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LUIGI AMABILE E LA MEMORIA SUL TUMULTO NAPOLETANO DEL 1510 CONTRO LA SANTA INQUISIZIONE.

di Pancrazio Caponetto – “ Uno dei fatti più gloriosi per la città di Napoli, nei tempi andati, fu l’opposizione accanita all’istituzione dell’Officio della Santa Inquisizione “. Con queste parole lo storico Luigi Amabile apriva la sua memoria, letta all’Accademia Pontaniana, nei giorni 2 e 6 dicembre 1888, sul tumulto napoletano del 1510 contro la Santa Inquisizione “ a modo di Spagna. “
Luigi Amabile era nato ad Avellino nel 1828. Fino al 1882 si dedicò allo studio delle scienze naturali, alla medicina ( presso l’Università di Napoli tenne la cattedra di patologia e clinica chirurgica ) e all’attività politica ( fu deputato del Regno dal 1861 al 1865 e dal 1880 al 1882 ). I suoi lavori di storia della medicina nel Napoletano lo portarono a incontrare, per dir così, la figura del frate Tommaso Campanella e ad iniziare un percorso di studi storici di notevole valore. Al frate calabrese e alle sue vicende, Amabile dedicò vari volumi, fra questi Fra’ Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia ( 1882 ). Un decennio dopo, a pochi mesi dalla sua morte, veniva pubblicato “Il santo Officio della Inquisizione in Napoli. Narrazione con molti documenti inediti. “, secondo Pierroberto Scaramella “punto di riferimento imprescindibile per gli storici della cultura e delle istituzioni religiose dell’età moderna. “
All’Inquisizione in Napoli è dedicata anche la memoria sul tumulto del 1510, letta all’Accademia Pontaniana di cui s’è detto in apertura. All’epoca dei fatti esistevano in Napoli tre maniere d’Inquisizione: l’Inquisizione della Curia arcivescovile; l’Inquisizione delegata da Roma ai frati domenicani ; l’Inquisizione che il Governo assegnava a qualche suo ufficiale laico, secondo le antiche costituzioni del Regno. Sotto il Regno di Ferdinando il Cattolico si diffuse a Napoli il timore che venisse introdotta l’Inquisizione a “modo di Spagna “, i cui orrori ( “terribili esecuzioni, inaudite spoliazioni, confische ingordamente cercate “) erano noti in città e nelle province per i racconti degli ebrei fuggiti dalla penisola iberica e dei siciliani riparatisi nel Regno ( in Sicilia funzionava l’Inquisizione a “modo di Spagna “ ) . Nel 1499, nella stessa Spagna, vi fu un pronunciamento del Consiglio d’Aragona perchè il Re mettesse fine agli orrori dell’Inquisizione, ma il sovrano non vi dette ascolto. A Napoli il rifiuto dell’Inquisizione a “modo di Spagna “, diede vita a due tumulti nel 1510 e nel 1547. Il secondo è stato oggetto di numerose e particolareggiate narrazioni, quello del 1510, forse perchè incruento, nota Amabile, non ha avuto uguale attenzione. Eppure esso fu il primo e “ fondamentale “, perchè iniziato e condotto con “mirabile accordo “ dei nobili e dei popolani. Inoltre durò non meno di 11 mesi e giunse ad un pieno successo. Il lavoro di Amabile si avvale di alcune fonti : i testi di due testimoni oculari: Notar Giacomo, diarista della classe popolare; Tristano Caracciolo, storico della classe dei nobili. Vi è inoltre il lavoro dello storico Geronimo Zurita che ebbe modo di leggere i rapporti spediti dal Vicerè al governo centrale di Spagna.
A Napoli le acque si iniziarono ad agitare, per dir così, nell’ottobre 1509 quando giunse in città il Vescovo di Cefalù Rinaldo di Montoro e Landolina addetto all’Inquisizione a modo di Spagna, indipendente dal Pontefice e già in vigore in Sicilia. Corse voce che fosse venuto per amministrare l’Inquisizione, ma per due mesi egli non manifestò la causa della sua presenza a Napoli.
Il 29 dicembre dello stesso anno entrò in città Messere Andrea Palazzo. Dai documenti analizzati da Amabile emerge che non si trattava di un ecclesiastico ma di un laico, socio o sostituto del Vescovo di Cefalù, pronto a perseguire i delitti d’eresia. In città “ grande fu la commozione degli animi “ alla venuta del Palazzo e subito in privato e in pubblico la gente si riunì decisa ad impedire che l’Inquisizione operasse. Si diffuse anche la notizia che gli inquisitori avevano deciso di tenere una predica al popolo e di svolgere una processione portando il crocifisso abbrunato segno di volontà di purificazione della città. Tutto ciò venne giudicato dai napoletani “grave ed intollerabile “ e si minacciò anche di prendere le armi per impedire i propositi dell’Inquisizione. Infine con comune decisione della nobiltà, delle persone civili e della bassissima plebe si stabilì di inviare al Vicerè degli emissari che manifestassero la volontà di opporsi all’Inquisizione.
Il 4 gennaio 1510 ci fu l’incontro tra i napoletani e il Vicerè. I primi comunicarono che non era gradita la presenza del Palazzo in città; ricordarono gli orrori dell’Inquisizione di Spagna; chiesero di vietare agli inquisitori processioni per purificare Napoli, che sarebbero state causa di tumulti; dichiararono di volere la quiete nel Regno e la gloria del Re. Il Vicerè rispose che mandassero degli inviati al Re per sostenere le loro ragioni e intanto egli garantiva che gli inquisitori non avrebbero introdotto alcuna novità in città.
Successivamente in una serie di riunioni tra il 7 e il 10 gennaio si “ cementò” l’unione tra nobili e popolo decisi ad impedire l’istituzione dell’Inquisizione a “modo di Spagna “ . Unione che si manifestò nell’elezione all’unanimità di Francesco Filomarino come emissario presso il Re. Filomarino partì per la Spagna probabilmente ad aprile ed incontrò il sovrano che, come scrisse in una lettera ai napoletani, lo ricevette benignamente e lo ascoltò con attenzione e placidità. Il Re disse che voleva l’introduzione dell’Inquisizione a ”modo di Spagna “ a Napoli per la gloria di Cristo Salvatore e non già per i motivi di cui erano persuasi i napoletani. Egli infine aggiunse che presto avrebbe fatto conoscere la sua volontà sulla questione.
Ma la risposta del Re tardò a venire e questo accese di nuovo gli animi dei napoletani. La situazione sembrò precipitare quando il 24 settembre si diffuse la voce che fosse giunta la lettera del Re con l’ordine di introdurre l’Inquisizione spagnola a Napoli. Il popolo napoletano decise all’unanimità la chiusura di botteghe ed officine e vi fu chi incitò a prendere le armi. Nella Chiesa di S. Agostino si riunirono quattromila persone secondo le testimonianze di Notar Giacomo e il racconto di Zurita. Anche i baroni del Regno si unirono al tumulto e il 25 settembre si recarono dal Vicerè dichiarando che né Napoli, né il Regno volevano l’Inquisizione spagnola e lo sollecitarono a cacciare l’inquisitore. Il Vicerè disse che avrebbe scritto al Re invitandolo ad abbandonare l’idea di introdurre in città e nel Regno l’Inquisizione spagnola ed esortandolo alla moderazione al fine di evitare tumulti.
Frattanto l’unione tra baroni e popolo fu celebrata il 28 ottobre, con una grandiosa processione alla quale parteciparono circa settemila persone con l’adesione delle congregazioni spirituali, delle parrocchie e dei frati dei monasteri di Napoli.
Tuttavia nuova eccitazione sorse in Napoli quando giunse la notizia che a Monopoli, città del Regno, aveva cominciato ad agire l’inquisizione. Il popolo pensò di essere stato ingannato dal Vicerè che, mentre dichiarava che nessuna novità vi sarebbe stata circa l’Inquisizione, si muoveva in senso contrario. Per far fronte agli animi dei napoletani di nuovo accesi, il Vicerè decise di pubblicare due prammatiche reali: una riguardante l’espulsione degli ebrei, fuggiti dalla Spagna, dal Regno, l’altra relativa alla questione dell’Inquisizione. In questa si dichiarava che il Re, avendo riconosciuto lo zelo che si teneva nella fede cattolica a Napoli e in tutto il Regno, provvedeva a togliere l’Inquisizione per la quiete e il bene universale di tutti. Grande fu l’emozione in città, suonavano ovunque le campane e tanti esultavano e benedivano il Re. Ben presto però alcuni “sussurratori “ dichiararono ambigue le parole della Prammatica in quanto l’Inquisizione non era chiaramente tolta e la città era stata ingannata. Il popolo chiese allora al Vicerè che differisse di due giorni il bando, in modo che i giurisperiti lo analizzassero per vedere se manteneva qualche aspetto dell’Inquisizione. Il Vicerè allora si risentì giudicando i napoletani presuntuosi e diffidenti per non aver apprezzato la benignità e liberalità del Re. Tutta la città fu allora convinta della malafede del Vicerè che non voleva aspettare due giorni per la pubblicazione del bando. Quest’ultimo fu pubblicato il 22 novembre, ma per l’opposizione della moltitudine non fu possibile divulgarlo in tutte le parti della città. Di nuovo il popolo si radunò per protestare e si raccolse tanta gente che “non si sarebbe potuto trovare alcuno degli operai nelle botteghe e nelle officine “. Alla fine di un nuovo lungo e travagliato incontro, il Vicerè concesse al popolo di Napoli di esaminare la Prammatica per quanto tempo volesse.
Il 24 novembre 1510 fu pubblicato un nuovo bando che non fu simile al primo emesso, secondo la testimonianza di Notar Giacomo. Ecco parte del bando riportata dal diarista e contenuta nella memoria di Amabile:
“ Havendo el Re Nostro Signore cognosciuto la antiqua observancia et religione de la fidelissima cita di Napoli et de tucto questo Regno verso la Santa Fe Cattolica, Sua Altezza ha mandato et ordinato levarese la Inquisicione da dicta cita et de tucto el Regno predicto per lo bene vivere universale de tucti. “
Dopo la pubblicazione del bando reale, l’inquisitore Palazzo partì spontaneamente da Napoli, ponendo fine ad uno dei motivi del tumulto.
Si affermo così dal 1510 in poi a Napoli e nel Regno il diritto di non avere Tribunale d’Inquisizione all’infuori di quello ordinario e il Re Ferdinando il Cattolico non introdusse altra novità in questa materia fino alla sua morte ( 1516 ).
Per venire alle cause del successo del tumulto napoletano del 1510, bisogna ricordare l’opinione dello storico Zurita che afferma che furono gli ebrei fuggiti dalla Spagna ad istigarlo. Secondo Amabile ciò è “assai verosimile “, però insieme a questa constatazione egli ricorda anche le opinioni di storici come Mariana e Spondano che osservarono che il Pontefice vedeva male l’intento della Spagna di introdurre l’Inquisizione a Napoli in quanto ciò avrebbe diminuito l’autorità sua con un Tribunale indipendente da lui. E’ verosimile – continua poi Amabile – che anche il Cardinale Arcivescovo di Napoli si fosse lamentato presso il Papa perchè temeva l’introduzione di un altro tribunale in relazione stretta col governo, accanto a quello che egli o il suo Vicario doveva gestire. “ Queste differenze di interessi e potenti rivalità – osserva ancora Amabile – diedero buon appoggio ai napoletani. “
“ Seppero dunque i napoletani – conclude Amabile – raggiungere compiutamente il loro scopo con l’unione, la costanza ed anche la disciplina, durate quanto mai nelle moltitudini quasi mai accade di vedere, profittando con giudizio delle condizioni politiche generali che tenevano abbastanza ligate le mani degli spagnuoli. “


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