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UN VISIONARIO DEL CINQUECENTO, GIORGIO SICULO

di Pancrazio Caponetto – “ Notta [ nota ] come a dì 23 maggio 1551 fu apicato a hor tre di notte un Don Giorgio Ceciliano per eretico et luterano il quale quando morse non ci fu né confortatori né manco il solito come alli altri si fa né confesarsi et remetersi a Dio. Et questo con il consenso del Inquistore di S. Domenico. Il resto a Iddio fu rimesso.”

Queste parole, tratte dal registro di una confraternita, la Compagnia di giustizia di Ferrara, aprono L’eresia del Libro Grande, lo studio che lo storico Adriano Prosperi ha dedicato al monaco benedettino Giorgio Rioli, detto il Siculo . Dall’ultimo atto della vita del monaco veniamo a sapere che era considerato dall’Inquisizione “eretico” e “luterano”, cioè non cattolico, ribelle alla Chiesa di Roma. Sappiamo anche che morì come eretico impenitente, “senza confesarsi et remettersi a Dio”, al contrario di quel che facevano quasi tutti i condannati che, prima di morire chiedevano perdono, si confessavano, comunicavano, baciavano il crocifisso o le immagini dei santi.

La morte di Giorgio Siculo fu coperta – ha scritto Adriano Prosperi – da “una coltre di silenzio.” Nessuna delle Chiese riformate europee lo riconobbe come martire. “ Falso martire, – aggiunge Prosperi – martire del diavolo, il Siculo fu condannato alla cancellazione della memoria dal mondo cattolico e da quello delle Chiese della Riforma. La sua scelta di morire coraggiosamente senza chiedere pietà gli valse solo un silenzio carico di riprovazione: non lo si collocò tra i pazzi, né fra i traditori. La sua predicazione visionaria e i suoi annunci profetici potevano fornire gli argomenti per catalogarlo fra i casi di follia…ma così non fu.”

Non abbiamo notizie certe su luogo e data di nascita di Giorgio Siculo, conosciamo qualcosa sugli anni della sua formazione che avvenne nel Monastero di S. Niccolò l’Arena di Catania dove egli fece professione di fede il 24 febbraio 1534 e dove visse dall’anno monastico 1537 – 38 fino all’anno 1539 – 40. Qui egli strinse intenso legame con Benedetto Fontanini, un benedettino mantovano indicato da Pietro Carnesecchi, (un discepolo di Juan De Valdes il riformatore spagnolo ) come il primo autore del Beneficio di Cristo, un libricino “pregno di amore ardente per Cristo “ ( Salvatore Caponetto, La riforma protestante nell’Italia del Cinquecento ) e per questo apprezzato da molti intellettuali e prelati ma considerato libro luterano da inquisitori e teologi.

Nel 1550 fu pubblicato a Bologna l’unico libro del Siculo che ci è rimasto: Epistola di Georgio Siculo servo fidele di Jesu Christo alli cittadini di Riva di Trento contro il mendatio di Francesco Spiera et falsa dottrina de’ Protestanti.

L’ Epistola era diretta ai cittadini di Riva di Trento dove il Siculo soggiornò per qualche tempo, avendo avuto l’incarico di svolgere un intero ciclo di predicazione quaresimale. A Riva, per la prima volta, il monaco benedettino “ si trovò a vivere “ un rapporto di predicatore e capo religioso con una comunità non monastica.” ( Adriano Prosperi, L’eresia del Libro Grande ).

L’occasione dalla quale nasceva l’Epistola era il cosiddetto “ caso Spiera”. Francesco Spiera, giureconsulto di Cittadella, aveva abiurato nel 1540 le dottrine luterane in cui aveva creduto, ma si era poi pentito cadendo in disperazione e morendo per il rimorso, convinto di essere dannato per aver “ rinnegato Cristo “.

La “falsa dottrina “ dei protestanti era secondo Siculo quella della predestinazione, cuore del pensiero del teologo riformato Giovanni Calvino. Secondo quest’ultimo il Dio onnipotente ha già scelto prima ancora della nascita gli uomini destinati alla salvezza eterna e pertanto a nulla valgono le buone opere per conquistarla . Per Siculo invece tale dottrina era la negazione della misericordia divina. I credenti nel Nuovo Testamento sono rigenerati dalla grazia divina e tutti destinati alla salvezza e lo Spiera errava nel considerarsi empio per aver abiurato. Anche l’abiura, poteva essere una strada percorribile per chi non si riconosceva nei dogmi della Chiesa romana. Tra le righe il Siculo invitava a sottomettersi, ad aderire esteriormente ai culti cattolici, in attesa di tempi nuovi.

La presenza del Siculo a Riva non era dovuta solo alla pubblicazione dell’Epistola e alla sua predicazione. Egli sperava di poter partecipare al Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, iniziato cinque anni prima a Trento, e annunciare ai padri conciliari una rivelazione straordinaria ricevuta direttamente da Cristo e riguardante eventi futuri.

Ma il Siculo fu costretto a lasciare Riva in tutta fretta: “ sospetti di eresia, forse interventi di autorità ecclesiastiche, avevano resa necessaria quella rapida dipartita. “ ( Adriano Prosperi, L’eresia del Libro Grande ). Nell’Epistola Siculo non solo si difendeva da quelle accuse ma si paragonava agli apostoli e ai santi della Chiesa primitiva, dichiarando di essere stato “sempremai senza alcuna machia né cogitatione di peccato “. Si presentava, insomma , come un vero e proprio profeta e come tale veniva considerato dai suoi discepoli fedelissimi. Cosa accadde poi tra l’estate del 1550 e il settembre dello stesso anno, quando il Siculo venne arrestato a Ferrara non sappiamo. Le carte del processo dell’Inquisizione ferrarese contro di lui sono andate perdute. Da una Cronaca di Giovanni Maria Albini, canonico ferrarese veniamo a sapere che il Siculo aveva composto un libro “tutto il contrario del primo” ( L’Epistola contro lo Spiera ), “nel quale negava il Purgatorio et diceva non esservi Christo nel hostia consecrata.” Questo secondo libro è molto probabilmente quello che altre fonti indicano come il Libro Grande o Libro della verità christiana, testo andato perduto e contenente quelle verità che il Siculo considerava direttamente ricevute da Gesù Cristo.

Col Siculo furono coinvolti nel processo dell’Inquisizione due eminenti benedettini: Luciano degli Ottoni e il già citato Don Benedetto Fontanini da Mantova. Il primo risultò dalle testimonianze essere il traduttore in latino del Libro Grande, il secondo era stato trovato nella sua cella col libro del Siculo. Tuttavia i due benedettini sia per la protezione del Cardinale reggente dell’Ordine, Ercole Gonzaga sia per aver fatto abiura dei loro errori ebbero pene miti.

In verità anche il Siculo scelse la via dell’abiura che già nell’Epistola contro lo Spiera aveva ritenuto percorribile da un buon cristiano. Egli accettò di riconoscere pubblicamente i propri errori e di pentirsi. Il rito fu fissato per il 30 marzo 1551, lunedì di Pasqua, nella Chiesa di san Domenico che era sede dell’Inquisizione di Ferrara.

Venuto il giorno, forse l’inquisitore Michele Ghislieri, futuro Papa Pio V, lesse pubblicamente l’elenco delle eresie di Giorgio Siculo. Le conosciamo grazie ancora una volta alla Cronaca del canonico ferrarese Albini. Il Siculo, negava i sacramenti della Chiesa “et più diceva l’anima nostra non esser creata da Iddio ma dagli huomini insieme col corpo.” Ancora: “ diceva non esservi né Inferno né Purgatorio ma l’anima nostra andar volando per aria sino al giorno del giudicio et quando sarà in gratia più non poter peccare…negava costui la trinità et molte assai altre cose et tutti gli miracoli del sacramento esser fatti per opera del diavolo.”

Si trattava, come ha scritto Adriano Prosperi, di una “ demolizione dei capisaldi della Chiesa istituzionale e della sua autorità sui cristiani, insieme a un’idea dell’individuo umano che faceva piazza pulita delle rappresentazioni tradizionali.” La religione dell’impeccabilità dei giustificati del Siculo “si legava qui con una radicalità ereticale che apparentava il benedettino siciliano con le voci estreme della critica della religione circolanti nel suo tempo. “

Ma come scrive ancora il canonico Albini, il Siculo “ finse di volersi redire” e nessuno riuscì a convincerlo di tornare a credere nella verità cristiane. Il benedettino dunque resistette e non abiurò, pertanto il 23 maggio 1551 fu strangolato e morì come eretico impenitente senza confessarsi e senza l’aiuto spirituale dei confortatori che di solito accompagnavano i condannati a morte.
La morte del Siculo non chiuse questo capitolo della storia religiosa italiana ed europea. I suoi seguaci furono perseguitati per decenni i suoi scritti distrutti. Tracce di questa “ straordinaria capacità di penetrazione delle idee” del Siculo, sono state trovate da Adriano Prosperi nel suo fondamentale L’eresia del Libro Grande. Secondo Prosperi, dalla “rapida parabola” del Siculo emerge con chiarezza “ la sua capacità di interpretare tendenze e orientamenti diffusi e di offrire loro un orizzonte di attesa adeguato.”

Quella che per il Siculo era “la falsa dottrina de’ protestanti “, la dottrina calvinista della predestinazione, venne criticata e respinta anche da altri intellettuali del Cinquecento: Francesco Pucci, Giordano Bruno, Tommaso campanella. “ Al mondo della Riforma – scrive Prosperi – si opponeva una religiosità interiore, tendenzialmente ecumenica, indifferente a riti e cerimonie…” Ad una visione di Dio come terribile e vendicativo se ne opponeva una fondata sull’immensa misericordia, idea spinta fino alla negazione dell’Inferno. Infine il Siculo si era proposto come strumento e profeta di un intervento divino teso a portare la giustizia nel mondo. Era questa la promessa che animò la fede dei suoi seguaci. La promessa non si avverò e le idee del Siculo e dei suoi discepoli furono aspramente combattute dai riformatori,dai cattolici, dai detentori del potere, fino alla cancellazione.

“I vincitori – ha scritto Prosperi – proiettarono le loro ombre sullo scenario, fino a occultare le tracce degli sconfitti.”


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