CivileGiurisprudenza

L’impugnazione della cartella non rimette in gioco il contribuente – Cassazione Civile, Sentenza n. 25614/2010

La nullità di una sentenza non è rilevabile d’ufficio ma va eccepita con i normali strumenti di opposizione

L’eccezione di nullità di una sentenza deve essere rilevata, ai sensi dell’articolo 161 del codice di procedura civile, innanzi al giudice superiore attraverso gli specifici strumenti di impugnazione dei provvedimenti giurisdizionali previsti dalle norme processuali, secondo il principio generale di conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame.
Ne consegue che la cartella di pagamento – atto impugnabile solo per vizi propri e non per quelli dell’atto da cui nasce l’iscrizione a ruolo e/o dello stesso atto esecutivo – non rimette in termini il contribuente che sia decaduto dall’impugnazione, eccetto le ipotesi in cui, solo attraverso di essa, egli venga a conoscenza della pretesa impositiva e dell’atto con cui è stata accertata.
Questo l’interessante assunto contenuto nella pronuncia della Cassazione n. 25614 del 17 dicembre.
 
Il giudizio di merito
Un contribuente propone ricorso contro una cartella di pagamento relativa a imposte dirette (annualità 1976/1977) liquidate a seguito di una decisione della Commissione tributaria di primo grado del 1990, passata in giudicato.
La Commissione tributaria provinciale accoglie il ricorso.
L’Amministrazione finanziaria ricorre in appello, che viene accolto dai giudici del gravame nella considerazione che l’atto esecutivo impugnato scaturiva da una decisione passata in giudicato.
Il contribuente propone allora ricorso per Cassazione e contesta, tra le altre, la sentenza di appello in quanto il giudice del gravame non aveva valutato che la cartella era priva dell’indicazione di copia autentica dell’originale (mai notificato alla parte) e inoltre era carente delle prescritte indicazioni inerenti alla determinazione dei tributi, sicché aveva vizi intrinseci alla medesima e, quindi, autonomamente denunziabili, così come avvenuto.
 
La pronuncia della Cassazione
Per la Corte suprema, tale doglianza è priva di fondamento, quindi deve essere rigettata.
La Cassazione ricorda che la cartella esattoriale “…è impugnabile solo per vizi propri e non per quelli dell’atto da cui nasce il debito alla fonte dell’iscrizione a ruolo e dello stesso atto esecutivo, eccettuati i casi in cui solo attraverso di essa il contribuente venga a conoscenza della pretesa impositiva e dell’atto con cui e stata accertata…”,ma tale eccezione non può valere, come nel caso di specie, “…quando il debito sia fondato su provvedimenti giudiziari, i quali debbono essere impugnati con gli specifici strumenti previsti dalla norme processuali (nella specie, con l’appello della sentenza in base alla quale era stato adottato l’atto oggetto del presente giudizio), e non possono essere contestati attraverso un ricorso dinanzi al giudice di primo grado avverso la cartella esattoriale (V. pure Cass. Sentenze n. 21477 del 11/11/2004, n. 7951 del 2002)”.
 
Considerazioni finali
La pronuncia in commento si allinea a un orientamento da ritenersi oramai consolidato – nella giurisprudenza di legittimità – in ordine all’interpretazione degli articoli 161 e 327 del codice di procedura civile, nonché dell’articolo 38, comma 3, del Dlgs 546/1992.
 
In particolare, si ricorda che l’articolo 161, primo comma, del cpc, nel disciplinare le ipotesi di nullità delle sentenze, dispone che “la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione”; il primo comma dell’articolo 327, invece, testualmente recita “indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione…non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza”.
 
In ambito tributario, infine, il comma 3 dell’articolo del Dlgs 546/1992 prevede che “se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l’art. 327, comma 1, del codice di procedura civile. Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza”.
A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che “…il collegamento contenuto nell’art. 158 cod. proc. civ. al successivo art. 161 comporta che la nullità della sentenza, derivante da vizio di costituzione del giudice, non si sottrae al principio di conversione dei motivi di nullità in motivi d’impugnazione, con la conseguenza che, in caso di mancata, tempestiva denuncia del vizio attraverso lo strumento dell’impugnazione, il rilievo della nullità resta precluso: esemplificativamente ss. uu. 23 giugno 1971, n. 1982” (Cassazione 1733/2003).
 
E ancora, più di recente, “il vizio, rappresentato dalla violazione al principio del contraddittorio per l’omessa comunicazione alla parte della data dell’udienza di trattazione, della sentenza che costituisca titolo per l’emissione di cartella di pagamento oggetto di impugnazione non è rilevabile dal giudice adito se non nella misura in cui sia trasfuso in motivo di gravame ex artt. 161 e 327 c.p.c. e 38, D.Lgs. n. 546/1992” (Cassazione, ordinanza 30145/2008).
 
Sulla base degli enunciati principi, si deve concludere che la nullità di una sentenza deve essere fatta valere con i normali mezzi di impugnazione, non potendo la stessa essere rilevata d’ufficio (e, ove ciò avvenga, tale contegno integra violazione del diritto di difesa e del contraddittorio), con la conseguenza che una cartella di pagamento – emessa a seguito del passaggio in giudicato di una sentenza non tempestivamente impugnata – non può essere oggetto di autonoma impugnazione per far valere vizi relativi alla pronuncia, sottesa alla stessa cartella, nei confronti della quale il contribuente è decaduto dal proporre i normali mezzi di gravame.

Marco Denaro
nuovofiscooggi.it

 

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