengono ivi indicati due strumenti di regolazione:
– l’aumento della capacità diretta delle strutture di erogazione delle Aziende ASL;
– la funzione di regolazione da compiersi anche a cura dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta.
Tràttasi, invero, di misure, non ictu oculi illogiche, che mirano a commisurare la spesa alle effettive disponibilità finanziarie, “le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute ” ( cfr. Corte costituzionale, sentenza 28 luglio 1995, n. 416; cfr. anche Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 1992, n. 356, nonché Consiglio di Stato, Ad. Plen., decisione n. 8/2006 ).
Né dette misure violano il principio di parificazione e di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private, che gli atti di programmazione devono in ogni caso conciliare con lo scopo di assicurare la razionalizzazione del sistema sanitario nell’interesse del contenimento della spesa pubblica; invero, osserva il Collegio, proprio attraverso i poteri di programmazione proprii delle Regioni e la stipula di appositi “accordi contrattuali” tra le ASL competenti e le strutture interessate ( per la definizione di obiettivi, volume massimo e corrispettivo delle prestazioni erogabili ) si è temperato il regime concorrenziale ( Corte Cost., 26 maggio 2005, n. 200 ).
Una volta, dunque, che non viene in concreto nel presente giudizio seriamente contestata l’istruttoria svolta dalla Regione diretta ad analizzare l’entità dei costi sostenuti in ambito privato, nessun riguardo preferenziale risulta, come invece afferma l’originaria ricorrente, dalla stessa riservato alle strutture pubbliche, mirando le misure delineate semplicemente ad un parziale riequilibrio dell’offerta ( mediante un più razionale ed intenso utilizzo delle migliorate, e suscettibili di ulteriori margini di miglioramento, dirette capacità erogative delle strutture pubbliche ), accompagnato, peraltro, da interventi di contenimento della domanda ( formazione dei medici, attivazione di percorsi diagnostici, ecc. ).
In una situazione, quindi, di verosimile sovracapacità produttiva ( che gli atti di causa non consentono certo di ricondurre a quello “sperpero di ricchezza” divisato dal Giudice di primo grado senza tener conto del fatto che il quadro regionale pugliese sconta indubbiamente il fatto che nel suo ambito tutte le strutture pubbliche, a tempo debito, sono state accreditate e così pure quelle private già convenzionate, che sono state parimenti ammesse all’accreditamento provvisorio: Consiglio Stato, sez. V, 31 gennaio 2003, n. 499 ), esigenze insopprimibili di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica hanno giustificato congruamente l’obiettivo della predeterminazione al ribasso, mediante utilizzo della leva dei tetti massimi di spesa, delle prestazioni sanitarie da acquistare dalle singole strutture private, a fronte della quale, come già affermato da Cons St., n. 518/2012, cit., “il rilievo attribuito alle prestazioni svolte in ambito pubblico non risulta affatto sovradimensionato, ma si inserisce in una logica opzione di contenimento della spesa sanitaria, adeguatamente spiegata dall’amministrazione e sorretta da un corretto percorso istruttorio”, trattandosi peraltro “di determinazioni che non vulnerano i contenuti essenziali del principio della libera scelta dell’assistito tra strutture pubbliche e private, poiché esso deve ragionevolmente contemperarsi con le disponibilità finanziarie” (“il nuovo modello di servizio sanitario nazionale è ispirato alla coniugazione del principio di libertà dell’utente con il principio di programmazione delle prestazioni a carico del servizio pubblico”: Cons. St., ad. plen., n. 4/2012, cit.), in un’ottica, insomma, di integrazione sì, ma non di completa assimilazione tra strutture pubbliche e private ( Cons. St., III, n. 518/2012, cit. ).
6. – In questa prospettiva, in cui la Regione non solo definisce unilateralmente il tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni ed i preventivi annuali delle prestazioni, ma vincola la successiva contrattazione dei piani determinandone modalità ed indirizzi ( Cons. St., ad. plen., n. 4/2012, cit. ), parimenti adeguate e congrue risultano poi le specifiche, conseguenti, scelte adottate dall’A.S.L. Le/1, attinenti alla rideterminazione dei tetti di spesa per le sole branche di Patologia Clinica, Radiologia Diagnostica, Medicina fisica e riabilitativa e dunque riguardante l’odierno appellato per la sola parte attinente alla rideterminazione concernente la branca di Radiologia Diagnostica, nella quale esso opera, con conseguente inammissibilità di ogni censura, che concerna altre branche ( v. ad es. le considerazioni critiche attinenti alle scelte effettuate per la branca di Patologia Clinica mosse alla pag. 19 della memoria, ricollegabili peraltro alla dichiarazione di appartenenza a detta branca effettuata, in chiaro contrasto con le risultanze del giudizio di primo grado, a pag. 6 del controricorso ed appello incidentale ).
In relazione a tali settori, infatti, la delibera aziendale oggetto del giudizio impugnata ha svolto una accurata valutazione di tutti gli elementi rilevanti ed ha determinato una ragionevole composizione degli interessi pubblici e privati considerati, tenendo appunto conto del valore autoritativo e vincolante delle determinazioni in tema di limiti delle spese sanitarie di competenza delle regioni ai sensi dell’art. 32, comma 8, legge 27 dicembre 1997, n. 449 ( Cons. St., ad. plen., n. 4/2012, cit. ).
Del tutto logicamente, invero, nella cornice della veduta pianificazione finanziaria, la fissazione dei limiti di spesa per le citate branche da un lato si atteggia ad adempimento di un obbligo ineludibile di razionalizzazione della spesa per la remunerazione di prestazioni da erogarsi in tali ambiti, dall’altro offre un’adeguata risposta alle due esigenze, poste dagli atti programmatorii e sottolineate nella delibera aziendale, di:
a) diminuzione della esposizione finanziaria della A.U.S.L. per acquisto di prestazioni da privati, al fine di tendere al previsto rientro nel limite di spesa media regionale ( in stretta osservanza del “monito” lanciato dalla predetta delibera G.R.P. n. 1392/01 laddove fissa l’indicato valore medio regionale come “obiettivo primario di realizzazione cui tendere”, ch’è, ad avviso del Collegio, prescrizione riconducibile a quelle di cui all’art. 24, comma 2, della l.r. n. 28/2000 );
b) approntamento di un sistema erogativo sinergico pubblico-privato, che valga a garantire il diritto dei cittadini alla tutela della salute per l’intero periodo dell’anno e per l’intera gamma delle prestazioni.
Ciò con esiti, nel rispetto dei limiti finanziarii indicati dall’art. 25 della l.r. n. 28/2000 e dalla delibera G.R. n. 1392/2001, di accorta ridefinizione delle prestazioni offerte tra gli altri dal soggetto privato provvisoriamente accreditato odierno appellato, il quale, nel contestare nel presente giudizio dette determinazioni, non è riuscito plausibilmente a dimostrare che derivi dalle stesse un serio pregiudizio al servizio pubblico, sia sotto l’aspetto qualitativo che sotto quello quantitativo; laddove, invece, le determinazioni stesse risultano congruamente disporre l’utilizzazione delle risorse in ragione delle prestazioni concretamente erogabili da ciascuna struttura, pubblica o privata che sia, garantendo una “regolata” concorrenza ed in tal modo contribuendo, non da ultimo, a che l’erogazione delle prestazioni avvenga con la minor spesa possibile.
Del resto, aggiunge il Collegio, nella ripartizione delle quote di risorse tra le varie branche di prestazioni sanitarie e all’interno di ciascuna branca tra le diverse strutture presenti nell’àmbito territoriale di riferimento, la ASL esercita una discrezionalità di ordine tecnico, tenendo conto, oltre che del tasso di utilizzazione e della domanda dei diversi servizii, anche delle modificazioni cui il complesso delle strutture pubbliche e private va incontro nel corso del tempo, così determinando le esigenze di intervento nei varii settori ( Cons. St., V, 23 marzo 2009, n. 1758 ).
7. – La sentenza impugnata va pure riformata, in accoglimento dell’appello principale, nella parte in cui ha ritenuto sussistente la lamentata “eccessiva dilatazione del termine previsto per l’erogazione del conguaglio annuale”, determinato dalla suddivisione del tetto di remunerazione in entità mensili.
Infatti, il procedimento delineato dall’amministrazione porta alla soddisfazione della pretesa creditoria della struttura interessata entro il termine massimo di centoventi giorni dalla liquidazione dell’ultima mensilità annua; termine, questo, che, come già condivisibilmente affermato da questa Sezione ( dec. n. 518/2012, cit. ), “non risulta sproporzionato, in relazione alla entità e ai contenuti dei controlli sulle prestazioni erogate”.
8. – Anche i motivi disattesi o giudicati assorbiti dal TAR, qui riproposti con l’appello incidentale, devono essere respinti.
9 – Anzitutto, l’intervenuto annullamento delle delibere di Giunta Regionale n. 1003/1999 e n. 1832/1999, recanti la pregressa quantificazione delle somme complessivamente stanziate per la specialistica ambulatoriale privata ed il conseguente computo della “quota capitaria” per specialistica privata, non determina, come pretende l’appellante incidentale, l’automatico e radicale travolgimento della delibera della ASL oggetto del presente giudizio, che quella quantificazione prende a riferimento; tràttasi, invero, di un mero riferimento materiale, che non vale a configurare certo le citate delibere regionali come “presupposto giuridico” della delibera adottata dalla ASL, della cui legittimità qui si discute.
Del resto, non va dimenticato che la materia ha poi trovato fonte di regolamentazione diretta nel disposto di cui all’art. 25 della L.R. n. 28/2000 ( che configura così una c.d. legge-provvedimento ), laddove si è, in particolare, stabilito che, fino a diversa deliberazione da parte della Giunta regionale, da adottarsi nell’àmbito del documento di indirizzo economico-funzionale in materia sanitaria per l’anno 2001 e triennale 2001-2003, nei confronti dei soggetti provvisoriamente accreditati si applicano le disposizioni ed i tetti di remunerazione previsti dalla deliberazione G.R. n. 1832/99 e che le regressioni tariffarie, nella misura e secondo le progressioni fissate invece dalla deliberazione G.R. n. 1003/99, trovano applicazione, nei limiti invalicabili del tetto massimo di remunerazione per le prestazioni erogate, a partire dal volume delle prestazioni complessivamente erogate nel 1998, fatti salvi i depotenziamenti già eventualmente decisi dal Direttore generale della ASL territorialmente competente; cosicché sia la deliberazione regionale n. 1392 del 2001, sia la successiva deliberazione ASL qui in considerazione costituiscono mera riproduzione del dettato normativo, nel quale sono indicate, quale limite di spesa invalicabile per il 2001 da destinare alla remunerazione di prestazioni specialistiche erogate da privati, le risorse finanziarie stanziate dalla deliberazione n. 1832/1999, assunte come dato storico nella sua configurazione oggettiva e quantitativa ( Cons. St., V, 15 febbraio 2007, n. 639 ).
10. – Del pari infondata è la prospettazione sviluppata dall’appellante incidentale, secondo il quale contrasterebbe con la normativa statale un sistema che prevede comunque l’uso di risorse per ripianare i costi delle strutture pubbliche e l’attribuzione solo residuale delle restanti risorse alle strutture private per l’acquisto di prestazioni a tariffa.
Al riguardo, il TAR ha correttamente rilevato che alle strutture private accreditate è stata comunque garantita una porzione di risorse idonea a consentire l’acquisto a tariffa integrale del volume di prestazioni erogato nel 1998, periodo in cui le strutture private accreditate hanno esplicato la propria capacità produttiva senza limiti di copertura delle prestazioni erogate, il che vale di per sé a configurare certo come non meramente residuali le risorse destinate alle strutture private conformemente al disposto dell’art. 25 cit.
Vanno invero richiamate, in proposito, le proposizioni della sentenza della Corte costituzionale n. 111 del 2005, con le quali si ricorda come “per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in tale anno, la capacità produttiva delle strutture private … si è potuta esplicare senza limiti”.
L’obiezione svolta in proposito dall’appellante incidentale, secondo cui “alcun riferimento è stato operato a tale effettiva capacità erogativa, bensì ai limiti già assegnati l’anno precedente e che hanno condotto all’esaurimento della capacità erogativa già nel mese di settembre, con conseguente notevolissimo disservizio” (pag. 79 app. ) non risulta poi convincente, dal momento ch’essa non tiene conto di quanto precisato dal Giudice delle leggi circa l’impensabilità di spendere senza limiti, “avendo riguardo soltanto ai bisogni, quale ne sia la gravità e l’urgenza” (cfr. Corte costituzionale, sentenza 28 luglio 1995, n. 416 ) o addirittura, a seguire la tesi dello stesso appellante, alla sola capacità erogativa delle strutture accreditate, dovendo viceversa la spesa commisurarsi alle disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie; tanto è del resto ribadito dal ridetto art. 25 della L.R. n. 28/2000, relativamente al quale, pertanto, è da escludersi qualsivoglia sospetto di incostituzionalità.
11. – Quanto alla dedotta violazione dell’art. 8-quinquies del D. Lgs. n. 502/1992 per la asserita mancata previsione negli atti oggetto del giudizio della remunerazione delle prestazioni eccedenti i tetti di spesa, la stessa non sussiste, atteso che, se si muove dalla premessa che i tetti di spesa sono in via di principio indispensabili date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica e che la veduta matrice autoritativa vincolante delle determinazioni regionali in tema di limiti alle spese sanitarie si collega alla già sottolineata necessità che l’attività dei varii soggetti operanti nel sistema sanitario si dispieghi nell’alveo di una seria ed effettiva pianificazione finanziaria, legittimamente nella fattispecie gli atti di programmazione e di pianificazione della spesa hanno stabilito “tetti massimi di spesa” corrispondenti ad un volume massimo di prestazioni remunerabili, oltre i quali le prestazioni eccedenti non sono remunerate; non si può invero dubitare della legittimità sostanziale di tetti di spesa corrispondenti a tetti di prestazioni, con conseguente facoltà della struttura privata o del professionista accreditato, in caso di esaurimento delle prestazioni preventivate, in alternativa, di negare la prestazione richiesta, ovvero di erogarla informando il paziente della non riconducibilità della prestazione stessa a quelle imputabili al S.S.R. e senza perciò in tal caso poter in alcun modo pretendere la relativa remunerazione dallo stesso; ciò a differenza delle strutture pubbliche, le quali, invece, da parte loro, sono tenute comunque a rendere le prestazioni essenziali loro richieste, anche al di là del tetto di spesa alle stesse assegnato.
Del resto, l’art. 20, comma 5, della L.R. n. 28/2000, richiamato al punto 28., lett. b), del dispositivo della deliberazione della Giunta regionale n. 1392/2001, espressamente prevede che “le prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato vengono remunerate … nei limiti invalicabili del tetto di remunerazione contrattualmente definito”; ed a tale disposizione di legge gli atti oggetto del giudizio si sono strettamente attenuti.
12. – Non mérita accoglimento neppure la censura relativa al preteso carattere apodittico ed abnorme delle regressioni tariffarie applicate per l’anno 2002.
Posto, invero, che il meccanismo di regressione tariffaria serve appunto a garantire l’osservanza degli insormontabili limiti di spesa, non si connota certo come irragionevole un sistema di regressione, che, sotto l’aspetto applicativo, determina ( come avviene nel caso di specie con effetti non contestati dalla parte ) uno sconto complessivo finale non superiore al 6 per cento dell’intero fatturato annuo ( v. pag. 5 della deliberazione del D.G. n. 5467 in data 4 dicembre 2001 ).
Del resto, va considerato che, con la veduta presupposta deliberazione 15 ottobre 2001, n. 1392 della Giunta Regionale della Puglia, la Regione ha assegnato i limiti di remunerazione alle istituzioni sanitarie (Aziende sanitarie locali, Aziende ospedaliere, Enti Ecclesiastici e IRCCS) per il 2001 in misura pari a quella fissata dalla deliberazione G.R. 27 dicembre 1999, n. 1832 per il 2000; e che, ai fini dell’attribuzione, all’interno di ciascuna branca specialistica, della quota parte del totale attribuito a ciascun professionista o struttura, la contestata deliberazione A.S.L. ha ritenuto “coerente utilizzare gli stessi valori già assegnati per l’anno 2001 attribuendo alle branche per le quali non è stato disposto alcun depotenziamento i valori individuali, sia quale montante che quale tetto massimo di spesa già definiti con precedente delibera n. 7341/2000 e successiva n. 4593 del 24.10.2001. Per converso per le Branche per le quali è stato previsto il parziale depotenziamento i valori da montante e da tetto dovranno essere pari a quelli assegnati per il 2001 proporzionalmente rideterminati con la percentuale di depotenziamento stabilita con il presente atto per la rispettiva Branca” ( v. I cpv. del RITENUTO delle premesse della deliberazione n. 5467 del 4 dicembre 2001 ).
Dunque, l’inequivocabile termine di riferimento assunto ai fini della determinazione di cui si tratta sono stati i “valori” 2001, secondo un criterio, che, come risulta dalla deliberazione della stessa A.S.L. n. 7341 del 29 dicembre 2000, è “riferito a valorizzazioni recenti e quindi attuali che hanno in se registrato sia gli effetti delle modifiche tariffarie per le diverse branche, sia la composizione reale della domanda di prestazioni sanitarie …”.
Si può dunque concludere sul punto che il necessario raccordo tra tutela del diritto alla salute ed esigenze di razionalizzazione della spesa sanitaria ha in definitiva trovato applicazione, nel caso della qui contestata regressione tariffaria ( vòlta con tutta evidenza ad indurre, rendendo meno interessante la remunerazione delle prestazioni, una contrazione globale della spesa sanitaria ), equilibrata e conforme alla normativa di riferimento.
13. – Parimenti, ancora, non confliggente né con i principii che régolano la materia, né con il cànone di ragionevolezza appare il censurato carattere mensile del tetto di spesa, in quanto non può disconoscersi in capo all’Amministrazione un’ampia discrezionalità nella previsione dei meccanismi di attribuzione delle risorse disponibili, nell’àmbito dei quali quello in concreto introdotto è uno dei possibili modi di attribuire e controllare le limitate risorse finanziarie disponibili.
14. – Quanto, infine, alla lamentata “incompetenza dell’AUSL a determinare i limiti di attività delle strutture che operano in concorrenza con essa AUSL”, occorre ricordare che gli articoli 20, comma 4, e 25, commi 1 e 2, della L.R. Puglia 22 dicembre 2000, n. 28 attribuiscono alle aziende sanitarie la competenza in materia di determinazione delle quantità di prestazioni da acquistare dal settore pubblico e da quello privato; e che, a norma dell’art. 8-quinquies del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, è competenza dei Direttori Generali delle Aziende USL, nell’àmbito di quanto definito dalla programmazione regionale, definire le attività da potenziare e depotenziare, nonché il volume massimo di prestazioni, distinto per tipologia e per modalità di assistenza, che le strutture presenti nell’àmbito territoriale della medesima unità sanitaria locale si impegnano ad assicurare.
Né tali disposizioni paiono suscettibili di violare, come pretende l’odierno appellante incidentale, gli artt. 41 e 3 Cost., atteso che:
– il cumulo in capo allo stesso soggetto dell’esercizio di funzioni amministrative e della erogazione di prestazioni sanitarie costituisce l’essenza stessa del s.s.n.;
– la ripartizione di compiti disegnata dalla normativa nazionale e regionale in considerazione conferisce alla Regione la funzione programmatoria e di indirizzo generale ed alle AA.SS.LL. la concreta gestione del sistema sanitario sul territorio;
– in tale ambito gestionale rientra il potere di individuazione dei tetti di spesa per ogni struttura pubblica o privata, attribuito alle AA.SS.LL. medesime quali soggetti istituzionali più vicini ai portatori degli interessi collettivi ( principio di sussidiarietà nell’allocazione delle funzioni amministrative );
– la preventiva fissazione, a livello regionale, di regole che disciplinano il finanziamento delle strutture e quindi l’acquisto delle prestazioni vale ad escludere che le AA.SS.LL. possano, nella materia de qua, agire liberae solutae, con conseguente esclusione di ogni possibile lesione del principii di libera concorrenza e di eguaglianza, a garanzia del concreto rispetto dei quali opera anche, nella concreta attività gestionale svolta dalla singola A.S.L., il possente baluardo rappresentato dal principio di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost.
In conclusione sul punto, i principii costituzionali invocati non possono spingersi fino a sopprimere le attribuzioni istituzionalmente proprie delle Aziende, quali articolazioni operative sul territorio del servizio sanitario regionale ( Cons. St., V, 23 marzo 2009, n. 1758 ).
15. – In definitiva, quindi, l’appello principale deve essere accolto, mentre l’appello incidentale va respinto, con conseguente reiezione, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado.
Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, séguono, come di régola, la soccombenza.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente decidendo sul ricorso indicato in epigrafe, accoglie l’appello principale e respinge l’appello incidentale e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna gli appellati alla rifusione in favore dell’Amministrazione appellata di spese ed onorarii del doppio grado di giudizio, liquidandoli in complessivi Euro 12.000,00=, oltre I.V.A. e C.P.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 30 novembre 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Dante D’Alessio, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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