Civile

RESPONSABILITA’ CIVILE -; La qualifica di attività pericolosa viene effettuata in relazione alla probabilità delle conseguenze dannose che possano derivarne e non anche in riferimento alle modalità con le quali viene comun

In tema di attività pericolose bisogna
riferirsi ai criteri di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2050
c.c., diversi certamente rispetto a quelli in via generale contemplati dall’art.

2043 c.c
. Va subito precisato che per la qualificazione di un’attività come
pericolosa è necessario che essa presenti una notevole potenzialità di danno a
terzi, invece, secondo la Cassazione, ove un’attività normalmente innocua
dovesse diventare pericolosa per la condotta di chi la esercita, il fatto
andrebbe valutato alla stregua dell’art. 2043 c.c. (Cassazione Civile n. 13530
del 1992). In relazione all’attività sciistica, contrariamente a quanto
affermato da alcuni orientamenti in passato (secondo cui lo sci, che pure è
implicitamente qualificato come pericoloso, è praticato dagli sciatori e non
dal gestore dell’impianto, per cui era da escluderne la qualifica di attività
pericolosa), la pericolosità va valutata, per gli effetti di cui all’art. 2050
c.c., esclusivamente in relazione alla probabilità delle conseguenze dannose
che possano derivarne e non anche in riferimento alla diffusione delle modalità
con le quali viene comunemente esercitata, che ben potrebbero essere tutte e
sempre inadeguate, senza per questo elidere i presupposti per l’applicazione
della norma citata.  

 


 CASSAZIONE
CIVILE,  sezione III, sentenza n, 7916 del  26/04/2004

 

La Corte Suprema
di Cassazione

Sezione III

Composta dagli
Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vittorio
DUVA – Presidente

Dott. Renato
PERCONTE LICATESE – Consigliere

Dott. Mario
FINOCCHIARO – Consigliere

Dott. Donato
CALBRESE – Consigliere

Dott. Alfonso
AMATUCCI – rel. Consigliere

ha pronunciato la
seguente:

Sentenza

sul ricorso
proposto da:

P.E., N.D., P.I.,
elettivamente domiciliati in ROMA VIA UFENTE 12, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCO BRESMES, che li difende unitamente all’avvocato SCIPIONE DEL VECCHIO,
giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

B.F., in C.D.Z.,
presidente dell’ASSOCIAZIONE SPORTIVA Z.Z., elettivamente domiciliato in ROMA
VIA FRANCESCO DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIO VANNUTELLI,
difeso dagli avvocati ROBERTO FAZZI, FRANCO FELIZIANI, giusta delega in atti;

– controricorrente

avverso la sent.
n. 638/99 della Corte d’Appello di GENOVA, SEZIONE 2 CIVILE emessa il 11 maggio
1999, depositata il 13 settembre 1999;

udita la relazione
della causa svolta nella Pubblica udienza del 19 novembre 2003 dal Consigliere
Dott. Alfonso AMATUCCI;

udito il p.m. in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo che ha
concluso per accoglimento del ricorso.

 

Svolgimento del
processo

 

1. Nel 1992 E.P.,
quale esercente la potestà sulla figlia minore I.P., convenne in giudizio
Fulvio Baratta, quale responsabile degli impianti sciistici di "Z.Z.", nonchè
il Comune di Z., quale proprietario delle piste e degli impianti, chiedendone la
condanna al risarcimento dei danni derivati alla figlia, all’epoca di nove anni,
per le lesioni (frattura scomposta al terzo distale del femore destro, con esiti
permanenti) che aveva riportato il 7 marzo 1988 a seguito dell’urto contro uno
dei paletti in ferro posti al termine della pista "baby", che fungevano da
delimitazione della via di accesso allo sky-lift.

Espose che i
paletti si trovavano in posizione pericolosa in quanto non v’era soluzione di
continuità tra il termine della pista e l’imbocco all’impianto ed affermo’ che
erano di altezza tale da costituire un vero e proprio pericolo per i bambini
che, come la figlia I., sciavano su una pista frequentata da principianti
proprio in ragione della sua modesta pendenza.

il Comune non si
costitui’.

Il gestore
dell’impianto contesto’ la propria responsabilità e chiamo’ in causa i genitori
della minore, dai quali chiese di essere tenuto indenne di quanto potesse essere
condannato a pagare, in relazione al loro grado di apporto causale colposo per
aver consentito la pratica dello sci alla inesperta figlia senza l’assistenza di
una persona con preparazione adeguata.

I chiamati P. ed
D.N. resistettero rappresentando che la figlia sciava dall’età di tre anni, che
si trovava in compagnia di altre persone e che stava praticando lo sci su una
pista dedicata proprio ai bambini.

2. Con sentenza
non definitiva n. 535/96 l’adito tribunale di Massa ravviso’ la "macroscopica
colpa" del gestore dell’impianto per aver infisso paletti rigidi al termine di
una pista percorsa da principianti non sempre in grado di controllare la propria
direzione di marcia. Ritenne inoltre che sussistessero gli estremi di cui
all’art. 2050 c.c. "attesa la potenzialità nociva del fattore movimento – forza
inerziale della persona in discesa – in rapporto alla presenza di strutture
metalliche fisse" ed escluse ogni colpa dei genitori sul rilievo che la bambina
sciava in compagnia di due sciatori, i quali non potevano peraltro starle
costantemente affiancati. Dispose poi che la causa proseguisse per la
determinazione dell’entità del danno.

3. La decisione è
stata riformata dalla corte d’appello di Genova che, decidendo con sent. n. 638
del 1999 sul gravame dell’Associazione Sportiva Z.Z., in persona del presidente
F.B., cui avevano resistito E.P. e D.N., ha rigettato la domanda e condannato il
P. ai due terzi delle spese del doppio grado.

Ha ritenuto la
corte d’appello che i paletti – aventi la normale funzione di indurre gli
sciatori che intendevano usufruire degli impianti di risalita a mettersi in coda
e non costituenti un’insidia o un particolare pericolo, trattandosi di
situazione assolutamente analoga a quella esistente presso qualsivoglia sciovia
– non erano posti in prossimità di una pista con marcata pendenza, bensi’ in un
campetto in lieve pendenza ai piedi di due piste, di ampiezza tale da consentire
opportune manovre anche a sciatori principianti, sicchè l’infortunio
verificatosi non poteva che essere ricondotto all’imperizia o all’imprudenza
della stessa sciatrice. Ha inoltre considerato improprio il riferimento del
tribunale all’art. 2050 c.c. sul rilievo che "l’attività sciistica è svolta da
terzi" e non dal gestore dell’impianto.

4. Avverso detta
sentenza ricorrono per cassazione E.P., D.N. ed I.P., affidandosi a tre motivi,
cui l’Associazione sportiva Z.Z. resiste con controricorso, illustrato anche da
memoria.

 

Motivi della
decisione

 

1. Fondatamente il
controricorrente rileva che E.P. e D.B. sono privi di interesse a ricorrere, non
essendo risultati soccombenti sulla domanda di garanzia proposta nei loro
confronti dal B. (quale presidente dell’Associazione Sportiva Z.Z., sulla quale
la corte d’appello non si è pronunciata a causa del rigetto della domanda
principale. Il loro ricorso è dunque inammissibile.

Infondatamente,
invece, prospetta la tardività del ricorso di I.P., divenuta maggiorenne il 2
ottobre 1997, per essere stato lo stesso notificato il 21 ottobre 2000, oltre il
termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza, avvenuta il 15
dicembre 1999.

Quand’anche,
infatti, il destinatario della notifica della sentenza d’appello fosse stato
correttamente identificato in E.P. (nell’ipotesi che l’intervenuto
raggiungimento della maggiore età da parte della minore prim’ancora della
pronuncia della sentenza non fosse chiaramente evincibile dagli atti), sta il
fatto che la notifica al P., contumace in appello, è priva di effetto perchè
effettuata non già presso il suo domicilio, ma presso quello eletto nel
giudizio di primo grado (in M., piazza A.1., presso lo studio legale del
difensore).

In linea col
principio enunciato da Cass., sez. un., 20 giugno 2000, n. 458 (pur se
relativamente alla diversa ipotesi di notifica dell’atto riassunzione in
appello) va in proposito affermato che "la notifica dalla sentenza d’appello
alla parta rimasta contumace in tale grado non puo’ avvenire presso il domicilio
eletto, contestualmente al rilascio dalla procura, nel primo grado di giudizio;
infatti, se la procura, con contestuale elezione di domicilio, è conferita solo
per tale grado, l’elezione diviene inefficace (l’unica ipotesi di ultrattività
essendo quella di cui all’art. 330 c.p.c. per la notificazione
dell’impugnazione); se è conferita per tutti i gradi di giudizio, la mancata
costituzione dimostra la sua sopravvenuta inefficacia per rinuncia o revoca, la
quale si "stende, anche noi confronti dei terzi e, in virtù del collegamento
che lega i due negozi, alla contestuale elezione di domicilio".

In difetto di
notificazione della sentenza di secondo grado, il ricorso per Cassazione è
stato dunque tempestivamente proposto (il 21 ottobre 2000) da I.P. prima del
decorso del termine di in anno (art. 327 c.p.c.) dalla pubblicazione della
sentenza (risalente al 15 dicembre 1999).

2.1. Col primo
motivo di ricorso – deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2043
c.c. ed omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione – la ricorrente si
duole che la corte territoriale abbia escluso la responsabilità del gestore
dell’impianto di risalita senza parametrare le regole di diligenza e prudenza da
osservarsi da chi apponga ostacoli fissi al termine di una pista da sci (sia
pure allo scopo di delimitare la via di accesso ad un impianto di risalita e pur
se al termine di un largo spazio) al livello medio degli sciatori che la
perco

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