Civile

Successioni: la dichiarazione può essere corretta oltre il termine – CASSAZIONE CIVILE, Sezioni Unite, Sentenza 14088 del 27/07/2004


 di Francesco Antonio Genovese*

Via libera alla rettifica della denuncia di successione anche dopo il termine
fissato per la sua presentazione. Ad affermarlo sono state le Su civili della
Cassazione nella sentenza 14088/04 depositata lo scorso 27 luglio e qui
leggibile tra i documenti allegati.

IL FATTO
Resi edotti di non aver calcolato correttamente le quote cadute in successione,
due eredi presentarono, in data 21 settembre 1993, una nuova dichiarazione con
cui elevarono il valore dichiarato in precedenza. L’Ufficio fiscale competente
(quello del registro) non aderi’ alla modifica e accerto’ un valore economico
superiore a quello originariamente denunciato. Contro tale avviso insorsero i
due contribuenti, facendo notare che la rettifica operata alla prima
dichiarazione era intervenuta in un momento anteriore agli accertamenti
dell’Ufficio (e nel rispetto dei parametri stabiliti dall’articolo 52, comma 4,
Dpr 131/86, sulla cd. valutazione automatica).
La commissione tributaria di prime cure respinse il ricorso perchè la seconda
dichiarazione sarebbe intervenuta oltre il termine semestrale, calcolato dal
giorno dell’apertura della successione, secondo la previsione di cui
all’articolo 31, primo comma, D.Lgs 346/90 (nella versione allora vigente, ma
poi portato ad un anno dal Dl 79/1997, convertito nella nelle 140/97).
Anche l’appello, proposto dai contribuenti, venne respinto dalla Commissione
regionale.
Il ricorso per cassazione, trattato davanti alla Sezione tributaria del Giudice
di legittimità, è stato regolato dal rinvio della questione alle Su, per
l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, che è stato da queste ultime
risolto, con la sentenza in commento, nel senso più liberale fra le due
soluzioni antinomiche approntate dal diritto vivente.

I TERMINI DEL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE
La Sezione tributaria, con l’ordinanza n. 15977 del 2002, con la quale ha
rimesso la questione alle Su civili, ha rilevato che, nella materia de qua, la
possibilità per il contribuente di rettificare gli errori contenuti nella
dichiarazione, anche dopo lo spirare del termine per la sua presentazione, era
stata ammessa da Cassazione 8972/02, in quanto "espressione di un principio
generale del sistema tributario", non costituendo la dichiarazione fonte
dell’obbligazione tributaria, ed in conformità dei principi costituzionali di
capacità contributiva e di buona amministrazione, nonchè del principio –
esistente ancor prima dell’espresso riconoscimento contenuto nell’articolo 10
dello Statuto del contribuente, di cui alla legge 212/00 – della collaborazione
e della buona fede che deve improntare i rapporti fra contribuente ed
amministrazione finanziaria.
Secondo un precedente orientamento, rappresentato dalle sentenze 946/96 e
6700/98, la rettifica del valore dei beni indicati nella denuncia di
successione, sarebbe, invece, consentita soltanto entro il termine, previsto per
la sua presentazione, di sei mesi (o di un anno a far data dal 1997),
dall’apertura della successione. Nell’alveo di tale indirizzo si era posta,
altresi’, la sentenza 12458/01, che aveva escluso che la correzione, operata dal
contribuente in sede contenziosa, del valore di un immobile in misura
corrispondente a quello attribuibile in base ai criteri della cd. valutazione
automatica potesse essere equiparata ad una legittima rettifica della
dichiarazione originaria presentata entro il termine semestrale, e potesse
percio’ precludere all’Ufficio l’accertamento in rettifica del valore
dell’immobile originariamente dichiarato dal contribuente.
La tesi che escludeva la possibilità di modificare la denuncia di successione
oltre il termine fissato per la sua presentazione (cd. orientamento restrittivo)
ha sempre argomentato, sostenendo che: a) sebbene la denuncia di successione non
sia un atto negoziale o confessorio, ma abbia natura di dichiarazione di
scienza, cio’, tuttavia, non sarebbe decisivo ai fini della soluzione in un
senso o nell’altro della questione della sua emendabilità; b) occorrerebbe
muovere dai limiti temporali per la presentazione della dichiarazione ed alle
condizioni per la sua rettificabilità, desunti, prima ancora che dalla
specifica disciplina del tributo, dai principi elaborati dalla giurisprudenza
sulle dichiarazioni tributarie in generale, presentate dai contribuenti in
adempimento di obblighi di legge, principi cui "non puo’ sottrarsi la denuncia
di successione"; c) al di fuori degli errori materiali o di calcolo contenuti
nelle dichiarazioni, per i quali, peraltro, è obbligo dell’amministrazione
procedere d’ufficio alle relative correzioni, eventuali rettifiche del
contribuente dovrebbero essere presentate entro gli stessi termini previsti per
la dichiarazione che si intende correggere (la quale verrebbe cosi’ sostituita
da quella successivamente presentata); d) nei casi di specie non sarebbe stato
ravvisabile nella prima denuncia di successione alcun errore materiale, di fatto
o di calcolo, bensi’ un errore di valutazione, e quindi (Cassazione 946/96), una
sorta di ius poenitendi, sull’assunto di aver attribuito un valore eccessivo
agli immobili costituenti l’attivo ereditario.
Gli argomenti che fondavano l’indirizzo favorevole all’emendabilità delle
dichiarazioni di successione sono i seguenti: a) la dichiarazione non avrebbe
valore confessorio; b) essa non costituirebbe fonte dell’obbligazione
tributaria, ma si inserirebbe nell’ambito di un più complesso procedimento di
accertamento e di riscossione; c) essa si baserebbe sui principi costituzionali
della capacità contributiva, di buona amministrazione e di legalità
dell’amministrazione, i quali "rendono intollerabile un sistema legale che
impedisse al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo,
l’inesistenza di fatti giustificativi del prelievo"; d) all’imposizione
tributaria, sarebbe immanente il principio della collaborazione e della buona
fede, che deve improntare i rapporti fra amministrazione finanziaria e
contribuente: esso costituirebbe una vera e propria clausola generale, esistente
nel sistema anche prima dell’espresso riconoscimento contenuto nell’articolo 10,
comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente (ex lege 212/00).

LA SOLUZIONE DEL CONTRASTO
La sentenza 14088/04 ha chiaramente optato per il secondo indirizzo, quello cd.
estensivo.
Tale soluzione aveva già trovato una vigorosa affermazione nella sentenza
10494/03 della stessa Sezione tributaria della Cassazione. Nell’esaminare una
fattispecie di denuncia rettificativa del contribuente, presentata oltre il
termine, sull’assunto di avere erroneamente dichiarato per un cespite un valore
superiore a quello risultante dalla cd. valutazione automatica, tale decisione
faceva riferimento alle due (allora) recenti decisioni delle Su della fine del
2002, che avevano risolto il contrasto sull’emendabilità della dichiarazione
dei redditi, cosi’ che la stessa poteva ammettere la modificabilità della
denuncia di successione oltre il termine, puntualizzando in modo netto che, una
volta concessa, in linea di principio, la rettificabilità della dichiarazione
da parte del contribuente, resterebbe impregiudicata l’indagine relativa al
merito della rettifica, vale a dire la connessa ma diversa questione della
natura dell’errore emendabile, e cioè la sua necessaria distinzione dal vero e
proprio ius poenitendi (in quel caso, l’amministrazione non aveva contestato, l’ammissibilità
stessa di una correzione riguardante l’esposizione di un valore parametrato ai
coefficienti catastali, una volta che era stata esposta una valutazione di tipo
venale o di mercato).
I precedenti a cui questa decisione si era richiamata sono le due pronunce delle
Su, 15063 e 17394/02, le quali hanno composto il contrasto avente ad oggetto l’emendabilità
della dichiarazione dei redditi, operando, nell’ambito del complesso e
articolato procedimento diretto all’accertamento ed alla riscossione dei
tributi, un inquadramento sistematico della fase della dichiarazione, e fornendo
di essa una lettura alla luce dei principi costituzionali di valenza non
circoscrivibile alla sola dichiarazione dei redditi, ma riferibile, per il
tenore stesso della motivazione delle decisioni, alle dichiarazioni fiscali in
generale (in vista della composizione del contrasto sull’emendabilità delle
dichiarazioni dei redditi).
Le Su, con la sentenza 15063/02 (accolta assai favorevolmente dalla dottrina: si
vedano, tra gli altri, i commenti di C. Todini in Rass. trib., 2002, fasc. 2; R.
Baggio, in Riv. dir. trib., 2003, fasc. 1; S. Capolupo e S. La Rocca, ne il
fisco, 2002, rispettivamente alle pagine 15574 e 15952; G. Restivo in Boll. Trib,
2002, p. 1658), seguita da Cassazione 17394/02 (e quindi dalle conformi
Cassazione 119/03, 120, 121, 122, nonchè da Cassazione Sezione tributaria,
8153/03), sono intervenute sul tema della emendabilità ovvero della
ritrattabilità delle dichiarazioni dei redditi.
Fra le tesi da tempo in contrasto hanno ritenuto "corretta e accettabile, in
particolare in relazione alla normativa applicabile alla situazione controversa
ratione temporis, quella che afferma, in linea di principio, emendabile e
ritrattabile ogni dichiarazione dei redditi che risulti, comunque, frutto di un
errore del dichiarante nella relativa redazione, sia tale errore testuale o
extratestuale, di fatto o di diritto, quando da essa possa derivare
l’assoggettamento del dichiarante medesimo ad oneri contributivi diversi, e più
gravosi, di quelli che per legge devono restare a suo carico".
Le ragioni alla base di tale orientamento sono sembrate riferibili, secondo il
citato arresto della Sezione tributaria 10494/03, non alla sola imposizione
diretta, ma alla natura delle dichiarazioni tributarie in genere, alla loro
funzione nell’ambito del procedimento di accertamento (e riscossione) delle
imposte e, più ancora, al fondamento stesso dell’obbligazione tributaria, in
quanto, "sul piano sistematico, la riscontrabilità di una, in linea di massima
generalizzata, possibilità di rettificare o ritirare, in tutto o in parte, la
dichiarazione dei redditi non puo’ non essere fatta discendere": a) "dalla
relativa natura di atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera
esternazione di scienza e di giudizio, da avere, come tale, per in linea di
principio modificabile nell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di
valutazione sui dati riferiti e/o valutati"; b) "dal fatto che essa non
costituisce il titolo dell’obbligazione tributaria, ma integra un momento
dell’iter procedimentale inteso all’accertamento di tale obbligazione ed al
soddisfacimento delle ragioni erariali che ne sono l’oggetto"; c) "dalla
considerazione che si rivelerebbe difficilmente compatibile con i principi
costituzionali della capacità contributiva (articolo 53, primo comma,
Costituzione) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (articolo
97, primo comma Costituzione), un sistema legislativo che, radicalmente negando
la rettificabilità della dichiarazione, si proponesse di sottoporre il
contribuente dichiarante, sulla base di tale atto, ad un prelievo fiscale
sostanzialmente e legalmente indebito".
La sentenza in esame si è posta in continuità proprio con il cennato indirizzo
delle Su, e si è sintonizzata sul rapporto che intercorre fra la dichiarazione
e l’obbligazione tributaria, al lume dei principi costituzionali che reggono la
materia: il principio di legalità delle prestazioni patrimoniali sancito
dall’articolo 23 Costituzione, che traspare nell’esigenza di escludere
"l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi, e più
gravosi, di quelli che per legge devono restare a suo carico", e nella
preoccupazione di evitare il rischio "di sottoporre il contribuente dichiarante,
sulla base di tale atto ad un prelievo fiscale sostanzialmente e legalmente
indebito"; i principi della capacità contributiva (articolo 53, primo comma,
Costituzione) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (articolo
97, primo comma, Costituzione) che devono permeare il sistema legislativo
tributario.

IL TERMINE DATO AL CONTRIBUENTE PER EMENDARE LA DICHIARAZIONE DI SUCCESSIONE
Il maggiore dei problemi che si presentava all’esame delle Su era certamente
quello costituito dalla eludibilità del termine, fissato dall’articolo 31 del
D.Lgs 346/90 in sei mesi dall’apertura della successione per la presentazione
della denuncia.
Se Cassazione 6113/99 aveva affrontato il tema interrogandosi sulla natura di
esso, ed osservando che "il termine fissato dalla legge per la presentazione di
denunce fiscali non è, almeno di regola, e non lo è sicuramente nell’ambito
dell’imposta di successione …, un termine decadenziale, ma soltanto un termine
il cui mancato rispetto determina l’applicazione di sanzioni"; Cassazione
8972/02 aveva seguito, invece, la strada dell’interpretazione estensiva, alla
luce del principio generale "della collaborazione e della buona fede, che deve
improntare i rapporti fra amministrazione finanziaria e contribuente",
costituente "una vera e propria clausola generale, esistente nel sistema anche
prima dell’espresso riconoscimento contenuto nell’articolo 10, comma 1, dello
statuto dei diritti del contribuente, legge 212/00", alla regola contenuta
nell’articolo 33, comma 2, del D.Lgs 346/90, la quale, nello stabilire che "in
sede di liquidazione l’ufficio provvede a correggere gli errori materiali e di
calcolo commessi dal dichiarante nella determinazione della base imponibile e ad
escludere" passività, oneri, riduzioni e detrazioni nei termini di seguito
previsti, lungi dall’attribuire un potere discrezionale esclusivamente
all’amministrazione finanziaria, consentirebbe anche al contribuente di
procedere "alla rettifica di errori di qualsiasi genere", anche dopo la scadenza
del termine per la presentazione della dichiarazione, e tale rettifica, se
fondata, deve essere presa in considerazione dall’ufficio ai fini della
liquidazione dell’imposta dovuta.
Le Su, nella sentenza annotata, invece, hanno proceduto ad una sostanziale
lettura del complesso delle disposizioni investite dalla questione relativa al
contrasto, conforme a Costituzione, e in particolare con riguardo al termine
fissato dall’articolo 31 del D.Lgs 346/90, ritenendolo non previsto a pena di
decadenza.
Hanno cosi’ potuto fissare un nuovo (e non scritto) limite temporale per le
dichiarazioni "sostitutive" od "integrative", emancipandolo da quello fissato
per la dichiarazione e affermando (anche sulla base del precedente n. 10494 del
2003, più volte citato) che "il mancato rispetto non inciderà sull’efficacia
della dichiarazione, potendo solo comportare l’applicazione delle sanzioni
corrispondenti". Questo nuovo limite temporale è costituito dall’esercizio del
potere accertatorio da parte dell’Ufficio ("finchè non intervenga un avviso di
accertamento di maggior valore").
Una soluzione certamente condivisibile, anzi apprezzabile. Ma con qualche
precisazione, di tipo pratico-operativo.
L’espressione "finchè non intervenga un avviso di accertamento di maggior
valore", esplicitamente enunciata dalla Corte nel corpo della motivazione,
impone di specificare, innanzitutto, che un tale intervento debba essere
riferito alla regolare notificazione dell’avviso nelle mani del contribuente,
ossia alla prova delle certa conoscenza dell’esercizio del potere di rettifica
ufficiosa (tale prec

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