Civile

Risarcimento del danno anche per il convivente di fatto – CASSAZIONE CIVILE, Sezione III, Sentenza n. 8976 del 29/04/2005

Chi
convive con una persona che abbia riportato gravi danni a seguito di un incidente
stradale puo’ chiedere il risarcimento al responsabile se prova non la mera relazione
amorosa ma l’esistenza e la portata dell’equilibrio affettivo – patrimoniale instaurato
con la persona convivente, e quindi l’esistenza e la durata di una comunanza di
vita e di affetti, con vicendevole assistenza morale e materiale.

Vedi
anche:

https://www.litis.it/giunews/news.asp?id=1103

 


 


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza
Civile, sentenza n.8976/2005 (Presidente: Giuliano; Relatore: Chiarini)

Svolgimento
del processo

Con citazione notificata
il 16 aprile 1996 B. O., unitamente a
A. M. e al figlio di costei, A. M., convenivano
dinanzi al tribunale di Milano R. R., R.
R. e la (Omissis) Assicurazioni Spa chiedendone la
condanna al risarcimento dei danni da essi subiti a seguito dell’incidente
verificatosi il 27 dicembre 1992,
in cui l’auto dell’O., condotta dalla sua convivente M.,
era stata investita dall’auto condotta da R. R., di proprietà di R. R..

A causa della
collisione la M. riportava gravi lesioni e fratture, con conseguente invalidità
temporanea totale per quindici mesi, e postumi permanenti del 50%, incidenti
sulla capacità lavorativa al 100%, si che ad esso O. erano derivati, di
riflesso, gravi danni, morale e biologico, per complessive lire 250.000.000,
oltre al danno patrimoniale per l’autovettura.

Con sentenza dell’11
marzo 1998 il tribunale di Milano rigettava la domanda dell’O. perchè sfornita
di prova in mancanza di indicazione del periodo di convivenza, delle
conseguenze su di essa e sull’O. dopo l’incidente, nonchè dell’anno di
immatricolazione e dello stato di conservazione dell’auto.

La Corte di Appello di
Milano, con sentenza del 29 settembre 2000, accoglieva l’appello dell’O.
limitatamente al risarcimento del danno all’auto.

Confermava per il resto
il rigetto del gravame sulla considerazione che la convivenza con la M. aveva
avuto inizio da breve tempo – nell’anno dell’incidente – e difettavano altri
elementi probatori in ordine ad aspetti rilevanti del rapporto, incidenti sui
lamentati danni, non avendo l’O. neppure dedotto una sua patologia conseguita
alle lesioni della sua convivente. Analoghe considerazioni valevano per la
richiesta di risarcimento del danno morale.

Avverso questa sentenza
ricorre per due motivi l’O., cui resiste la Spa (Omissis). Entrambe le parti
hanno depositato memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attività
difensiva.

Motivi
dalla decisione

Preliminarmente va
disposto lo stralcio dei documenti allegati alla memoria dell’O. perchè in
Cassazione la produzione dei documenti è ammissibile soltanto nei limiti
indicati dall’articolo 372 c.p.c. e con le formalità previste da detta norma.

Con il primo motivo di
ricorso il ricorrente deduce: "violazione e falsa applicazione degli articoli
2059, 2043 c.c. [1]; violazione degli articoli 2697 e 143 c.c., in
relazione agli articoli 360 nn 3 e 5 c.p.c.".

L’O. ha dimostrato la
convivenza con la M. e tale stato è rilevante per il nostro ordinamento ai
fini anche del risarcimento del danno, si che aver condizionato questo diritto
alla durata della convivenza o ad altri aspetti del rapporto, viola gli
articoli 2043 e 2059 c.c.. Il convivente more uxorio ha infatti diritto ad
ottenere il risarcimento del danno morale (analogo a quello della famiglia
legittima: articolo 2059 c.c.), patrimoniale (per il contributo alla vita
quotidiana: articolo 2043 c.c.), e biologico, come quello sofferto per la morte
o lesioni di prossimi congiunti.

2.-Con il secondo
motivo l’O. deduce: "Violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e
2059 c.c. sotto un ulteriore profilo: diritto dell’O. ad ottenere il
risarcimento del danno biologico; violazione dell’articolo 360 n. 5
c.p.c.".

La Corte d’appello ha
negato il risarcimento del danno biologico che puo’ sussistere tutte le volte
che l’evento incide sull’integrità psichica e sulle manifestazioni della vita,
incrinando l’equilibrio personale, e certamente il grado di invalidità
residuato alla M. (60%), ha leso lo status complessivo di convivente di esso
ricorrente.

I due motivi, che
possono trattarsi congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

Occorre preliminarmente
considerare che, dalla libera determinazione dei conviventi di fatto di non
contrarre il vincolo del matrimonio, e quindi di non assumere gli obblighi che
l’ordinamento impone vicendevolmente ai coniugi (coabitazione, fedeltà,
solidarietà, assistenza materiale e morale), consegue l’inesistenza di
qualsiasi diritto, sia di natura personale che patrimoniale, di un convivente
verso l’altro, ed infatti è pacifico che qualsiasi prestazione patrimoniale
fra loro, se non costituisce adempimento di una regolamentazione negoziale, non
puo’ esser pretesa, ma determina soltanto l’effetto della soluti retentio
(articolo 2034 c.c.). Da qui la difficoltà per l’interprete, in assenza di
disciplina normativa di carattere generale sui requisiti indispensabili affinchè
un’unione di fatto – anche nell’ipotesi in cui i conviventi, o uno di essi, non
sia libero di stato – sia meritevole di tutela giuridica di fronte ai terzi, di
enucleare un modello di convivenza dalla disciplina dettata da ragioni di’
solidarietà sociale (quali ad esempio i decreti luogotenenziali 968/16,
articolo 8 e 1726/18, articolo 12, ispiratori della legge 313/68 in materia di
pensioni di guerra; il decreto luogotenenziale 1450/17, articolo 1, lett. b, in
tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni in agricoltura, il Dpr
1124/65, in tema di’ assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro, norme peraltro emanate in un’epoca in cui nel nostro ordinamento non vi
era il divorzio, ancorchè le ragioni di’ solidarietà sociale a cui esse sono
ispirate hanno indotto il giudice delle leggi – sentenza 404/88 – a dichiarare
l’illegittimità costituzionale dell’ articolo 6, comma 1, legge 392/78 nella
parte in cui non prevedeva, tra gli altri successibili nella titolarità del
contratto di locazione di immobile ad uso abitativo, in caso di morte del
conduttore, il convivente more uxorio, al quale peraltro già la legislazione
vincolistica aveva esteso la fruibilità di alcuni benefici).

In relazione alla
disciplina della responsabilità civile dalla circolazione dei veicoli non è
superfluo rilevare che il legislatore, nell’estendere l’assicurazione
obbligatoria per la RCA al convivente, aveva previsto la risarcibilità del
danno patrimoniale e morale soltanto per il convivente superstite della vittima
deceduta – cosi’ regolamentando un’ipotesi che da tempo aveva trovato
riconoscimento giuridico nella giurisprudenza – ed aveva a tal fine disciplinato
i requisiti della convivenza (articolo 20 legge 12 gennaio 1992, tra cui la
durata di essa per un periodo non inferiore a cinque anni) – in tal modo
consentendo all’interprete di superare ogni questione scaturente dalla necessità
di raccordare i principi in tema di responsabilità civile, tra cui quello
secondo il quale il fatto dannoso, a norma dell’articolo 2043 c.c., deve essere
contra ius e cioè deve ledere un diritto, e l’esigenza sociale di riconoscere
rilevanza giuridica ad interessi e ragionevoli aspettative non in contrasto con
la legge, derivanti dalla convivenza – ma la legge non fu promulgata proprio
per la mancanza di criteri obbiettivi per la liquidazione del danno biologico.

Comunque il dato comune
che emerge dalla legislazione vigente e dalle pronunce giurisprudenziali, è
che la convivenza assume rilevanza sociale, etica e giuridica in quanto
somiglia al rapporto di coniugio, anche nella continuità nel tempo.

Ne consegue che colui
che chiede il risarcimento dei danni derivatigli, quale vittima secondaria,
dalla lesione materiale, cagionata alla persona con cui convive dalla condotta
illecita del terzo, deve dimostrare l’esistenza e la portata dell’equilibrio
affettivo – patrimoniale instaurato con la medesima, e percio’, per poter esser
ravvisato il vulnus ingiusto a tale stato di fatto, deve esser dimostrata
l’esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole
assistenza materiale e morale, non essendo sufficiente a tal fine la prova di
una relazione amorosa, per quanto possa esser caratterizzata da serietà di
impegno e regolarità di frequentazione nel tempo, perchè soltanto la prova
della assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal
legislatore per i coniugi puo’ legittimare la richiesta di analoga tutela
giuridica di fronte ai terzi.

Quanto poi alla prova
di tali elementi strutturali e qualificativi, concreti e riconoscibili
all’esterno, presupposti di’ esistenza della convivenza more uxorio e parametri
caratterizzanti la stessa, puo’ esser fornita con qualsiasi mezzo (articolo
2697 c.c.), mentre il certificato anagrafico (Dpr 223/89) puo’ tutt’al più
provare la coabitazione, insufficiente a provare altresi’ la condivisione di
pesi e oneri di assistenza personale e di contribuzione e collaborazione domestica
analoga a quella matrimoniale.

I giudici di appello,
nel confermare il rigetto della domanda risarcitoria dell’O. in conseguenza
delle lesioni riportate dalla M., non si sono discostati da tali principi
avendo riscontrato la mancanza di prova su alcuni requisiti indispensabili, tra
cui la stabilità della convivenza e la durata della medesima al momento del
fatto dannoso, la cui prova era altresi’ necessaria per determinare il danno
biologico e morale dell’O., perchè la liquidazione dei predetti tipi di danno
deve esser personalizzata, e quindi va tenuto conto di tutte le particolarità
del caso concreto.

Quanto al danno
patrimoniale dell’O., è appena il caso di aggiungere che dalla sentenza
impugnata si desume che esso nei precedenti gradi è stato chiesto
limitatamente ai danni all’auto, e quindi in ogni caso non puo’ esser ampliato
in questa sede.


Concludendo, il ricorso va respinto.


Sussistono giusti motivi per dichiarare
compensate le spese del giudizio di Cassazione tra le parti costituite.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso; dichiara
compensate le spese del giudizio di Cassazione tra le parti costituite.


Cosi’ deciso in Roma il 14 gennaio 2005.


Depositata in cancelleria il 29 aprile 2005.

https://www.litis.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *