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Sanzioni penale e tributaria: solo una norma le accomuna

sanzioneI due giudizi hanno regole proprie e percorrono strade autonome, di conseguenza anche le conclusioni e le pene applicabili non sono equiparabili, salvo specifica disposizione

Con sentenza 18885 dell’8 settembre, la Corte di cassazione ha statuito che “pare assai più conferente ancorare l’assimilabilità di una sanzione amministrativa a una sanzione penale solo in presenza di un riferimento normativo e non esclusivamente in base al requisito dell’afflittività della sanzione”.
Evoluzione processuale della vicenda
La Corte d’appello di Lecce, dopo aver concesso al contribuente un termine (ex articolo 291 cpc) per rinnovare la notificazione del ricorso (notificato erroneamente al ministero della Giustizia, invece che a quello dell’Economia e delle Finanze, unico legittimato passivo), aveva riconosciuto, in favore del ricorrente, l’equo indennizzo di 20mila euro per la durata irragionevole di un giudizio tributario, iniziato nel 1985 e conclusosi in Commissione tributaria centrale nel 2009.

Con sentenza 20348/2012, la Corte suprema, accogliendo il ricorso proposto dal ministero dell’Economia e delle Finanze, cassava senza rinvio il provvedimento della Corte d’appello, sulla circostanza che il ricorso notificato era inammissibile.
Contro tale sentenza il contribuente proponeva ricorso per revocazione, ai sensi degli articoli 391-bise 395, n. 4, del codice di procedura civile, e il ministero dell’Economia e delle Finanze resisteva in giudizio, contestando tra l’altro, al decreto della Corte d’appello di Lecce, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 3, legge 80/2001, e dell’articolo 6, paragrafo 1, Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), e il vizio di motivazione. Il ministero, infatti, confutava l’accertamento compiuto dalla Corte d’appello circa “la natura del giudizio tributario presupposto, assimilato ad un giudizio penale in quanto riguardante, fra l’altro, l’applicazione di sanzioni tributarie ai sensi dell’art. 39-bis D.P.R. n. 636/72”.

Pronuncia della Cassazione
Al fine di pronunciarsi sulla revocazione, i giudici di legittimità, verificato l’errore di fatto (sostanziale o processuale) esposto, ne valutano la decisività, operando “un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa”; a seguito di tale attività, la sentenza impugnata risulta priva della sua base logico-giuridica, comportando la necessità di procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia (cfr Cassazione, sentenza 6881/2014).
La Corte di cassazione, pertanto, accoglie i motivi di revocazione, affermando che la “notificazione del ricorso al Ministero della Giustizia, invece che al Ministero dell’Economia e delle Finanze, non muta l’identificazione della parte. Tale identificazione, essendo una componente dell’editto actionis, si perfeziona con l’atto propositivo della domanda, che nei procedimenti che si introducono con ricorso si attua con il deposito di quest’ultimo”.

La Corte suprema, inoltre, procedendo alla fase rescissoria del procedimento di revocazione, accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce.

In tema di equa riparazione, per durata irragionevole del processo, ai fini dell’assimilazione della sanzione tributaria alla sanzione penale, che ascrive il giudizio tributario alla “materia penale” ed attiva la tutela ex art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89”, afferma l’adita Corte, “non è sufficiente il carattere afflittivo della sanzione, occorrendo un preciso riferimento normativo, alla luce di quanto affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella decisione 26 febbraio 2013, “Àklagaren c. Hans ÀkerbergFransson”, in armonia col principio costituzionale di stretta legalità delle sanzioni penali (Cass. n. 510/14)”.
Si legge nella motivazione della sentenza della Corte di giustizia che, “Ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri:

  1. il primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale;
  2. il secondo nella natura dell’illecito;
  3. il terzo nella natura nonché nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere”.

A giudizio della Cassazione, “sebbene la pronunzia riferita ampli il novero degli elementi alla stregua dei quali il giudice nazionale è chiamato a decidere se le sanzioni tributarie assumano o no natura penale, (introducendo dei riferimenti alla qualificazione giuridica dell’illecito e alla natura dello stesso, che sono immediatamente applicabili nell’ordinamento italiano), posto che il nostro sistema costituzionale è retto dal principio di stretta legalità nell’individuazione degli illeciti e delle sanzioni penali, pare assai più conferente ancorare l’assimilabilità di una sanzione amministrativa (o tributaria) ad una sanzione penale solo in presenza di un riferimento normativo e non esclusivamente in base al requisito della afflittività della sanzione”.

Salvatore Tiralongo, fiscooggi.it

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