Penale

Non è sufficiente che un presunto pedofilo abbia scambiato, via Internet, foto pornografiche di minori per far scattare l’arresto preventivo (Cassazione 5397/2002)

La cessione di una foto nel corso di una conversazione privata via Internet
ad un unico interlocutore telematico configura una ipotesi attenuata di
pornografia minorile, che non contempla l’adozione di misure cautelari: infatti
le nuove disposizioni introdotte nel codice penale prevedono l’arresto cautelare
solo se venga divulgato materiale ad una pluralità  di persone e non se le foto
sono inviate, con un singolo messaggio di posta elettronica, ad un singolo
indirizzo.

Suprema Corte di
Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza n.5397/2002

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di
Lecce, con ordinanza del 17 aprile 2001, dispose la misura cautelare degli
attesti domiciliari nei confronti di D’Amelio Massimo, indagato per il
delitto di cui all’art. 600, terzo comma, cod. pen. Per avere per via
telematica attraverso internet, tramite una particolare procedura di
collegamento denominata F- server, che permette nel corso di una chat di
accedere a scambiare automaticamente i files esistenti sul disco rigido
dell’interlocutore, distribuito e divulgato materiale fotografico avente
ad oggetto minori degli anni 18, ritratti nel corso di rapporti sessuali
tra loro ed adulti.

Il Tribunale del riesame di Lecce, con ordinanza del 27
aprile 2001, rigettò la richiesta di riesame confermando la misura.

L’indagato propone ricorso per cassazione deducendo:
violazione dell’art. 14 della legge 269/ 1998; mancanza e manifesta
illogicità  della motivazione ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett.
e), cod. proc. pen. E dell’art. 125, terzo comma, cod. proc. pen. in
relazione all’art. 14 della legge 269/ 1998.

Lamenta che fra gli atti su cui si fonda l’ordinanza
genetica non sono compresi i provvedimenti autorizzativi di cui al citato
art. 14, in forza dei quali l’agente della polizia postale di Reggio
Calabria effettuò lo scambio di foto pornografiche con l’utenza
intestata al pervenuto.

Invero, il giudice per le indagini preliminari che
dispose la misura cautelare doveva essere messo nelle condizioni di
valutare la legittimità  dell’operato della polizia di Stato ed analogo
accertamento doveva essere effettuato dal tribunale del riesame.

La carenza del provvedimento autorizzativo, del resto,
rende inutilizzabile la prova illegittimante ed incostituzionalmente
acquisita; violazione del 600 ter cod. pen.; mancanza e manifesta
illogicità  della motivazione ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett.
e), cod. proc. pen. e dell’art. 125, terzo comma, cod. proc. pen. in
relazione all’art. 600 ter cod. pen., lamenta che erroneamente
l’ordinanza impugnata ha assunto nella nozione di materiale pornografico
anche la fotografia raffigurante due ragazzini nudi, dal momento che il
nudo, in assenza di qualsivoglia rapporto sessuale in atto, rientra nel
concetto di erotismo e non in quello di pornografia.

Inoltre, nella specie non è configurabile il reato
ipotizzato, il quale, a differenza di quello di cui al successivo quarto
comma, richiede che vi sia la divulgazione delle immagini incriminate ad
un numero indeterminato di persone e non a soggetti determinati.

Nel caso in esame, le modalità  con cui avvenne lo
scambio di fotografie tra l’indagato e l’agente di polizia mostrano
che si trattava di un colloquio privato e non di distribuzione del
materiale ad un numero illimitato di soggetti.

Violazione degli artt. 272, 273, 274 cod. proc. pen.,
mancanza e manifesta illogicità  della motivazione ai sensi dell’art.
606, primo comma, lett. e), cod. proc. pen. e dell’art. 125, terzo
comma, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 272, 273, 274 cod. proc.
pen..

Lamenta, quanto al fumus del reato, che non vi sono
prove che si trattasse di foto di minori e che sul punto la motivazione
del tribunale si fonda su un’inammissibile inversione dell’onere della
prova.

Quanto alle esigenze cautelari osserva che
l’ordinanza impugnata fa riferimento ad elementi del tutto
inconsistenti, quali l’impiego di strumentazione informatica e di
software, ossia ad una circostanza indispensabile per la stessa
commissione del reato contestato.

Violazione dell’art. 275, secondo comma bis, cod.
proc. pen.; mancanza e manifesta illogicità  della motivazione in ordine
al giudizio di prognosi negativa sulla concessione condizionale della
pena.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I fatti che hanno portato all’adozione della misura
cautelare nei confronti del ricorrente si ricavano dall’ordinanza
impugnata e da quelle precedenti del giudice per le indagini preliminari
di Lecce e del giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria.

Nell’ottobre del 1999, agenti della polizia postale
di Reggio Calabria iniziarono un’attività  di indagine in internet alla
ricerca di eventuale traffico di materiale pornografico a carattere
pedofilo.

L’indagine si svolse dapprima con la verifica di siti
campione (come www.ausmail.com) e poi con l’individuazione di numerose
liste (o gruppi) di discussione a tema specificamente pedofilo (come,
alt.binaries.pictures.erotica.early-teens).

Dati questi risultati, raggiunti, cosí si legge nelle
citate sentenze, grazie all’utilizzo di personale altamente qualificato,
in data 11 aprile 2000 il pubblico ministero di Reggio Calabria autorizzò,
a quanto sembrerebbe, gli agenti di polizia ad acquistare in rete
materiale pornografico e ad individuare soggetti interessati allo scambio
di esso.

A seguito di ciò, il 6 luglio 2000 un agente della
polizia, attraverso l’uso del sistema IRC, entrò in un canale MIRC
denominato fotoporno, relativo al servitore IRC- net, ed usando lo
pseudonimo di Mario123 iniziò a dialogare con altri utenti, tra cui uno
di nome Belfagor, il quale ad un certo punto chiese lo scambio di foto
pornografiche.

L’agente entrò allora in colloquio privato con
Belfagor inviandogli delle foto e ricevendone due, di cui una definita a
contenuto podopornografico e l’altra ritraente due minori nude.

Mentre l’agente, attraverso il programma Visual
Route, stava rilevando l’indirizzo IP dinamico dell’interlocutore,
questi gli intimò di fermarsi e poi troncò la comunicazione.

Attraverso il riscontro dei tabulati telefonici si
risalí quindi all’utenza telefonica dell’odierno ricorrente, ed il
giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria, con
ordinanza del 29 marzo 2001, gli applicò misura degli arresti
domiciliari, dichiarando contemporaneamente la propria incompetenza
territoriale.

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di
Lecce, poi, con ordinanza del 17 aprile 2001, confermò l’applicazione
della misura.

Ciò ricordato, per una migliore comprensione delle
questioni, va subito osservato che il ricorso è fondato sotto diversi
profili.

Per quanto concerne il primo motivo, deve rilevarsi che
dinanzi al tribunale del riesame l’indagato aveva eccepito che tra gli
atti tra cui si fondava l’ordinanza impositiva non erano compresi i
provvedimenti autorizzativi di cui all’art. 14 della legge n. 269 del
1998 [1], provvedimenti la cui presenza era invece necessaria perchè le
condotte a lui addebitate erano state accertate grazie all’impiego di
personale della polizia che operava sotto copertura proprio ai sensi del
citato art. 14 e che agiva proprio sulla base delle disposizioni
impartite.

Il tribunale del riesame ha omesso di esaminare nel
merito questa eccezione ritenendo che essa fosse del tutto irrilevante in
quanto l’eventuale mancanza dei provvedimenti autorizzativi comunque non
inficia ne il gravato provvedimento, ne tantomeno rileva ai fini di una
declaratoria di inefficacia della misura per violazione dell’art. 309,
quinto comma, cod. proc. pen. in relazione all’art. 291, primo comma,
cod. proc. pen..

E ciò sia per il motivo che l’attività 
investigativa sfociata nella richiesta misura è genericamente
inquadrabile nella previsione legislativa di cui al secondo comma del
richiamato art. 14 della legge 269/ 1998, sia per il motivo che nessuna
disposizione del vigente ordinamento o elaborazione giurisprudenziale
consente infatti di equiparare la disciplina delle indagini per via
informatica o telematica a quella delle intercettazioni di conversazioni
telefoniche o ambientali (con le note conseguenze di nullità –
inutilizzabilità  nel caso di assenza dei relativi decreti autorizzativi o
di illegittimità  del medesimi, od omessa trasmissione ex art. 309 co. 5
c.p.p.).

In altre parole il tribunale del riesame ha ritenuto
irrilevante l’eccezione perchè è partito dall’opinione che
quand’anche le investigazioni della polizia postale si fossero svolte
senza una preventiva autorizzazione dell’autorità  giudiziaria ciò non
avrebbe avuto nessuna conseguenza ne sulla validità  delle indagini ne
sulla utilizzabilità  dei relativi risultati.

Questo assunto, però, non può essere condiviso.

Va premesso che l’inquadramento dell’ipotesi in
esame in quella di cui al secondo comma del citato art. 14 è esatta.

Tale disposizioni prevede due diverse forme di
autorizzazione da parte dell’autorità  giudiziaria per le attività 
investigative dirette a contrastare l’induzione, il favoreggiamento e lo
sfruttamento della prostituzione della pornografia minorili.

Il primo comma si riferisce all’attività 
investigativa di iniziativa della polizia giudiziaria e precisamente
all’attività  svolta nell’ambito di operazioni disposte dal questore o
dal responsabile di livello almeno provinciale dell’organismo di
appartenenza) e prevede che l’autorità  giudiziaria possa autorizzare
gli ufficiali di polizia giudiziaria delle strutture specializzate ivi
indicate a procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico ed
alle relative attività  di intermediazione, nonchè a partecipare alle
iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione
minorile, al solo scopo di acquisire elementi di prova in ordine ai
delitti in questione.

Il secondo comma, invece, si riferisce alle
investigazioni dell’organo del ministero dell’interno per la sicurezza
e la regolarità  delle telecomunicazioni e dispone che detto organo,
nell’ambito dei compiti di polizia delle telecomunicazioni, su richiesta
dell’autorità  giudiziaria motivata a pena di nullità , svolge le
attività  occorrenti per il contrasto dei delitti in questione commessi
mediante l’impiego di sistemi informatici o mezzi di comunicazione
telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazioni disponibili al
pubblico e dispone altresí che a tal fine il personale addetto può
utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti,
realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi
telematici, ovvero per partecipare ad essi.

Affinchè ricorra l’ipotesi di cui al primo comma,
quindi occorre: che l’attività  investigativa sia svolta nell’ambito
di operazioni disposte dal questore o dal responsabile provinciale; che
l’attività  sia svolta da ufficiali di polizia giudiziaria; che gli
ufficiali di polizia giudiziaria appartengano alle strutture specializzate
ivi indicate, ed in tal caso l’autorizzazione dell’autorità 
giudiziaria ha ad oggetto soltanto l’acquisto simulato di materiale
pornografico, le relative attività  di intermediazione e la partecipazione
ad iniziative turistiche.

è pertanto evidente come nella specie si esuli del
tutto da questa ipotesi perchè non risulta che l’operazione fu disposta
dal questore o dal responsabile provinciale, perchè le indagini furono
condotte non da ufficiali di polizia giudiziaria ma da semplici agenti e
comunque perchè l’attività  di indagine è consistita anche nello
scambio di foto pornografiche nella rete internet con uso di nomi di
copertura.

è perciò palese che si versi nell’ipotesi di cui al
secondo comma, il quale richiede appunto che le investigazioni
dell’organo specializzato di polizia avvengano su richiesta
dell’autorità  giudiziaria, motivata a pena di nullità .

La norma quindi, richiamando chiaramente le
prescrizioni dell’art. 15 Cost., pone una doppia garanzia, richiedendo:
che l’attività  di polizia giudiziaria avvenga su richiesta
dell’autorità  giudiziaria; che tale richiesta sia motivata, e
disponendo espressamente che la mancanza di tale richiesta motivata
comporta la nullità  delle indagini e dei relativi accertamenti.

Del resto, la stessa ordinanza impugnata mette in
evidenza le ragioni che hanno indotto il legislatore a prevedere la
richiesta deriva non solo dalla necessità  di scriminare l’agente ma
anche dall’esigenza di non violare la disposizione di cui all’art. 15
Cost., dato che l’attività  investigativa viene svolta attraverso
l’ingresso ed il monitoraggio di sistemi in cui si realizzano forme di
comunicazione e nei quali quindi la libertà  deve essere tutelata con
idoneo provvedimento dell’autorità  giudiziaria.

Sennonchè, dopo questa esatta premessa, l’ordinanza
impugnata osserva che la mancanza della richiesta motivata non avrebbe
alcuna conseguenza perchè nessuna disposizione legislativa consentirebbe
di equiparare la disciplina delle indagini per via informatica o
telematica (come quella in esame) a quella delle intercettazioni di
conversazioni telefoniche o ambientali.

Questo assunto è però infondato sotto un duplice
profilo.

Innanzitutto, invero, non è esatto che nessuna
disposizione legislativa equipari i due tipi di indagini dal momento che,
come giustamente rileva il ricorrente, è sufficiente ricordare in senso
contrario la legge 23 dicembre 1993, n. 547, recante modific

https://www.litis.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *