AmministrativaGiurisprudenza

Occupazione d’urgenza immobili a fini espropriativi – Consiglio di Stato, Sentenza n. 3500/2011

L’avviso di cui all’art. 11 DPR n. 327/2001 deve contenere, per essere legittimo e coerente con il predetto articolo, oltre che con gli artt. 7 e 8 l. n. 241/1990, gli elementi volti a determinare i soggetti espropriandi ed i beni oggetto del procedimento amministrativo; e ciò sia che la comunicazione avvenga personalmente, sia che essa avvenga in forma collettiva mediante avviso pubblico (e, per le ragioni esposte, l’onere di completezza è richiesto a maggior ragione in quest’ultimo caso). Giova osservare che, anche la giurisprudenza che ammette equipollenti, ritiene tuttavia indispensabile una chiara individuazione dei soggetti e dei beni espropriandi; in tal senso, da ultimo, è stato ritenuto che è idoneo il riferimento, nell’avviso pubblico, ad un determinato foglio della mappa catastale, senza elencazione delle singole particelle, quando i destinatari dell’avviso, debitamente elencati, sono tutti proprietari di fondi che sono rappresentati in quel foglio (Cass. civ., Sez. Un. 2 dicembre 2009 n. 25345; in senso conforme, Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2008 n. 3245).

(© Litis.it, 26 Giugno 2011 – Riproduzione riservata)

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza n. 3500 del 08/06/2011

FATTO

1. Con l’appello in esame, la soc. Nissan Italia impugna la sentenza 28 gennaio 2009 n. 874, con la quale il TAR Lazio, sez. III ter, ha respinto il suo ricorso, proposto avverso il decreto del dirigente della segreteria tecnica ed espropri 19 maggio 2008 n. 12587, disponente l’occupazione di urgenza a fini espropriativi, di alcuni immobili di sua proprietà siti nel comune di Capena, limitrofi alla tratta tra la stazione Roma nord e lo svincolo Settebagni dell’autostrada Milano – Napoli.

Secondo la sentenza appellata:

a) nel caso di specie, trattandosi di opere la cui realizzazione coinvolge oltre 50 destinatari, gli oneri in capo alla soc. Autostrade per l’Italia “erano quelli di effettuare la comunicazione mediante pubblico avviso”, con le modalità e nei luoghi prescritti; ed a tanto la resistente risulta avere provveduto;

b) non sono fondate le doglianze relative alla mancata pubblicazione su un quotidiano locale e la insufficienza delle indicazioni contenute nell’avviso pubblicato. Ciò in quanto “sebbene la nozione impiegata abbia profili di indeterminatezza, non facendo riferimento ad alcun dato oggettivo o numerico sulla distribuzione o sulla penetrazione sul territorio, essa va comunque interpretata sulla scorta della funzione della norma e sull’obiettivo perseguito”, e pertanto la sua ratio “appare quella di consentire la migliore conoscenza dell’esistenza della procedura espropriativa in atto, per cui la scelta del quotidiano deve essere funzionale al raggiungimento di tale risultato” (e per tali esigenze appare soddisfacente la pubblicazione operata sul quotidiano “Il Messaggero”). Quanto al contenuto dell’avviso pubblicato, quest’ultimo, per effetto del novellato art. 11, comma 2, DPR n. 327/2001, costituisce una comunicazione collettiva che “si legittima unicamente, in quanto al presupposto, per il numero di destinatari a cui si rivolge, ed in quanto al contenuto, nell’indicazione di dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto”;

c) l’art. 22-bis DPR n. 327/2001 “non richiede alcuna specifica motivazione delle ragioni di urgenza che hanno indotto l’amministrazione ad occupare il bene per realizzare l’opera pubblica quando il numero dei destinatari sia superiore a 50”;

d) non sussiste giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla lamentata “incongruità della quantificazione dell’indennità di esproprio”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando, in relazione all’art. 11 DPR n. 327/2001 ed agli artt. 7 e 8l. n. 241/1990; poiché “l’elevato numero dei destinatari non esonera l’amministrazione dall’utilizzare in concreto delle modalità idonee (indicazione delle particelle catastali e nominativi dei proprietari) a garantire una effettiva ed utile partecipazione”. Poichè l’avviso pubblicato omette tali indicazioni, è stata di fatto preclusa “alla società appellante un’utile partecipazione, in contraddittorio, all’adozione degli atti prodromici all’emanazione del decreto di esproprio”, con la conseguenza che “l’intero procedimento di espropriazione per pubblica utilità. . . è macroscopicamente illegittimo”, poiché instaurato in violazione delle norme predette;

b) error in iudicando, in relazione all’art. 22-bis DPR n. 327/2001, posto che “in nessuno degli atti impugnati in primo grado . . . vi è alcuna congrua motivazione in ordine alle ragioni di urgenza che consentono di adottare la procedura di urgenza di cui all’art. 22bis”. A maggior ragione se si considera che la conclusione delle procedure espropriative è prevista entro il termine di cinque anni, appare improbabile che “non si potesse effettuare un’ordinaria procedura di espropriazione”.

Si sono costituiti in giudizio l’ANAS e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza “eventualmente dichiarando il difetto di legittimazione passiva del Ministero delle infrastrutture”.

Si sono altresì costituiti in giudizio Autostrade per l’Italia s.p.a. ed il Comune di Capena, che hanno concluso richiedendo il rigetto dell’appello.

Con ordinanza n. 1873/2009, questo Consiglio di Stato ha respinto la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza di I grado, negando la sussistenza di un pregiudizio grave ed irreparabile “considerata la limitata estensione dell’area soggetta ad occupazione di urgenza”.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio deve preliminarmente rigettare l’eccezione relativa al proprio difetto di legittimazione passiva, avanzata (sia pure in forma subordinata ed eventuale) dal Ministero delle infrastrutture.

Ciò in quanto il Ministero – che è stato pacificamente parte del giudizio di I grado – risulta essere, in ragione della natura dell’opera e del procedimento posto in essere per l’espropriazione delle aree funzionali alla sua realizzazione, a legittimo titolo parte del presente giudizio. Né il Ministero ha articolato argomenti, a sostegno della propria eccezione, avanzata, come si è detto, solo in via eventuale.

 

3. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente annullamento della sentenza impugnata.

Con il primo motivo, l’appellante lamenta error in iudicando, in relazione all’art. 11 DPR n. 327/2001 ed agli artt. 7 e 8 l. n. 241/1990; poiché “l’elevato numero dei destinatari non esonera l’amministrazione dall’utilizzare in concreto delle modalità idonee (indicazione delle particelle catastali e nominativi dei proprietari) a garantire una effettiva ed utile partecipazione” Poiché l’avviso pubblicato omette tali indicazioni, è stata di fatto preclusa “alla società appellante un’utile partecipazione, in contraddittorio, all’adozione degli atti prodromici all’emanazione del decreto di esproprio”, con la conseguenza che “l’intero procedimento di espropriazione per pubblica utilità. . . è macroscopicamente illegittimo”, poiché instaurato in violazione delle norme predette.

La sentenza del TAR Lazio ritiene, in pratica, che non sussiste un contenuto “obbligatorio” dell’avviso, poiché, per effetto del novellato art. 11, comma 2, DPR n. 327/2001, “si assiste ad una scissione drastica tra la comunicazione personale e quella collettiva, in modo che quest’ultima, assoggettata ad un proprio regime di validità, si legittima unicamente in quanto al presupposto, per il numero di destinatari a cui si rivolge, ed in quanto al contenuto, nell’indicazione di dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto”.

Orbene, l’art. 11 del DPR n. 327/2001, recante disposizioni in tema di “partecipazione dei privati”, prevede (comma 1) che “al proprietario, del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio, va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento:

a) nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del consiglio comunale;

b) nei casi previsti dall’ articolo 10, comma 1, almeno venti giorni prima dell’emanazione dell’atto se ciò risulti compatibile con le esigenze di celerità del procedimento.”

Il successivo comma 2 dispone che:

“l’avviso di avvio del procedimento è comunicato personalmente agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto. Allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50, la comunicazione è effettuata mediante pubblico avviso, da affiggere all’albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo. L’avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto. Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall’autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni.”.

Questo Consiglio di Stato non ritiene che la ricostruzione effettuata dal primo giudice risponda alla esatta interpretazione della disposizione in esame, sia in base al testo letterale di questa, sia per effetto di una interpretazione logico-sistematica, che tenga conto delle finalità cui lo strumento della comunicazione è preordinato.

Quanto all’aspetto più propriamente letterale, non appare in primo luogo proficua una interpretazione fondata sul confronto tra vecchio e nuovo testo della disposizione, posto che solo nel testo novellato viene introdotta per la prima volta la comunicazione dell’avviso con modalità diverse, in ipotesi di numero di destinatari superiori a 50.

A ciò occorre aggiungere, in secondo luogo, che il legislatore, con il novellato art. 11, ferma la necessità di garantire la partecipazione degli interessati, intende contrapporre modalità di comunicazione personali (ritenute proficuamente gestibili fino a 50 proprietari espropriandi) a modalità di comunicazione diverse, collettive e più rapide, laddove il numero di detti proprietari sia superiore a 50, in ciò conciliando le garanzie partecipative degli interessati al procedimento (in funzione di tutela delle proprie posizioni sostanziali) con le esigenze di celerità del procedimento e, quindi, di efficacia, effettività ed economicità dell’azione amministrativa.

Ciò., peraltro, è perfettamente coerente con quanto previsto, in linea generale, dall’art. 8 l. n. 241/1990, in base al quale (comma 3) “qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima”.

Né nel testo dell’art. 11, comma 2, è dato intravedere una diversa prescrizione del contenuto dell’avviso, a seconda che la comunicazione avvenga “personalmente agli interessati” (primo periodo), ovvero “mediante pubblico avviso” (secondo periodo), da assoggettare alle forme di pubblicità ivi previste.

Quanto poi alla prescrizione del terzo periodo del comma 2 dell’art. 11, secondo la quale “l’avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto”, essa riguarda il contenuto dell’avviso in sé (ed è, nel testo dell’art. 11 l’unica prescrizione espressa in merito al contenuto dell’avviso), indipendentemente dalle modalità di comunicazione del medesimo.

Non può essere, quindi, condivisa, sul punto, l’interpretazione del primo giudice che (pag. 6 sentenza) riferisce tale prescrizione solo all’avviso pubblico (escludendola per quello personale), con ciò ricavando un dato normativo non contenuto nel testo letterale della disposizione, ed anzi utilizzandolo per validare una “scissione” tra comunicazione personale e comunicazione per pubblico avviso, al contrario non rinvenibile nella norma.

Tuttavia, quanto ora esposto e ricavabile con la mera interpretazione letterale, risulta confortato dall’interpretazione logico-sistematica della norma, e cioè proprio considerando le finalità che la disciplina intende perseguire per il tramite dell’avviso, e cioè – come anche la rubrica della disposizione assevera – la “partecipazione dei privati”, in funzione non solo collaborativa dell’attività della pubblica amministrazione, ma, soprattutto, in funzione di tutela (procedimentale) delle proprie posizioni soggettive (il diritto di proprietà o altro diritto reale).

In tal senso, appare del tutto evidente che una finalità di effettiva partecipazione dell’interessato può essere perseguita, ponendo lo stesso in condizioni di valutare l’oggetto del procedimento amministrativo e, quindi, come ed in che misura il provvedimento finale inciderà sulle sue situazioni giuridiche soggettive. E ciò può avvenire solo fornendo al destinatario della comunicazione gli elementi volti a renderlo (pur sommariamente) edotto della natura del procedimento amministrativo e della specie e misura del suo coinvolgimento nel medesimo.

Ed infatti, l’art. 8 l. n. 241/1990, pur in via generale, prevede (comma 2) un “contenuto minimo” della comunicazione di avvio del procedimento, volto proprio a rendere tale comunicazione effettiva e coerente con le finalità per le quali essa è prevista.

Con riferimento specifico al procedimento espropriativo, l’avviso di cui all’art. 11 DPR n. 327/2001 deve contenere gli elementi idonei a rendere edotto il destinatario del procedimento ablatorio del sacrificio che gli si intende imporre e dei beni oggetto di tale sacrificio.

D’altra parte, lo stesso art. 11, nel prevedere che l’avviso di avvio del procedimento deve essere inviato “al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio”, presuppone che l’amministrazione abbia identificato il proprietario, e ciò può avvenire solo per il tramite dei beni (e dei loro dati catastali) da assoggettare a procedimento ablatorio.

Tale contenuto dell’avviso – che, come si è già detto, l’art. 11 non esclude né semplifica in caso di comunicazione non personale, ma per avviso pubblico – proprio per le finalità cui lo stesso è preordinato, deve essere a maggior ragione completo ed idoneo a rendere compiutamente edotto il proprietario espropriando, proprio con riferimento al caso di comunicazione non personale.

Ed infatti – ribadito che l’art. 11 non distingue il contenuto dell’avviso in dipendenza delle modalità della sua comunicazione, così come, in via generale., non opera alcuna distinzione l’art. 8 l. n. 241/1990 – mentre nel caso di comunicazione personale il proprietario effettivamente riceve notizia dell’esistenza di un procedimento riguardante beni di sua proprietà, al contrario, laddove vi siano forme di comunicazione pubblica collettiva, il proprietario subisce un primo vulnus consistente nell’onere, postogli a carico dell’ordinamento, di acquisire una conoscenza attraverso strumenti che non necessariamente rientrano, con certezza ed immediatezza, nella sua sfera di cognizione, ritenendo altresì l’ordinamento realizzata “iuris et de iure” tale conoscenza con il rispetto delle modalità di comunicazione previste.

Orbene, se tale “onere di assumere informazione” e “presunzione di conoscenza” da parte del proprietario espropriando possono giustificarsi in considerazione dell’interesse pubblico alla celerità del procedimento espropriativo, resta fermo che l’avviso pubblico e collettivo costituisce modalità eccezionale di comunicazione (ragionevole, giustificabile, ma eccezionale), non a caso prevista dal legislatore solo in presenza di un numero elevato di espropriandi; numero che il legislatore stesso, con previsione tassativa, indica come superiore a 50, sottraendo opportunamente la determinazione della eccessività del numero dei proprietari alla valutazione discrezionale dell’amministrazione.

Atteso il sacrificio (non irrilevante) imposto al proprietario espropriando, in termini di “effettiva” conoscenza (che, alle condizioni predette, è presunta come tale), non è affatto ragionevole che lo stesso proprietario, oltre che seguire quotidianamente gli avvisi pubblicati nelle forme previste dall’art. 11, debba per di più verificare presso l’amministrazione (una volta avuta contezza dell’avviso), se il procedimento possa (o meno) riguardare beni di sua proprietà.

Se tale fosse l’interpretazione, l’art. 11 sarebbe irragionevole (ed in sospetto di illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 3, 24, 42 e 97 Cost.), in quanto esso imporrebbe ai privati sacrifici non ragionevoli e/o giustificabili in riferimento ad interessi pubblici..

Alla luce di quanto esposto, questo Consiglio di Stato ritiene che l’avviso di cui all’art. 11 DPR n. 327/2001 debba contenere, per essere legittimo e coerente con il predetto articolo, oltre che con gli artt. 7 e 8 l. n. 241/1990, gli elementi volti a determinare i soggetti espropriandi ed i beni oggetto del procedimento amministrativo; e ciò sia che la comunicazione avvenga personalmente, sia che essa avvenga in forma collettiva mediante avviso pubblico (e, per le ragioni esposte, l’onere di completezza è richiesto a maggior ragione in quest’ultimo caso).

Giova osservare che, anche la giurisprudenza che ammette equipollenti, ritiene tuttavia indispensabile una chiara individuazione dei soggetti e dei beni espropriandi; in tal senso, da ultimo, è stato ritenuto che è idoneo il riferimento, nell’avviso pubblico, ad un determinato foglio della mappa catastale, senza elencazione delle singole particelle, quando i destinatari dell’avviso, debitamente elencati, sono tutti proprietari di fondi che sono rappresentati in quel foglio (Cass. civ., Sez. Un. 2 dicembre 2009 n. 25345; in senso conforme, Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2008 n. 3245).

Da ultimo, è appena il caso di osservare (per averne l’appellante fatto preventiva menzione in ricorso), che non ricorrono, nel caso di specie, i presupposti per l’applicazione dell’art. 21-octies l. n. 241/1990, sia in quanto trattasi di procedimento discrezionale (il che esclude l’applicazione del primo periodo del secondo comma, sia perchè non risultano ragioni che avrebbero l’amministrazione condotto ad adottare comunque il medesimo provvedimento finale).

Da quanto sin qui considerato, consegue l’accoglimento del primo motivo di appello.

 

4. Anche il secondo motivo di appello è fondato.

Con lo stesso, la società appellante lamenta error in iudicando, in relazione all’art. 22-bis DPR n. 327/2001, posto che “in nessuno degli atti impugnati in primo grado . . . , vi è alcuna congrua motivazione in ordine alle ragioni di urgenza che consentono di adottare la procedura di urgenza di cui all’art. 22bis”, laddove la sentenza appellata ritiene che il ricorso al procedimento ex art. 22 bis citato “non richiede alcuna specifica motivazione delle ragioni di urgenza che hanno indotto l’amministrazione ad occupare il bene per realizzare l’opera pubblica quando il numero dei destinatari sia superiore a 50”.

L’art. 22-bis DPR n. 327/2001 (introdotto dal d. lgs. n. 302/2002), prevede, in particolare, che:

“qualora l’avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’ articolo 20 , può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, decreto motivato che determina in via provvisoria l’indennità di espropriazione, e che dispone anche l’occupazione anticipata dei beni immobili necessari. Il decreto contiene l’elenco dei beni da espropriare e dei relativi proprietari, indica i beni da occupare e determina l’indennità da offrire in via provvisoria. Il decreto è notificato con le modalità di cui al comma 4 e seguenti dell’ articolo 20 con l’avvertenza che il proprietario, nei trenta giorni successivi alla immissione in possesso, può, nel caso non condivida l’indennità offerta, presentare osservazioni scritte e depositare documenti” (comma 1).

Il successivo comma 2 prevede che:

“il decreto di cui al comma 1, può altresì essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione senza particolari indagini o formalità, nei seguenti casi:

a) per gli interventi di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 ;

b) allorché il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50.”

La giurisprudenza non appare univoca in ordine alla necessità per l’amministrazione di motivare sulle ragioni di “particolare urgenza” che consentono il ricorso allo speciale procedimento di cui all’art. 22-bis.

Per un verso, si è escluso ogni obbligo di particolare motivazione, in presenza dei presupposti previsti dalla disposizione medesima, ed in particolare del numero degli espropriandi superiore a 50 (Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2007 n. 3968 e 27 giugno 2007 n. 3696; sez. III, 29settembre 2009 n. 2215).

Altra giurisprudenza ha invece ritenuto che il ricorso alla speciale procedura ex art. 22-bis postuli una motivazione specifica dell’amministrazione in ordine alle obiettive ragioni di urgenza, avverso la quale il privato può ricorrere, richiedendo il sindacato giurisdizionale (Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2009 n. 10362; Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2008 nn. 2459 e 2460).

Il Collegio ritiene di aderire a quest’ultimo orientamento interpretativo, affermando, di conseguenza, la necessità di motivazione in ordine alle ragioni di particolare urgenza che legittimano il ricorso al procedimento ex art. 22-bis DPR n. 327/2001.

Occorre, infatti, osservare che il procedimento previsto dall’art. 22 bis citato (occupazione di urgenza preordinata all’espropriazione) non costituisce – come pure si è sostenuto – un ordinario subprocedimento nell’ambito del procedimento espropriativo, in tal modo facendosi rivivere un istituto (l’occupazione di urgenza) conosciuto dal previgente ordinamento.

Occorre, infatti, osservare che tale procedimento, o meglio l’art. 22-bis che lo prevede, non costituisce parte della disciplina originaria del Testo Unico espropriazioni, essendo stato, infatti, introdotto solo con il d. lgs. n. 302/2002.

La disciplina originaria prevede (e tuttora si prevede):

– una fase di “determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione” (art. 20), cui può seguire l’immissione in possesso (nel caso in cui si concordi sulla misura dell’indennità), ovvero l’emanazione del decreto di esproprio, una volta effettuato il deposito dell’indennità, anche se non condivisa, presso la Cassa depositi e prestiti. A questa fase, segue quella di “determinazione definitiva dell’indennità di espropriazione” (art. 21);

– una fase di “determinazione urgente dell’indennità di esproprio” (art. 22), di modo che “quando l’avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza, tale da non consentire l’applicazione delle disposizioni dell’art. 20, il decreto di esproprio può essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione, senza particolari indagini o formalità”. In base al comma 2, “il decreto di esproprio può altresì essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente dell’indennità di espropriazione senza particolari indagini o formalità . . . b) allorchè il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50”.

In definitiva, nel disegno originario del Testo Unico espropriazioni, a fronte di un procedimento ordinario di determinazione (dapprima provvisoria., poi definitiva dell’indennità di espropriazione), quale presupposto dell’emanazione del decreto di esproprio, si giustappone un “procedimento urgente”, che, pur non escludendo la previa determinazione dell’indennità, si caratterizza per celerità, consentendosi la possibilità di emanazione del decreto di esproprio sulla base della sola “determinazione urgente” dell’indennità”.

La finalità evidente, perseguita dal legislatore, era quella di evitare che si potesse conseguire l’occupazione del bene espropriando senza che intervenisse, in seguito, l’emanazione del decreto di esproprio, con le ben note conseguenze in tema di occupazione (divenuta) sine titulo.

A questo disegno, il d.. lgs. n. 302/2002 ha aggiunto, con l’art. 22 bis, l’occupazione di urgenza.

L’emanazione di tale decreto richiede ai sensi del comma 1, che “l’avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza”, laddove la determinazione urgente dell’indennità, di cui all’art. 22, richiede che “l’avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza” (la differenza è data dall’aggettivo “particolare”, premesso al sostantivo “urgenza”).

Inoltre, il comma 2 dell’art. 22-bis prevede che possa farsi luogo a decreto di occupazione di urgenza anche nel caso in cui vi sia stata determinazione urgente dell’indennità ed il numero dei proprietari espropriandi sia superiore a 50.

In definitiva, l’art. 22.-bis prevede che il decreto di occupazione di urgenza possa essere emanato:

– in casi di “particolare urgenza”, previa determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione (comma 1);

– in casi in cui è intervenuta la determinazione urgente dell’indennità e qualora gli espropriandi siano superiori a 50 (comma 2, lett. b).

Il legislatore ha, dunque, previsto due distinti subprocedimenti in deroga al procedimento ordinario (ex art. 20), in parte sovrapposti, dei quali quello ex art. 22-bis si fonda (non ricorrendo i caso di cui al comma 2) su una “particolare urgenza”, da tenere distinta dalla mera “urgenza” su cui si fonda il procedimento in deroga, di cui all’art. 22.

Appare, dunque, evidente che il subprocedimento volto alla emanazione di un decreto di occupazione di urgenza, ai sensi dell’art. 22-bis, lungi dal poter essere considerato come un subprocedimento ordinario nell’ambito del procedimento amministrativo, costituisce, invece, un subprocedimento in deroga, speciale rispetto allo stesso subprocedimento in deroga di cui all’art. 22 del Testo Unico.

Da ciò consegue che l’organo emanante il decreto di occupazione di urgenza è tenuto a motivare in ordine alle ragioni di particolare urgenza, relative ai lavori da effettuarsi, e che sorreggono la determinazione assunta.

Ciò a maggio ragione laddove si rifletta sulle possibili conseguenze (in termini di occupazione sine titulo, anche per mancata emanazione del decreto di esproprio entro i termini della dichiarazione di pubblica utilità) cui l’istituto della previa occupazione di urgenza può condurre ed ha condotto, nella vigenza della precedente disciplina.

Per le ragioni esposte, anche il secondo motivo di appello deve essere accolto.

Da ciò consegue l’accoglimento dell’appello proposto, con conseguente annullamento della sentenza impugnata, ed accoglimento del ricorso proposto in I grado da Nissan Italia s.p.a., per le ragioni esposte in motivazione.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Nissan Italia s.r.l.. (n. 2215/2009 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata.

Condanna il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l’ANAS, in solido, nonché la società Autostrade per l’Italia s.p.a. ed il Comune di Capena al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio, che determina nella complessiva somma di Euro 2.000,00 (duemila/00) per ciascuna delle parti appellate costituite, ferma la predetta solidarietà, oltre accessori ai sensi di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 08/06/2011

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