Penale

Obblligo di guinzaglio e museruola anche per gli animali mansueti – CASSAZIONE PENALE, Sezione IV, Sentenza n. 25474 del 04/07/2007

La Suprema
Corte, confermando la condanna per lesioni colpose inflitta al proprietario di
un cane – che, uscito liberamente privo di museruola dal cancello della villa
dell’uomo rimasto aperto, aveva morso una vicina di casa al polpaccio – ha
chiarito che il cane era privo di guinzaglio e museruola non era stato
adeguatamente custodito. La responsabilità  del padrone sussiste infatti
indipendentemente dalla pericolosità  dell’animale, in quanto pericolosi per
l’altrui incolumità  devono ritenersi non soltanto gli animali in cui la ferocia
è caratteristica naturale e istintiva ma tutti quelli che, sebbene domestici,
possono diventare pericolosi in determinati casi e determinate circostanze. Dal
novero di questi ultimi non si puo’ escludere il cane normalmente mansueto; per
tale categoria di animali la pericolosità deve essere accertata in concreto
considerando la razza di appartenenza ed ogni altro elemento rilevante.


 


CASSAZIONE
PENALE, Sezione IV, Sentenza n. 25474 del 04/07/2007 (Presidente: Coco,
Estensore: Piccialli)

Fatto e
Diritto

XX. ricorre
contro la sentenza in data 12 dicembre 2005, con la quale la Corte di Appello di
Ancona, in parziale riforma della sentenza del Pretore in data 16.12.1997,
dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di lesioni
colpose (ex art. 590 c.p.) perchè estinto per prescrizione, e, con riferimento
alla contravvenzione di omessa custodia degli animali (ex art. 672 c.p.) per
sopravvenuta incompetenza, ordinando la trasmissione degli atti relativi al
Prefetto di Ascoli Piceno per quanto di competenza in ordine alla irrogazione
della sanzione amministrativa.

Il giudice di
primo grado aveva dichiarato la penale responsabilità dell’odierno ricorrente
in ordine all’imputazione di lesioni colpose conseguenti all’omessa custodia di
un cane (un incrocio tra un pastore tedesco ed un maremmano), che privo di
museruola o altrimenti non custodito, uscita dal cancello automatico della villa
durante la fase di chiusura dello stesso e si avventava contro YY., che passava
nei pressi, addentandola al polpaccio della gamba destra.

All’imputato
era stato addebitata non solo la violazione dell’ art. 672 c.p, per aver
lasciato libero l’animale pericoloso, di proprietà del figlio, ma anche da lui
detenuto nella qualità di componente della famiglia, coabitante nello stesso
edificio, sia pure su piani diversi, ma anche un profilo di colpa generica, sub
specie di negligenza ed imprudenza, sul rilievo che lo stesso, alla guida della
sua autovettura, era uscito dal cancello della villa, senza prima curarsi che il
cane, privo di museruola, non fosse libero di muoversi e di uscire dal cancello,
cosi’ come era invece avvenuto.

La corte di
Appello, richiamando la sentenza di primo grado, riteneva fondato l’addebito
colposo e dichiarava l’estinzione del reato di lesioni colpose per intervenuta
prescrizione nonchè la sopravvenuta incompetenza per la contravvenzione di
omessa custodia di animali ex art. 672 c.p., depenalizzata ex D. Igvo
30.12.1999, n. 507, con la trasmissione degli atti al prefetto competente.

Il
ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, si duole dell’intervenuta
trasmissione degli atti al prefetto, nonostante che l’illecito fosse, all’epoca,
già prescritto.

Con il
secondo motivo, si duole della manifesta illogicità della motivazione della
sentenza laddove, richiamando quella di primo grado, aveva desunto la detenzione
o il possesso del cane dal semplice fatto di abitare in piani separati di uno
stesso immobile.

Con il terzo
motivo lamenta la violazione dell’art. 672 c.p. e l’omessa motivazione, avendo
il giudice di appello omesso ogni valutazione in merito alla doglianza che aveva
rilevato l’omesso accertamento della pericolosità dell’animale.

Con il quarto
motivo si duole della formula adottata con riferimento alla contravvenzione ex
art. 672 c.p. nel dispositivo dalla Corte di appello, che invece di assolvere
l’imputato perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, dichiarava
non luogo a procedere, cosi’ facendo salvi gli effetti penali della condanna.

Il ricorso è
manifestamente infondato, essendo chiaramente insussistenti le denunciate
violazioni di norme di legge e risolvendosi in una censura di merito afferente
la valutazione dei mezzi di prova che sfugge al sindacato di legittimità, in
quanto la motivazione in proposito fornita dal giudice di merito appare logica e
congruamente articolata.

Nessuna delle
censure in diritto è infatti sussistente.

Con
riferimento al primo ed al quarto motivo, strettamente connessi, si rileva che
in conformità all’interpretazione consolidata dell’art. 24, comma 6, della L.
24 novembre 1981 n. 689 (v. sezioni Unite 21 giugno 2000, Cerboni), la
competenza del giudice penale in ordine alla violazione non costituente più
reato, obiettivamente connessa con un reato, cessa nel caso in cui il
procedimento innanzi allo stesso si concluda con declaratoria di estinzione del
reato ovvero per difetto di una condizione di procedibilità.

Correttamente
è stata, pertanto, dichiarata l’incompetenza del giudice e disposta la
trasmissione degli atti al prefetto competente.


Manifestamente infondato è anche il secondo motivo con il quale si censura di
illogicità la valutazione compiuta dai giudici di merito afferente la
detenzione del cane mordace e, quindi, la violazione dell’obbligo di custodia da
parte del ricorrente, costituente il profilo di colpa specifica del reato di
lesione contestato.

Tale profilo
di doglianza non tiene conto che in tema di custodia di animali, l’obbligo sorge
ogni volta sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra
l’animale ed una data persona, posto che l’art. 672 c.p. relazione l’obbligo di
non lasciar libero l’animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso
dell’animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di
fatto.

I giudici di
appello, sia pure assai sinteticamente, hanno confermato il giudizio di
responsabilità, facendo riferimento alla condotta dell’imputato che era uscito
con l’auto dal cancello della villa senza curarsi di richiuderlo cosi’
consentendo al cane di uscire all’esterno del giardino e di aggredire la
passante.

Sono state,
pertanto, recepite le argomentazioni logico-giuridiche contenute nella sentenza
di primo grado sull’affermazione dell’obbligo gravante sull’imputato, in
qualità di componente del nucleo familiare che abitava la villa nel cui
giardino era custodito l’animale, di approntare le debite cautele per
neutralizzare le attitudini pericolose dell’animale.

Rispetto a
tale argomentare le doglianze di parte ricorrente si risolvono in una censura di
merito, inaccoglibile in considerazione dei limiti del sindacato di
legittimità.

Anche il
terzo motivo è manifestamente infondato, non potendosi condividere la censura
relativa all’omessa motivazione da parte dei giudici di appello in merito alla
doglianza sulla mancanza di accertamenti della pericolosità del cane.

Vale
ricordare, in proposito, che il giudice di appello deve certamente valutare
tutti i motivi di gravame e tenere conto di tutti gli argomenti proposti
dall’appellante a sostegno degli stessi, ma in sede di redazione della
motivazione deve limitarsi ad illustrare le ragioni che legittimano la decisione
assunta: cio’ significa che, se è necessario che detto giudice debba discutere
di tutti i motivi di gravame, non è affatto necessario che egli "risponda" a
tutti gli argomenti posti a sostegno dei motivi di impugnazione, dal momento che
molti di essi vengono implicitamente superati dalle ragioni di segno contrario
che legittimano la decisione (v., Sez. IV, 10 novembre 2005, Salsiccia ed
altro).

Ma vale,
assorbentemente, ricordare che, anche a voler ipotizzare l’omissione di
apprezzamento proposta nei ricorsi, l’omesso esame di un motivo di appello non
è causa di annullamento della sentenza se il motivo è generico o
manifestamente infondato (v. sentenza citata), come nella fattispecie.

Alla luce di
tale premessa va valutata la censura.

Sul concetto
di pericolosità dell’animale, è stato condivisibilmente affermato (v. Sez. IV,
3 marzo 1970-15 ottobre 1970, n. 822) che pericolosi per l’altrui incolumità
devono ritenersi non soltanto gli animali in cui la ferocia è caratteristica
naturale e istintiva ma tutti quelli che, sebbene domestici, possono diventare
pericolosi in determinati casi e determinate circostanze. Dal novero di questi
ultimi non si puo’ escludere il cane normalmente mansueto; per tale categoria di
animali la pericolosità deve essere accertata in concreto considerando la razza
di appartenenza ed ogni altro elemento rilevante.

A tale
accertamento non si è sottratto il giudice di primo grado, mettendo
coerentemente in evidenza che si trattava di un cane da guardia (incrocio tra un
pastore tedesco ed un maremmano), evidentemente lasciato in condizioni di
portarsi fuori dal fondo da sorvegliare senza le debite cautele (tra queste, la
museruola).

Del resto,
anche di recente, si è ritenuta idonea a fondare la responsabilità (nella
specie, per il reato di lesioni colpose) l’accertata violazione da parte del
proprietario di un cane di razza doberman (ergo di un cane pericoloso) delle
elementari regole di prudenza nella custodia dell’animale, sostanziatasi
nell’avere lasciato il medesimo privo di museruola e di guinzaglio, pur
conoscendone l’indole aggressiva (Cass., Sez. IV, 5 luglio 2006, Cesareo).

Trattandosi
di motivo manifestamente infondato, pertanto, non è ravvisabile alcun vizio di
motivazione della sentenza impugnata, che ha confermato sul giudizio di
responsabilità quella di primo grado.

Alla
inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (v. sentenza
Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente
medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che
congruamente si determina in mille euro, in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1000,00 (mille) in favore della Cassa delle
ammende.

Cosi’ deciso
in Roma il 6 marzo 2007-07-23

Il
Consigliere estensore Il Presidente

Patrizia
Piccialli G.Silvio Coco

DEPOSITATO IN
CANCELLERIA

IL 4 LUGLIO
2007
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