Arte & Cultura

LUCIANO BIANCIARDI VITA AGRA DI UN ANARCHICO ROMANTICO

di Pancrazio Caponetto – ” E’ aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia.
Tutto quello che c’è di medio è aumentato, dicono contenti. E quelli che lo negano propongono però anche loro di fare aumentare, e non a chiacchiere, le medie; il prelievo fiscale medio, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda.
A tutti. Purchè tutti lavorino, purchè siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera.
Io mi oppongo. ”
Questo lungo passo tratto da La vita agra, il romanzo di maggior successo di Luciano Bianciardi, esprime bene la sua posizione di critica pungente verso l’Italia del miracolo economico e, al tempo stesso, la sua condizione di intellettuale in polemica continua nei confronti della società.
Luciano Bianciardi era nato a Grosseto nel dicembre del 1922. Si formò culturalmente al Liceo classico “ Carducci – Ricasoli “ e alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa dove si laureò nel 1947 con una tesi sul pensiero del filosofo americano John Dewey. Politicamente manifestò un deciso antifascismo iscrivendosi al Partito d’Azione ( 1945 ) e rimanendo su posizioni di sinistra dopo il suo scioglimento ( 1947 ).
Dopo i primi impegni lavorativi come insegnante, bibliotecario e giornalista, fece il suo esordio nel mondo della cultura con un libro I minatori della Maremma, scritto nel 1956 in collaborazione con Carlo Cassola. Si trattava di un’inchiesta sulle condizioni di vita dei minatori del Monte Amiata che rivela la tendenza di Bianciardi “ a sottolineare taluni momenti cruciali della storia patria in cui rintracciare le matrici e le cause di quelle contraddizioni contro le quali cercò di combattere la sua battaglia di anarchico romantico e scontroso. “ ( Walter Mauro in Letteratura italiana Marzorati – 900) . Il libro infatti contiene non solo le interviste ai minatori dei paesi dell’Amiata ma cerca di individuare anche le cause della loro secolare condizione di sfruttamento, ingiustizia e dolore.
Frattanto, nel 1954, si era trasferito a Milano dove lavorò, fino al licenziamento nel 1957, come redattore della Casa Editrice Feltrinelli. Negli anni successivi si guadagnò da vivere traducendo opere di narratori stranieri : Faulkner, Henry Miller, Adlous Huxley, Thomas Berger, John Barth. Fra gli scrittori americani di cui si occupò il preferito fu sicuramente Jack Kerouac “ la cui natura perversamente ‘deracinè’ – ha scritto Walter Mauro – Bianciardi volle assimilare grazie a un’ affinità concreta e mai ripudiata nel modo di intendere la vita sul filo teso di un’anarchia romantica che si paga in prima persona, per gli inevitabili impatti contro il muro del perbenismo, dell’ufficialità conformistica “.
Tra il 1957 e il 1960 Bianciardi scrisse due libri: Il lavoro culturale e L’integrazione . Il primo denuncia la condizione di profonda delusione vissuta da quegli intellettuali italiani che videro, negli anni Cinquanta, sfumare le loro speranze di cambiamento sociale e politico nate negli anni dell’antifascismo e della Resistenza. Il secondo è “un ritratto scettico e molto pungente, già più maturo, del processo di disintegrazione che un giovane letterato subisce, a contatto con gli stravolgimenti della civiltà urbana. “( Walter Mauro in Letteratura italiana Marzorati – 900)
Pur non definendosi storico di professione Bianciardi si cimentò nella ricostruzione di eventi storici nei suoi due libri “ risorgimentali “: Da Quarto a Torino, uscito nel 1960, nel centenario dell’impresa dei Mille, e Daghela avanti un passo del 1969.
“ La verità è che il Risorgimento – scrive Bianciardi nella pagina che chiude Daghela avanti un passo – fece l’Italia… lacera e divisa. Divisa tra italiani ricchi e poveri. Fra italiani del Nord e italiani del Sud. Fra italiani dotti e italiani analfabeti.Tutte divisioni che oggi noialtri italiani, faticosamente, penosamente, stiamo cercando di colmare. “
Processo incompiuto dunque, il Risorgimento con la sua realtà spesso offuscata dalla retorica del patriottismo, con le sue lacerazioni che trascinatesi per decenni, aprirono la strada all’avvento del Fascismo. E’ una lettura critica dalla quale emergono con forza Giuseppe Garibaldi, autentico eroe popolare e i garibaldini della spedizione in Sicilia. Entrambi protagonisti di una lotta volta a costruire in Italia liberazione politica e sociale, entrambi destinati alla solitudine e alla sconfitta.
Nel 1962 Bianciardi pubblica La vita agra, ” il romanzo più noto e letterariamente considerato il più riuscito ” ( Bianciardi Luciano in Dizionario biografico degli italiani, volume 34 ). E’ la storia, con forti tratti autobiografici, di un intellettuale che si trasferisce a Milano per portare a termine una missione : far saltare in aria il ” torracchione di vetro e di cemento ” , il grattacielo dell’azienda proprietaria della miniera dove erano morti 43 minatori in un incidente provocato da carenza di sicurezza sul lavoro. ( si tratta di un riferimento alla sciagura nella miniera di Ribolla nel 1954 ). Il proposito non si realizza e il protagonista si ritrova a vivere ai margini dell’industria culturale traducendo ogni giorno quelle venti cartelle che gli consentono di tirare avanti. Sullo sfondo la società di massa della Milano del miracolo economico con i suo frenetici ritmi di vita che travolgono ogni autenticità nei rapporti umani. ” Unici lenimenti (ma non tali da costituire una speranza) vengono ad essere il liberatorio erotismo di un forte vincolo affettivo e la scelta della propria irriducibilità a rotella dei meccanismo, genesi stessa, quest’ultima, della propria condizione, insieme, di autenticità e di “devianza””. ( Bianciardi Luciano in Dizionario biografico degli italiani, volume 34 ).
Il successo del libro garantì a Bianciardi migliori condizioni di vita ma, al tempo stesso, finì per renderlo parte di quel sistema al quale, come detto, egli si opponeva: “Finirà che mi daranno uno stipendio mensile solo per fare la parte dell’arrabbiato italiano. Il mondo va così – cioè male. Ma io non ci posso fare nulla. Quel che potevo fare l’ho fatto e non è servito a niente” ( citato in Bianciardi Luciano in Dizionario biografico degli italiani, volume 34 ).
Conclusa l’esperienza milanese Binciardi si trasferì a Rapallo nel 1964, continuando il suo lavoro di traduttore e collaborando a giornali e periodici tra cui L’Unità, Il Giorno e Le ore. Dalle sue opere vennero tratti anche due film. La vita agra con la regia di Carlo Lizzani nel 1964 e Il Merlo maschio, regista Pasquale Festa Campanile del 1971.
Gli ultimi due lavori di Bianciardi furono La battaglia soda pubblicato nel 1964 e Aprire il fuoco del 1969. Il primo è un romanzo storico che narra le vicende della storia italiana dalla presa di Capua del 1860 alla battaglia di Custoza del 1866. E’un’opera in cui Bianciardi ritorna a centrare l’attenzione sul Risorgimento e sui suoi nobili ideali traditi e calpestati dopo la spedizione dei Mille. ” In La battaglia soda, – ha scritto Walter Mauro – l’ambizione di cimentarsi con un tipo di narrativa , fra derobertiana e “gattopardesca “, produce squilibri e in parte snatura la più sincera e autentica vocazione dello scrittore, che si muove molto più a suo agio quando ha di fronte i materiali contemporanei, o immediatamente anteriori, della sua pena del vivere, gli strumenti della sua inquietudine. ”
Aprire il fuoco si può considerare il testamento spirituale di Bianciardi. Di nuovo alle prese con un episodio del nostro Risorgimento, le cinque giornate di Milano, rivissute però nel 1959.Il romanzo combina passato e presente, personaggi storici come Radetzky e contemporanei come Papa Giovanni. Terminata la rivolta il protagonista finisce in esilio a Nesci, un paese immaginario della riviera ligure, nella speranza di ridare vita a una insurrezione o nell’attesa di essere arrestato, pronto in entrambi i casi ad ” aprire il fuoco “.
Nel 1970 Bianciardi fece ritorno a Milano iniziando la collaborazione con i giornali Il Tempo e il Guerin Sportivo.
Malato di cirrosi morì a Milano nel novembre 1971.
La lotta di Bianciardi contro la mentalità borghese fu – come ha scritto Walter Mauro – solitaria e donchisciottesca, destinata pertanto alla sconfitta ma di questo, come si è visto, era consapevole lo stesso scrittore toscano. Fece fino in fondo la parte dell’arrabbiato italiano, la parte che gli assegnò l’industria della cultura. Ma questo non gli impedì di regalarci pagine di straordinaria bellezza e acutezza sul miracolo italiano, sulla società di massa, sul Risorgimento tradito. La sua è una vicenda esistenziale e letteraria che può iscriversi nel percorso politico e culturale dei tanti intellettuali che aderirono con entusiasmo all’antifascismo, per vedere poi quegli ideali dimenticati nell’italia del dopoguerra. Fu il dramma di una generazione che costò a Bianciardi inquietudine e disagio esistenziale tanto che egli definì la sua vita agra “la storia di una nevrosi, la cartella clinica di un’ostrica malata che però non riesce nemmeno a fabbricare la perla”.


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