Penale

Vendita di prodotti con segni mendaci e tutela del “made in Italy” – CASSAZIONE PENALE, Sezione III, Sentenza n. 2648/2006

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Interpretazione
restrittiva della Cassazione dell’art. 517 c.p. (vendita di prodotti industriali
con segni mendac)i. Secondo la Suprema Corte, III Sezione penale, sussiste il
reato anche nell’ipotesi di commercializzazione di beni del settore dell’
abbigliamento con la dicitura “Italy”, che, pur essendo prodotti da una ditta
italiana su disegno e tessuto italiani, siano stati pero’ confezionati
all’estero, ancorchè da maestranze italiane.


 


La vicenda ”

il Tribunale di Trieste respingeva la richiesta di riesame
avanzata da G.R., indagato per i delitti di cui agli artt. 56 e 517 c.p.,
avverso il decreto di sequestro probatorio emanato dal PM e avente ad oggetto
alcuni capi di abbigliamento importati dalla Moldavia e sui quali era, tuttavia,
apposta una targhetta che lasciava intendere che gli stessi capi fossero
prodotti in Italia dalla ditta T. della quale l’indagato era legale
rappresentante.

Proponeva ricorso per cassazione l’indagato deducendo che la
qualità del prodotto non puo’ dipendere dalla sua provenienza geografica.

L’indagato ricordava, inoltre, che l’art. 517 c.p. nel
riferirsi all’origine e provenienza del prodotto non adotta un concetto di tipo
geografico e che l’entrata in vigore dell’art. 4 comma 49 della L. 350 del 2003
non aveva inciso su tale concetto.

 


La questione di diritto sollevata “

l’art. 517 c.p. è volto alla tutela dell’ordine economico sia del produttore,
che deve essere protetto dalla concorrenza sleale, sia del consumatore, che deve
essere protetto nella sua buona fede da segni o diciture mendaci apposte sul
prodotto.

Oggetto giuridico della norma è, pertanto, la buona fede e
la correttezza commerciale, la cui violazione mette in pericolo gli interessi
dei consumatori.

La materia ha subito, proprio di recente, una
regolamentazione attraverso la c.d. finanziaria del 2004, introdotta dalla L.
350 del 2003.

La legge in questione ha chiarito ” attraverso l’art. 4
comma 49 -, proprio in relazione al luogo di provenienza della merce, che per la
classificazione di prodotti o merci come originari dall’Italia si debba fare
riferimento alla normativa europea sull’origine ” regolamento CEE del 12.10.92
n. 291392 –  secondo la quale la merce è originaria del paese in cui è
avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale.

Alla luce del disposto dell’art. 517 c.p. e delle novità
introdotte con la finanziaria del 2004, con la seguente sentenza, la Corte ha
specificato l’ambito di applicazione della norma in esame, dettando, cosi’, una
interpretazione dei termini “origine, provenienza o qualità dell’opera o del
prodotto”.

 

La soluzione adottata dalla Corte ”
la Corte ha evidenziato come
in passato ( sent. n. 2500 del 7.7.99) fosse predominante l’orientamento in
forza del quale l’art. 517 con le espressioni “origine o provenienza dell’opera
o del prodotto” si riferisse non al luogo geografico di produzione ma al
soggetto cui deve farsi risalire la responsabilità giuridica e produttiva del
bene.

Tuttavia con la legge
finanziaria del 2004 ” spiega la Corte ” il concetto geografico ha ripreso
importanza e la materia è stata proposta in termini del tutto nuovi rispetto
all’orientamento precedente.

La legge all’art. 4 comma
49 si riferisce, in primo luogo, a tutti i prodotti e non solo a quelli
industriali.

Inoltre nel precisare la
portata dell’art. 517 c.p. richiama la normativa europea sull’origine dei
prodotti che  – come detto ” per luogo di origine intende quello dell’ultima
trasformazione del prodotto.

Occorre peraltro
evidenziare  – continuano i giudici di legittimità ” che anche nel successivo
art. 61 della finanziaria, dove è prevista l’organizzazione di una particolare
tutela per le merci prodotte integralmente sul territorio italiano, viene
richiamata ancora una volta la normativa comunitaria.

La Corte osserva, quindi,
come non sempre il fenomeno della delocalizzazione della produzione possa
considerarsi neutro rispetto alla qualità del prodotto e quindi alla tutela
della buona fede del consumatore.

Cio’ non avviene, in
particolare, per quei prodotti per i quali il livello professionale della
manodopera ha una importanza preponderante.

E’ il casa dei capi di
abbigliamento, settore dove ” spiega la Corte – l’Italia gode di un riconosciuto
prestigio internazionale dovuto anche alla specializzazione delle maestranze.

Da cio’ deriva che si puo’
ritenere integrato il reato di cui all’art. 517 c.p. quando la lavorazione del
prodotto è avvenuta all’estero ad opera di maestranza italiana e a nulla vale
che i capi siano prodotti da una ditta italiana, su disegno e tessuti italiani
poichè nascondere tale dato fattuale ha l’intento di conferire al prodotto una
maggiore affidabilità promuovendone l’acquisto.

 

(Lorenzo Sica, © Litis.it,
3 Luglio 2006)

 


CASSAZIONE PENALE, Sezione III,

Sentenza n. 2648/2006 (Presidente E. Lupo, Relatore F. Mancini)

 

 Fatto e diritto

 

Con ordinanza del 5 maggio
2005 il tribunale di Trieste respingeva la richiesta di riesame avanzata
nell’interesse di G. R., indagato per il delitto di cui agli artt. 56 e 517 c.p.,
nei confronti del decreto di sequestro probatorio adottato dal PM avente ad
oggetto alcuni capi di abbigliamento importati dalla Moldavia ad opera della T.
srl della quale il predetto era legale rappresentante. Conseguentemente
confermava il decreto.

Il sequestro aveva colpito
capi di abbigliamento provenienti da quel paese sui quali era tuttavia apposta
la targhetta " designed & produced by T. srl R. Italy ", ritenuta idonea a
trarre in inganno il consumatore circa l’origine e provenienza del prodotto.

Nella richiesta di riesame
la difesa aveva fatto presente che all’estero, per i noti motivi concernenti il
risparmio sul costo della mano d’opera, veniva effettuata solo la lavorazione
del prodotto che pero’ doveva essere conforme ai campioni presentati dal
cliente, cioè a dire la ditta dell’indagato, che forniva anche la materia prima
per la lavorazione.

Aveva ricordato che l’art.
517 del c.p. nel riferirsi all’origine e provenienza del prodotto non adotta un
concetto di tipo geografico e che l’entrata in vigore dell’art. 4 comma 49 della
legge 350 del 2003 ( finanziaria del 2004 ) non aveva inciso su tale concetto.

Nella sua articolata
risposta il tribunale premette che a differenza degli artt. 473 e 474 del c.p.,
che sono preposti alla tutela del marchio, il successivo art. 517 si propone
invece la tutela dell’ordine economico e quindi sia del produttore, che deve
essere protetto dalla concorrenza sleale, sia del consumatore che non deve
essere sorpreso nella sua buona fede da segni o diciture mendaci di qualsiasi
tipo apposte sul prodotto. Dopodichè osserva come non sempre il fenomeno della
delocalizzazione della produzione possa considerarsi neutro rispetto alla
qualità del prodotto e quindi alla tutela della buona fede del consumatore. In
particolare cio’ non avviene, nel ragionamento del tribunale, nel caso di
prodotti per i quali il livello professionale della manodopera ha una importanza
preponderante.Ed in tale categoria il tribunale include i prodotti in questione
dopo avere ricordato che la tutela normativa è accordata anche al consumatore
di media diligenza e perfino a quello di non particolare diligenza ed altresi’
che per alcuni prodotti, come per esempio l’abbigliamento italiano, il luogo di
provenienza è destinato ad ingenerare nel consumatore una particolare
affidabilità.

Peraltro, osserva il
tribunale, tale realtà non necessariamente è di ostacolo alla delocalizzazione
di segmenti della produzione come è dimostrato da grandi marchi
commercializzati in tutto il mondo con la indicazione del luogo di produzione e
la conseguente possibilità offerta al consumatore di acquistare o meno il bene
anche se materialmente fabbricato in luogo diverso dalla sede dell’impresa
responsabile del processo produttivo.

In questo contesto il
tribunale ricorda come la novità introdotta dall’art. 4 comma 49 della legge
350 del 2003 non possa considerarsi irrilevante dal momento che esso chiarisce
che per la classificazione di prodotti o merci come originari dall’Italia debba
farsi riferimento alla normativa europea sull’origine, aggiungendo che per
quest’ultima – regolamento CEE del 12 ottobre 1992 n. 291392, che istituisce un
codice doganale comunitario, art. 24 – la merce è originaria del paese in cui
è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale.

A mezzo del proprio
difensore propone ricorso per cassazione l’indagato proponendo le seguenti
osservazioni principali:

la lavorazione in una
fabbrica italiana non garantisce la presenza di operai particolarmente
specializzati e neppure la presenza di tutti operai italiani;

la qualità del prodotto,
secondo quanto sempre affermato dalla Corte di Cassazione, non puo’ dipendere
dalla sua provenienza geografica;

la finanziaria del 2004 non
puo’ riguardare capi di abbigliamento sportivo di serie quale quelli in
questione;

la tesi del tribunale,
osserva il ricorrente, finisce con l’appannare la centralità dell’imprenditore
italiano cui deve invece far capo la responsabilità del prodotto.

Tanto premesso in fatto, si
osserva in diritto: il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Il tribunale premette di
condividere l’indirizzo di questo Supremo Collegio, affermatosi fin dalla
sentenza n. 2500 del 7 luglio 1999, Thun in forza del quale l’art. 517 con le
espressioni " origine o provenienza " dell’opera dell’ingegno e del prodotto
industriale si riferisce in realtà non al luogo geografico di produzione bensi’
al soggetto cui deve farsi risalire la responsabilità giuridica e produttiva
del bene e che pertanto garantisce la qualità del prodotto ( nello stesso senso
Cass. sez. III, 21 ottobre 2004/ 2 febbraio 2005 n. 3352; Cass. sez. III, 17
febbraio/ 14 aprile 2005 n. 13712; Cass. sez. III, 19 aprile/ 23 settembre 2005
n. 34103 ).

avv.lorenzosica@libero.it

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