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Interruzione di pubblico servizio per il farmacista che apre in ritardo – CASSAZIONE PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 26934 del 21/07/2005

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Integra gli estremi del reato di interruzione di un pubblico esercizio Il
reiterato e sistematico ritardo nella apertura della farmacia. Lo afferma la
Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n.
26934/2005-Secondo i supremi giudici aprire con mezzora di ritardo sia alla
mattina che al pomeriggio turba la regolarità del servizio e costituisce di
interruzione di pubblico. Quest’ultimo, infatti, occorre ogni volta che il
titolare della pubblica attività cagioni allo svolgimento del servizio anche un
semplice ritardo, purchè apprezzabile sul piano temporale e su quello del suo
regolare andamento. Aprire in ritardo un esercizio pubblico è espressione di
una volontà sistematica di non rispettare il dovere imposto dalle prescrizioni
relative all’esercizio, indipendentemente dalle ragioni che possono averlo
determinato.

 


CASSAZIONE
PENALE, Sezione VI, Sentenza n. 26934 del 21/07/2005  (Presidente: L. Sansone;
Relatore: D. Carcano)


LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE VI
PENALE

SENTENZA

RITENUTO
IN FATTO

A.S. propone
ricorso contro la sentenza 11 ottobre 2004 della Corte d’appello di Salerno con
la quale è stata confermata la decisione 18 dicembre 2002 del Tribunale di
Vallo della Lucania che lo dichiaro’ responsabile del delitto di interruzione di
pubblico servizio, perchè, quale titolare della farmacia di Laureto turbava la
regolarità del relativo servizio di pubblica necessità, provvedendo
all’apertura dell’esercizio, con sistematico ritardo sia al mattino che al
pomeriggio, di circa trenta- quarantacinque minuti.

Ad avviso del
giudice d’appello, il quadro probatorio posto a fondamento della sentenza di
primo grado trova conferma nelle risultanze processuali e giustifica la
responsabilità di A. S. per il delitto di cui all’art. 340 c.p .

La Corte
territoriale ha disatteso le censure poste alla decisione di primo grado e ha
ritenuto che i sistematici ritardi nell’apertura della farmacia avevano arrecato
turbamento alla regolarità del servizio in modo da alterare la tempestiva
regolarità del servizio medesimo, specificamente negata dal teste M. A.,
costretto a recarsi in due occasioni a comprare le medicine fuori paese.

Inoltre, per
la Corte di merito, priva di fondamento è la tesi difensiva secondo cui la
contemporanea gestione di due farmacie, l’una in Laurito e l’altra in S. Mauro
La Brusca, avrebbe dovuto giustificare la condotta di A. S., in quanto,
nonostante la concessione prevedesse l’esercizio delle due distinte attività,
S. era tenuto a rispettare i doveri inerenti la regolarità del servizio e, se
del caso, a rinunciare ad una delle due.

Peraltro,
rileva la Corte, la distanza trai due paesi non era tale da giustificare la
continuità dei ritardi.

Con un unico
motivo, articolato in due distinti punti, la difesa di A. S. deduce la
violazione o erronea applicazione dell’art. 340 c.p.

Ad avviso del
ricorrente, la condotta ascritta ad A. S. non integra l’elemento materiale del
reato di interruzione o turbamento di un pubblico servizio, in quanto non vi è
stato un turbamento della funzionalità della farmacia, bensi’ singoli episodi
di brevissima durata che, come tali non hanno arrecato pregiudizio alcuno alla
regolarità dell’attività,.

Interruzione
e turbamento sono condotte entrambe che devono essere incisive per la
regolarità del servizio, situazione non verificata e non accertata in concreto.

Il ricorrente
pone in risalto che A. S. ha rispettato le condizioni contenute nella
convenzione relativa al servizio affidatogli che non gli consentiva di ricorrere
all’ausilio di personale nella vendita di farmaci in S. M. La Bruca durante la
chiusura della farmacia di Laureto.

Le modalità
di esercizio del pubblico servizio sono state quelle previste dalla convenzione
che gli affidava, oltre all’esercizio della farmacia in Laureto, anche l’attività
di vendita di farmaci in S. M. La Bruca.

A.S. ha
puntualmente adempiuto agli obblighi assunto con la convenzione, che contemplava
il lasso di tempo per l’esercizio delle due attività, e dunque, non potrebbe
configurarsi il reato di cui all’art. 340 c.p.

I giudici di
merito, rileva il ricorrente, non avrebbero tenuto conto dell’operatività della
scriminante di cui all’art. 51 c.p., in quanto S. avrebbe puntualmente adempiuto
ai doveri prescritti dalla Convenzione.

Inoltre, non
è stato accertato che i cittadini di Laureto e di S.M. La Bruca abbiano
sofferto un pregiudizio, non essendo mai accaduto che abbiano trovato chiuso le
due farmacie.

La
testimonianza di M. A. farebbe riferimento ad un contesto del tutto diverso
rispetto a quello enunciato nell’imputazione.

Sotto altro
profilo, il ricorrente rileva che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto
dell’elemento soggettivo richiesto per la configurazione del reato.

Nel caso di
specie vi sarebbe stato un comportamento colposo di S. e non il dolo di
turbamento o di interruzione del servizio.

Tale è la
sintesi ex art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. dei termini delle questioni
poste.


CONSIDERATO
IN DIRITTO

Il ricorso è
inammissibile perchè manifestamente infondato e, per altro verso non diretto a
censure di mancanze argomentative e illogicità ictu oculi percepibili, bensi’
ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative e compiutamente
giustificate dal giudice di merito e a prospettare una alternativa ricostruzione
della vicenda rispetto a quella operata, in base al quadro probatorio descritto
in sentenza, dal giudice di appello.

Come si è
esposto in narrativa, la Corte territoriale ha posto in rilievo gli accertamenti
compiuti in sede di indagini e acquisiti nel corso del giudizio di primo grado
circa i sistematici ritardi nell’apertura della farmacia di Laureto.

Oltre al
teste A., nel corso del giudizio di primo grado sono stati sentiti il vigile
urbano F.B. e il maresciallo dei carabinieri, F.C., che hanno concordemente
riferito dei ritardi sistematici e delle lamentele dei cittadini di Laurito per
il disservizio della farmacia.

Il giudice di
appello ha confermato tale complessivo quadro probatorio e ha posto in rilievo
che la convenzione, pur riguardando due distinte attività da svolgere nei due
paesini, non determinava l’obbligo di continuare a gestirle entrambe nel caso di
difficoltà nell’assicurare la regolarità del servizio.

Come noto,
integra il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico la condotta
di colui che cagioni allo svolgimento del servizio anche un semplice ritardo,
purchè apprezzabile sul piano temporale e su quello del suo regolare andamento
(Sez. VI, 29 aprile 2001, Stivano rv. 219359).

I giudici di
merito si sono correttamente attenuti a tale principio di diritto e hanno
verificato che il ritardo nell’espletamento del servizio è stato tale da
arrecare uno apprezzabile riflesso sul buon andamento, tenuto conto anche della
specificità del servizio diretto ad assicurare una tempestiva e puntuale
erogazione di medicinali.

Non è da
revocare in dubbio che singoli ritardi non integrano il reato in questione,
allorchè in concreto la funzionalità del servizio non abbia subito alcuna
disfunzione.

Nel nostro
caso, pero’, si è accertato che vi è stato un notevole disservizio tale da
richiedere l’intervento dei vigili urbani e dei carabinieri sollecitati proprio
dalle lamentele dei cittadini di Laurito.

La
sistematicità dei ritardi non puo’, del resto, essere interpretata come mera
inosservanza del dovere di rispettare l’orario di apertura, perchè essa ha
determinato, tenuto conto che la farmacia di A. S. era l’unico dispensario di
farmaci in Laurito, un reale e concreto pregiudizio al servizio diretto a
tutelare beni costituzionalmente tutelati quale il diritto alla salute.


Manifestamente infondato il rilievo concernente il mancato accertamento del dolo
richiesto per la configurazione del reato.

Il mancato
rispetto dell’orario, pur se ascrivibile ad una negligenza e ad un disordine
nell’organizzazione del lavoro, non per tale motivo puo’ essere ascritto a
colpa, in quanto è espressione di una volontà sistematica di non rispettare il
dovere imposto dalle prescrizioni relative all’esercizio del servizio,
indipendentemente dalle ragioni che possono averlo determinato.

La coerenza e
completezza del ragionamento probatorio svolto dalla Corte di appello in ordine
alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto de quo rende
manifestamente infondata la censura articolata col ricorso.

Peraltro, il
ricorrente propone una ricostruzione e un significato probatorio delle
dichiarazioni rese dai testi del tutto diverso rispetto a quello, logico e
argomentativo, posto dal giudice di merito a fondamento della propria decisione.

Regola juris
che è stata posta a fondamento di una ormai nota pronuncia delle Sezioni Unite
di questa Corte con la quale si è precisato che esula dai poteri della Corte di
cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a base della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali (Sez. Un. 30 aprile 1997, Dessimone, rv. 207994).

In
conclusione

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