Norme & Prassi

Circolare sulle collaborazioni coordinate e continuative (Circolare Welfare n. 04/2004

Alla Presidenza del Consiglio
dei Ministri Segretariato generale

Alle Amministrazioni dello
Stato anche

ad ordinamento autonomo

Loro Sedi

Al Consiglio di Stato

Ufficio del Segretario generale

Alla Corte dei Conti

Ufficio del Segretario generale

All’Avvocatura generale dello
Stato

Ufficio del Segretario generale

Alle Agenzie

Loro Sedi

All’ARAN

Alla Scuola Superiore della
Pubblica

Amministrazione

Agli Enti pubblici non
economici

(tramite i Ministeri vigilanti)

Loro Sedi

Agli Enti pubblici

(ex art. 70 del D:Lgs n.
165/01)

Loro Sedi

Agli Enti di ricerca

(tramite il Ministero
dell’istruzione

dell’Università e della
ricerca)

Alle Istituzioni universitarie

(tramite il Ministero
dell’istruzione

dell’Università e della
ricerca)

e, p. c. Alla Conferenza dei
Presidenti delle

Regioni

All’ANCI

All’UPI

Loro sedi

 

OGGETTO: Collaborazioni
coordinate e continuative. Presupposti e limiti alla stipula dei contratti.
Regime fiscale e previdenziale. Autonomia contrattuale.

 


1. PREMESSA

 

La pubblica amministrazione è
stata, negli ultimi anni, protagonista di un processo di assimilazione
all’impresa privata, pur nel riconoscimento della sostanziale differenza delle
finalità perseguite, dal punto di vista delle logiche organizzative. Il
mutamento della visione organizzativa dell’amministrazione ha comportato, da un
lato, la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei propri dipendenti e,
dall’altro, l’attribuzione alla dirigenza di un ruolo diverso, con la
conseguente assunzione dei poteri del privato datore di lavoro nella gestione
delle risorse umane, per giungere, anche, all’esercizio di tali poteri
nell’ambito organizzativo vero e proprio.

 

Da cio’ derivano il potere e
l’onere attribuiti ai dirigenti di attendere all’organizzazione dei propri
uffici e delle risorse loro attribuite, secondo la previsione dell’articolo 5
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il quale prevede, al comma 2, che
“Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma
1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla
gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione
con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro”.

 

In questo contesto, si è
sviluppato il ricorso alle tipologie lavorative cosiddette “flessibili” ed alle
collaborazioni esterne ex articolo 2222 del codice civile, come previste
dall’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 165/2001 “Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e,
per le amministrazioni locali, dall’articolo 110, comma 6, del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, “Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali”, anche al fine di rispondere agilmente a bisogni qualificati
e temporanei senza per questo dover aumentare il numero del personale
stabilmente in servizio.

 

L’attivazione di tali contratti
non sempre è stata in linea con i principi dell’ordinamento e, in particolare,
con quanto più volte dichiarato dalla giustizia contabile. La crescita del
fenomeno e l’utilizzo improprio delle collaborazioni portano questa
amministrazione ad intervenire con la presente direttiva, posto che già il
legislatore in sede di legge finanziaria, art. 34 della legge 27 dicembre 2002,
n. 289 e art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, è intervenuto con
disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa (90% del triennio
1999-2001).

 

Per quanto concerne i rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa, si pongono all’attenzione delle
amministrazioni diversi problemi relativi, in primo luogo, all’individuazione
dei presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione, poi alla
valutazione di eventuali tutele non previste dall’ordinamento che, pero’,
possono essere introdotte nei singoli contratti in virtù dell’autonomia
contrattuale attribuita ai contraenti e, in ultimo, alla corretta gestione degli
adempimenti fiscali e previdenziali.

 

In relazione a quest’ultimo
aspetto, è necessario ricordare come l’avvenuta assimilazione dei rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa al lavoro dipendente per gli aspetti
fiscali, operata dall’articolo 34 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che ha
modificato il testo unico delle imposte sui redditi, e che si riverbera anche
sugli aspetti previdenziali, non incide sulla qualificazione giuridica del
rapporto.

 

Infine, è opportuno in tale
sede richiamare la recente riforma del mercato del lavoro, attuata dal decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che ha introdotto la figura del lavoro a
progetto con la finalità di arginare, nel settore privato, l’abuso delle
attuali collaborazioni coordinate e continuative che per questa ragione andranno
ricondotte alla modalità “a progetto” in ragione della autonomia del
collaboratore.

 

Occorre, pero’, chiarire già
adesso che il decreto legislativo citato, come già disposto dalla legge delega
14 febbraio 2003, n. 30, ha sancito espressamente l’inapplicabilità delle
disposizioni ivi contenute alle pubbliche amministrazioni ed al loro personale
e, nell’articolo 86, comma 8, ha, inoltre, previsto che il Ministro per la
funzione pubblica convochi le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i
profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore del decreto
legislativo, anche ai fini della eventuale predisposizione di provvedimenti
legislativi nella materia.

 

Si rappresenta con l’occasione
che lo scorso 5 marzo si è dato corso all’avvio del processo di armonizzazione
con un atto di indirizzo all’ARAN per la stipula di un contratto collettivo
nazionale quadro.

 


2. PRESUPPOSTI

 

La ricognizione sulla
necessità che le amministrazioni verifichino l’esistenza dei presupposti che
legittimano il ricorso ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
scaturisce dalla considerazione che il ricorso a tali tipologie contrattuali è
sensibilmente aumentato. Da elaborazioni effettuate dall’ARAN sui dati Si. Co.
del Ministero dell’economia e delle finanze, relativamente all’utilizzo degli
istituti di lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni, per il biennio
2000-2001, sono emerse indicazioni significative sull’andamento del fenomeno,
che è caratterizzato da una sensibile crescita della spesa nel 2002, rispetto a
quella già alta registrata nel 2001. L’ampiezza della variazione puo’ essere
solo parzialmente giustificata dalla specificità del settore e delle funzioni
esercitate, mentre deve sollecitare tutte le amministrazioni ad una attenta
riflessione sulle scelte organizzative finora poste in essere.

 

Dalla lettura delle
disposizioni di cui all’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 165/2001 e
all’art. 110, comma 6, del decreto legislativo 267/2000, si evidenzia la
possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di
elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro
svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo.

 

Come ricordato in alcuni
precedenti pareri dell’Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni,
l’elemento dell’autonomia dovrà risultare prevalente, poichè in caso contrario
sarebbero aggirate e violate le norme sull’accesso alla pubblica amministrazione
tramite concorso pubblico, in contrasto con i principi costituzionali (artt. 51
e 97 Costituzione), principi ribaditi dalla Corte Costituzionale in diverse
decisioni, nonchè il principio, anch’esso costituzionale, di buon andamento ed
imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Costituzione). Tale
connotazione del rapporto di collaborazione è stata ravvisata, in più
occasioni, anche dalla Corte dei Conti, Sezione controllo enti, che già nella
deliberazione n. 33 del 22 luglio 1994, aveva rappresentato la necessità di
evitare che l’affidamento di incarichi a terzi si traducesse in forme atipiche
di assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento e
delle norme in materia di contenimento della spesa.

 

L’affidamento dell’incarico a
terzi potrà dunque avvenire solo nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia
in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse
professionali presenti in quel momento al suo interno. Al riguardo, soccorre
nuovamente la consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti, la quale ha
ribadito l’impossibilità di affidare, mediante rapporti di collaborazione, i
medesimi compiti che sono svolti dai dipendenti dell’amministrazione, proprio al
fine di evitare una duplicazione delle funzioni ed un aggravio di costi.

 

I principi guida elaborati
dalla Corte e, da ultimo, espressamente richiamati dalla Sezione giurisdizionale
per il Veneto, relativamente alla eventualità di un danno erariale per
affidamento di consulenze e delle correlate responsabilità, possono essere
cosi’ riassunti quali condizioni necessarie per il conferimento degli incarichi:


*
                       
rispondenza
dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione conferente;


*
                       
impossibilità
per l’amministrazione conferente di procurarsi all’interno della propria
organizzazione le figure professionali idonee allo svolgimento delle prestazioni
oggetto dell’incarico, da verificare attraverso una reale ricognizione;


*
                       
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