Per vincere l’accertamento sintetico serve una prova contraria rigorosa
Il contribuente è sempre ammesso a “sconfessare” il redditometro, ma deve fornire elementi convincenti
L’acquisto di un immobile per un importo incompatibile con il reddito dichiarato comporta la legittima applicazione dell’accertamento sintetico in capo all’acquirente, non essendo sufficiente, quale prova contraria, l’asserito finanziamento di tale spesa proveniente dalla cessione di un’impresa familiare avvenuta oltre un anno dopo il predetto incremento patrimoniale.
E’ questa la decisione assunta dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 21661 del 22 ottobre.
I Giudici supremi tornano nuovamente sul tema della prova contraria all’accertamento sintetico. Tale strumento – previsto dall’articolo 38, comma 4 e seguenti, del Dpr 600/1973 – consente, in base a “elementi e circostanze di fatto certi”, di determinare il reddito complessivo netto del contribuente in funzione del contenuto induttivo di tali elementi e circostanze. Il principio di fondo è che il possesso di determinati beni (autoveicoli, motoveicoli, aerei, imbarcazioni, residenze principali e secondarie, eccetera) comporti il sostenimento di spese gestionali, le quali si presumono alimentate necessariamente dal reddito conseguito. Pertanto, sulla base della disponibilità di tali beni, attraverso l’applicazioni di coefficienti ministeriali, gli uffici giungono alla determinazione del reddito sinteticamente accertabile con il cosiddetto “redditometro”. Anche l’acquisto di beni che producono un incremento del patrimonio del contribuente – solitamente immobili, auto, navi eccetera – è utilizzabile, come elemento o circostanza, per l’accertamento sintetico fondato sugli incrementi patrimoniali. In tal caso, però, l’importo della spesa si presume sostenuta, ai sensi dell’articolo 38, comma 5, del Dpr 600/1973, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti.
La sentenza n. 21661/2010
La pronuncia trae origine da un avviso di accertamento con cui l’ufficio accertava sinteticamente il reddito del contribuente in forza dell’acquisto di un immobile. Questi proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale, che l’accoglieva, attesa la prova fornita circa il reperimento dei fondi, provenienti dal nucleo familiare, necessari all’acquisto immobiliare. Di diverso avviso si dimostravano, invece, i giudici di seconde cure, che accoglievano l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, in base alla considerazione che la cessione d’azienda che avrebbe finanziato l’acquisto del predetto immobile sarebbe avvenuta oltre 14 mesi dopo tale fatto e, quindi, avrebbe costituito una circostanza inidonea a impedire l’applicazione dell’accertamento sintetico.
Proponeva allora ricorso per cassazione il contribuente con due motivi. La sua difesa sosteneva innanzitutto l’inesistenza dei presupposti per l’accertamento sintetico, alla luce della circolare 7/1977, per cui tale strumento presuntivo sarebbe applicabile allorquando il tenore di vita del contribuente risulti in evidente contrasto con il reddito dichiarato. Col secondo motivo, invece, il contribuente sosteneva che, ai fini della prova contraria, sarebbe stato sufficiente dimostrare il concorso alla spesa di altri componenti della famiglia in modo tale da raggiungere un reddito compatibile con l’acquisto immobiliare, mentre non avrebbe dovuto fornire la prova delle modalità con le quali sarebbero stati messi a disposizione da parte dei familiari i fondi necessari al suddetto incremento patrimoniale. Secondo il contribuente, pertanto, ai fini della prova contraria all’accertamento sintetico rileverebbe soltanto la dimostrazione di una capacità di spesa personale compatibile con la somma dei redditi della famiglia.
La Cassazione, investita della questione, ha ritenuto il ricorso palesemente infondato. I giudici di piazza Cavour hanno innanzitutto ribadito il principio, ormai consolidato, della giurisprudenza di legittimità per cui il reddito dichiarato dal contribuente debba essere verificato “partendo da dati certi e utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (cd. redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla”. In caso di incompatibilità tra il reddito dichiarato e quello determinato sinteticamente, l’ufficio può procedere legittimamente ad accertamento qualora lo scostamento tra i due sia superiore di almeno un quarto e per due periodi d’imposta.
A tal proposito, la Cassazione ha confermato nuovamente che “L’unico onere dell’ufficio è quello di individuare elementi certi indicatori di capacità di spesa … ferma restando la possibilità per il contribuente, oltre che, ovviamente, di contestare il possesso degli indicatori di capacità di spesa, di provare, con idonea documentazione” il contrario.
Il ricorrente, invero, aveva addotto che l’acquisto immobiliare in oggetto era stato finanziato dai redditi provenienti dal nucleo familiare conseguiti a seguito della cessione di un’azienda familiare, ma la Commissione tributaria regionale aveva rilevato che tale cessione era avvenuta addirittura 14 mesi dopo l’acquisto immobiliare e che, pertanto, non avrebbe potuto assumere alcuna rilevanza ai fini della prova contraria.
I Giudici supremi hanno confermato la decisione di secondo grado, rilevandone la “evidente logicità” della motivazione. In conclusione, quindi, la Cassazione ha rigettato il ricorso, senza rinvio della causa, e compensando le spese di giudizio.
Considerazioni conclusive
La pronuncia in esame è significativa perché conferma che, da un lato, il contribuente è sempre ammesso a fornire la prova contraria allo strumento accertativo de quo, dall’altro, però, deve allegare una prova convincente, a differenza di quella proposta nel caso in oggetto.
Del resto, la stessa Cassazione ha sempre stabilito che la prova contraria fornita dal contribuente deve essere rigorosa, come indicato nella sentenza 8738/2002.
Peraltro, appena alcuni mesi orsono, la stessa Corte aveva stabilito che anche l’acquisto di un immobile dal proprio genitore costituisce un fatto certo sulla base del quale l’Amministrazione finanziaria può legittimamente applicare l’accertamento sintetico, giungendo alla determinazione di un maggior reddito fondato sulla considerazione della spesa sostenuta per l’acquisto immobiliare, non essendo sufficiente a dimostrare il contrario l’allegazione della circostanza per cui la cessione sarebbe avvenuta tra genitore e figlio, lasciando presupporre la sostanziale gratuità della cessione. Anche in quell’occasione, la Suprema corte ha stabilito che la prova contraria avrebbe dovuto essere rigorosa, giungendo a dimostrare che l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, avrebbe avuto, invero, una causa gratuita anziché quella onerosa apparente (in senso conforme, Cassazione 8665/2002, 5991 e 23252 del 2006).
Alessandro Borgoglio
fonte: fiscooggi.it